Ha vissuto per un decennio in una casa prefabbricata, dopo il terremoto del Friuli, che aveva colpito lui e la sua famiglia. Dopo una tragedia collettiva, una individuale: a sedici anni un terribile incidente in motocicletta lo costringe in sedia a rotelle per tutta la vita.
Chi era Pierluigi Cappello
Sulla moto c’era anche un suo amico, ed entrambi erano promesse dell’atletica leggera: lui rimase paralizzato mentre l’altro morì sul colpo. “Ma sarei diventato poeta lo stesso, anzi di più, anche meglio” diceva Pierluigi Cappello (1967-2017), una delle voci più originali della poesia contemporanea italiana. Pierluigi era nato a Gemona, uno dei paesi più colpiti dal sisma nel 1976, figlio del ferroviere Antonio e della casalinga Bruna Maieron. Da ragazzo si appassiona all’aereonautica, e decide di iscriversi, subito dopo le medie, al corso di aeronautica dell’Istituto Tecnico Malignani di Udine. Ma dopo l’incidente la sua vita cambia per sempre, ed è costretto ad abbandonare ogni sogno sportivo, e dedicarsi giocoforza alla scrittura, sia in italiano che in dialetto friulano. Dopo due anni di riabilitazione la sua consapevolezza è ancora più forte, e Pierluigi si iscrive al liceo scientifico Paschini di Tolmezzo e poi alle magistrali di Udine.
Cappello: la poesia dopo l’incidente e Pasolini
Prosegue con il corso di materie letterarie alla Facoltà di Magistero presso l’Università di Trieste, anche se non arriva mai alla laurea, per dedicarsi esclusivamente alla poesia. I primi versi vengono pubblicati nella raccolta Ecce homo (1989) ma Pierluigi li considera ancora immaturi e li disconosce: per i successivi cinque anni si dedica allo studio della metrica. “Per scrivere poesie ho dovuto dedicarmi a un profondo studio della metrica italiana. Per me che venivo da una scuola tecnica-racconta il poeta- ha assunto quasi le dimensioni di un’iniziazione”. Il frutto degli studi è la raccolta Le nebbie (1994), seguita dal saggio La mela di Newton (1998) e da La misura dell’erba, un libro che contiene 16 poesie, che attirano l’attenzione di Amedeo Giacomini, che ne pubblica alcune in dialetto friulano nella rivista Diverse lingue. Immediato è il riferimento a Pier Paolo Pasolini, riconosciuto dallo stesso Cappello: “Ma certo riconosco il debito verso Pasolini, e verso coloro che hanno aperto per la poesia friulana una stagione di libertà: Giacomini e Bartolini, soprattutto”, scrive nel 2004. Nel 1999 vince il premio Città di San Vito ed entra in contatto con altri esponenti del mondo letterario friulano: fonda con Ivan Crico La barca di Babele, una collana di poesie dedicata ad autori della regione, pubblicata dal Circolo Culturale di Meduno.
Cappello: l’esperienza de La Barca di Babele
Nel 2006 l’antologia Assetto di volo, curata da Anna De Simone, raccoglie la sua produzione poetica, mentre 4 anni dopo, con la raccolta Mandate a dire all’imperatore, vince il premio Viareggio-Rèpaci 2010 per la poesia. “La vita mi ha riservato il ruolo di un homo patiens. Allora mi chiedo se la pazienza sia la capacità di sopportare annullandosi o la capacità di sopportare ma sentire senza annullarsi. E non so darmi una risposta”. Cappello muore nel 2017, a cinquant’anni, dopo aver ricevuto il sussidio della Legge Bacchelli solo tre anni prima. “Tutto, per Pierluigi, era sforzo sovrumano eppure nessuno è riuscito ad essere più umano di lui, si trovasse tra i topi o immerso nel profumo del calicanto che in pieno inverno annuncia un’altra vita. Adesso bisogna immaginarlo libero, finalmente”: così lo ricorda Maurizio Crosetti su La Repubblica.
Ludovico Pratesi
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