Achille Bonito Oliva, Germano Celant, Mimmo Paladino, Fabio Sargentini e David Tremlett sono solo alcune delle quaranta personalità tra artisti e critici, presenti all’interno della raccolta di scritti realizzata dal giornalista Lorenzo Madaro. Guerriglieri Sistematici. Rubrica incompleta d’arte contemporanea è l’antologia di Madaro edita da Krill Books. Il volume, contiene un’ampia e ragionata riflessione critica e artistica dedicata ai principali, e non solo, protagonisti del sistema dell’arte.
Chi è Lorenzo Madaro
L’autore, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di belle arti di Brera di Milano, raccoglie gli ultimi cinque anni di lavoro attraverso una selezione di testi, pubblicazioni e interviste che raccontano e mettono in luce in maniera puntuale un decennio, quello dal 2010 al 2020, caratterizzato da grandi e profondi cambiamenti storici, culturali e sociali. Dopo un primo appuntamento a Lecce, negli spazi della Biblioteca Bernardini, presso il Convitto Palmieri, il libro sarà presentato alla Casa degli Artisti a Milano in autunno e poi a Taranto dopo Natale.
Intervista a Lorenzo Madaro
“Guerriglieri Sistematici. Rubrica incompleta d’arte contemporanea”. Quando e come è nata la consapevolezza di realizzare questa prima antologica?
Guerriglieri Sistematici. Rubrica incompleta d’arte contemporanea è nato un po’ su sollecitazione di Mino Degli Atti,editore di Krill Books, che riflettendo e immaginando assieme possibili collaborazioni mi ha proposto di riunire una selezione ragionata di miei contributi usciti in diversi contesti negli ultimissimi anni. Il lavoro poi è stato costruito nel tempo grazie al supporto anche di tutto il suo staff, tra i quali Margherita Macrì che si è occupata dell’editing e Marco Spinelli, che ha immaginato un progetto grafico molto coerente con il libro perché questa idea di rubrica ha un doppio valore: da un lato c’è chiaramente un richiamo a un lessico editoriale e giornalistico che riguarda una parte preponderante del mio impegno come critico per La Repubblica e per alcune testate di settore, e dall’altro rubrica richiama alla mente l’idea di una rubrica telefonica, quindi un elenco di contatti, riflessioni, luoghi, progetti, ma soprattutto nomi di artisti, di curatori e di compagni di strada. Sono stati fondamentali poi i supporti dei miei studenti, ormai ex, Simone Melis, Giulia Russo e Angelica Raho, che nelle ultimissime fasi di revisione sono intervenuti con il loro occhio attento.
Il libro raccoglie cinque anni di interviste, articoli e interventi critici realizzati su riviste quali La Repubblica, Arte Mondadori, Robinson e Artribune. In tanti anni di attività militante sul fronte della critica e della curatela quale è stato il criterio di selezione dei materiali utilizzati?
Ho selezionato materiali che sono legati a cataloghi, pubblicazioni, riviste e naturalmente a La Repubblica, usciti in questi anni e dedicati a artisti che ho seguito con maggiore attenzione e cura, e che rientrano pienamente anche in certe mie attitudini di ricerca, in certi miei sguardi curatoriali. Chiaramente per quanto riguarda le interviste e i contributi che provengono da La Repubblica, da Arte Mondadori, da Robinson, da Artribune e da altre riviste mi sono basato su testi che potessero avere una durata a prescindere dal singolo progetto narrato e analizzato, o del singolo dialogo con un artista o un curatore, quindi non sono recensioni in senso stretto, che hanno una scadenza in molti casi, ma interviste più ad ampio raggio, testi diciamo che affondano nella poetica dell’artista.
In tutto sono quaranta i nomi e le storie di artiste e artisti, curatrici e curatori che hai intervistato nel corso degli anni. Quali sono le tre personalità che maggiormente hanno influenzato la tua metodologia e attitudine nel lavoro?
