Il libro tutto italiano che racconta le città più emergenti d’Arabia: Riad e Jeddah

Promosso dallo studio di architettura Schiattarella, il libro “Saudiscapes. Un viaggio polifonico in Arabia Saudita” ritrae Riyadh e Jeddah tra silenzi e polvere. Intervista alle autrici Emilia Giorgi e Giovanna Silva

Cumuli di macerie, polvere, spazzatura, dissuasori in cemento, mucchi di sabbia, rare presenze umane, talvolta solo suggerite da oggetti come ombrelloni, piante, condizionatori. Sono fotografie con una forte carica narrativa, nelle quali si compenetrano più livelli di lettura, quelle raccolte in Saudiscapes. Un viaggio polifonico in Arabia Saudita, recente pubblicazione nata dall’incontro tra gli architetti Amedeo e Andrea Schiattarella, la curatrice e critica di architettura Emilia Giorgi e la fotografa Giovanna Silva. Promosso dallo studio romano, da tempo attivo nel contesto saudita con un approccio che fin dagli esordi ha privilegiato lo sviluppo di un codice architettonico in sintonia con il luogo, il libro edito da NERO Editions è l’esito di un’indagine fotografica condotta cinque anni fa tra Riyadh e Jeddah. Un tempo in cui il regno era ancora inaccessibile ai più, ma in cui si stavano ponendo le basi per l’attuale boom di cantieri e trasformazioni. 

Il libro Saudiscapes

Anziché celebrare gli esiti del lavoro di Schiattarella in quella terra, il progetto editoriale si pone in osservazione delle radici dell’architettura e dell’urbanistica saudite: le identifica e quindi riunisce in pagine che forniscono al lettore la chiave per l’accesso visiva a un patrimonio ormai in via di dissoluzione, come spiegano le due autrici nell’intervista. Saudiscapes. Un viaggio polifonico in Arabia Saudita sarà presentato da Giorgi e Silva mercoledì 25 settembre in Triennale Milano (ore 18:30; ingresso gratuito, su registrazione).

Saudiscapes, NERO Edizioni
Saudiscapes, NERO Edizioni

Intervista a Emilia Giorgi e Giovanna Silva

Due donne al lavoro nell’Arabia Saudita di qualche anno fa. È stato un viaggio difficile?
Emilia Giorgi:
 All’epoca la situazione era già in trasformazione; per le donne, ad esempio, era possibile guidare, anche se era rarissimo vederne. Ma si percepiva il cambiamento in atto e anche la necessità di ulteriore tempo per normalizzare la situazione. Andrea e Amedeo, con i quali condividevamo l’idea del progetto, ci hanno accompagnato nei luoghi che ritenevano più importanti per il loro lavoro anche a livello di ispirazione, non solo quelli al centro dei loro progetti. Insieme siamo andati a ricercare le tracce dell’architettura storica saudita: direi che quella è stata la vera “impresa”.

Perché?
A Jeddah è stato molto più semplice: il centro storico era sì “assediato” da grandi architetture contemporanee, tra cui alcune senza specificità, però l’architettura originaria era ancora molto evidente. A Riyadh, invece, bisognava proprio andarle a scovare: quelle memorie erano già minuscole, quasi abbandonate a sé stesse, di certo non valorizzate.

Due città estremamente diverse.
Sì, e non solo dal punto di vista architettonico, ma anche per come vengono vissute e per la concreta possibilità di esplorarle. Almeno nel 2019, Riyadh era una città sostanzialmente priva di spazio pubblico e quindi non attraversabile a piedi: grandi arterie stradali percorse da automobili erano l’unica possibilità per spostarsi da un posto all’altro. A Jeddah, invece, abbiamo potuto far uscire maggiormente il nostro comune metodo di lavoro.

Ovvero?
Alla base del libro si colloca l’idea di adottare lo sguardo di una fotografa per osservare, da punto di vista diverso, i luoghi in cui gli architetti Schiattarella lavorano da oltre un decennio. Non ho scelto Giovanna Silva casualmente: ha sì una formazione da architetta, ma ha sempre adottato lo strumento fotografico per leggere e interpretare le città. Lei, come me, cammina molto: ci piace esplorare le città, studiarle, capirle, comprenderle attraverso l’atto del camminare. Questo a Jeddah è stato possibile, grazie alla conformazione stessa della città, alla presenza di spazi pubblici comuni, all’essere una città portuale. Giovanna, inoltre, ha già all’attivo libri in zone complesse e sa muoversi in certi contesti. Non da ultimo, apprezzo e mi interessa molto il suo modo di lavorare, caratterizzato da una modalità accumulativa: non si concentra su singoli scatti e, mentre fotografa, già ragiona sull’oggetto libro essendo anche editrice.

Il libro che svela l’essenza dell’architettura saudita

Cosa ha comportato avere a disposizione tantissime foto al termine del viaggio?
Ci ha consentito di raccontare quasi ogni dettaglio delle due città, inclusi quelli che probabilmente sono ormai persi: alcune persone che sono state di recente in Arabia Saudita, dopo aver visto il libro, mi hanno raccontato di non aver praticamente ritrovato nulla di quanto abbiamo fotografato.

E questo dà il senso dell’effettiva trasformazione in corso.
Soprattutto della velocità con cui stanno cambiando entrambe queste città, una velocità non possiamo neanche immaginare. Siamo state testimoni di qualcosa che probabilmente non ha più visto nessuno. E questa è la specificità del libro: l’aver fotografato un momento che non c’è più.

Dal viaggio al libro è trascorso un po’ di tempo. In quale modo hai compiuto la selezione delle fotografie pubblicate?
Giovanna Silva:
 Sono molto compulsiva dal punto di vista delle immagini. Quindi il processo di selezione, editing e creazione della struttura narrativa, ovvero la sequenza, per me ha fondamentale importanza. Tendenzialmente è qualcosa che faccio subito e così è stato anche in questo caso. Ho lavorato dividendo le due città, in modo che ci fosse una chiara distinzione, e cercando di creare una selezione di fotografie coerente con la nostra ricerca. Su Riyadh c’erano a disposizione più foto orizzontali, perché il suo paesaggio era fatto di case basse e grattacieli; il rapporto con Gedda è stato molto più ravvicinato perché, com’è stato detto, potevamo camminare. Mi sono potuta avvicinare molto agli edifici, ci sono dettagli e la fotografia è in verticale. 

Nel testo di presentazione si cita la dimensione del silenzio. Quali altre condizioni non preventivate vi hanno colpito, finendo per incidere del progetto?
Emilia Giorgi: 
Spesso quando pensiamo alle città le immaginiamo brulicanti di vita, di accadimenti contemporanei: tutto questo sembrava assente in Riyadh, almeno in quel momento. Di conseguenza ho percepito il silenzio in maniera molto forte, anche rispetto ad altre città che ho visitato. Anche se con gli Schiattarella avevamo parlato a lungo dell’Arabia Saudita, tutto è stato completamente una sorpresa, compresa l’impossibilità di camminare: una condizione che mi è sembrata incredibile anche pensando a chi vive lì. Poi mi ha colpito “l’imposizione” della città sul deserto, che a volte è tagliato letteralmente in due per far passare in mezzo la strada. E, anche se ormai dovremmo essere abituati, continuano a essere stranianti le opere delle cosiddette archistar, architetture concepite senza la minima preoccupazione per il contesto. Si trovano lì, ma potrebbero essere a Londra o New York.

Valentina Silvestrini

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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