Se penso a tre nomi che sono presenti all’interno di questa pubblicazione e che ritornano molto nelle pagine di Guerriglieri sistematici penso a tre nomi molto diversi tra loro. Innanzitutto, Mimmo Paladino e Laura Cherubini e poi Germano Celant. Di Mimmo ho sempre amato moltissimo il lavoro, il suo dipinto “Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro” del 1977 per me è sempre stata un’opera fondamentale, uno spartiacque, non a caso durante le mie lezioni in Accademia a Brera è un punto focale di riflessione, e poi perché ho frequentato molto in questi ultimi anni il suo studio a Milano e abbiamo collaborato in diverse occasioni grazie anche a Emilio Mazzoli di Modena, ma anche a Brera e per alcune mie rubriche di La Repubblica, come poche settimane fa per un ciclo estivo uscito su La Repubblica Milano e intitolato L’arte non va in vacanza.
Perché Paladino?
Il lavoro di Mimmo è imprescindibile per la storia dell’arte internazionale anche perché è un anello di congiunzione tra tante esperienze che lui è riuscito a reinventare, che sono quelle della storia dell’arte, di una storia anche dei popoli mediterranei, di un’archeologia che persiste e che lui ha saputo tradurre in una chiave contemporanea, inventando un proprio alfabeto visivo riconoscibile e originale ma capace di cambiare pelle costantemente. Inoltre, il lavoro di Mimmo ingloba esperienze, materiali, attitudini che provengono dall’Arte Povera che è un movimento che ritengo fondante per la mia formazione, per il mio gusto. Lui ha saputo portare avanti quel tipo di indagini impegnandosi però in prima persona nel rinnovamento del proprio del lessico.
Dicevi anche Laura Cherubini…
Dialogando con lei in tantissime occasioni, quasi quotidianamente, anzi direi in orari notturni con lunghe telefonate che si protraggono spesso anche fino alle due di notte, e poi a Milano, a Roma, tante passeggiate, tante visite a mostre, tantissime cene in luoghi per noi preziosi come le Colline Emiliane a Roma, che lei frequentava un tempo con De Dominicis. Laura mi ha insegnato proprio quanto sia fondamentale ribadire il rapporto con gli artisti, la frequentazione costante con loro nei loro studi, ma anche in situazioni conviviali, la capacità anche di guardare artisti di varie generazioni e di leggerli con impegno da storici dell’arte, ma allo stesso tempo da compagni di strada militanti.
E Celant?
Di Celant, che ho conosciuto solo in maniera molto, molto sfuggente, durante una breve intervista che gli feci per La Repubblica alcuni anni fa a Roma, ma che ho sempre seguito a distanza nelle sue conferenze e naturalmente nei suoi tantissimi saggi e cataloghi ragionati, mi piace molto quel senso di costruzione di una storia che però tiene conto costantemente di un contesto. Le cronologie dei suoi cataloghi ragionati per me sono veramente delle fonti primarie, non dico di ispirazione, perché davvero ispirarsi a un gigante come lui penso che sia non solo doveroso ma anche ovvio. Ammiro questa sua capacità di vivere costantemente immerso nell’arte; c’è una frase di Paolo Icaro che mi piace molto, quando dice di essere andato a trovarlo nel suo “bunker di libri opere d’arte”, mi affascina questa idea di bunker, di libri, opere d’arte. Nel mio piccolo anch’io vivo in un bunker di libri, opere d’arte nei mesi che trascorro a Lecce quando non sono a Milano.
Sei docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di belle arti di Brera di Milano. Qual è la migliore palestra per comprendere a pieno ed entrare nel “magico” mondo dell’arte contemporanea?
La palestra per comprendere appieno il mondo dell’arte, e lo suggerisco costantemente ai miei studenti, è innanzitutto la frequentazione assidua degli studi degli artisti e, naturalmente, delle mostre. Allenare lo sguardo, allenare la propria mente e il proprio corpo intellettuale a visitare costantemente progetti, mostre, non soltanto in spazi istituzionali, ma guardando in maniera trasversale ciò che accade: Milano chiaramente su questo offre tantissime opportunità costantemente ed è uno dei motivi per cui amo tantissimo insegnare a Brera, che è veramente il mio luogo del cuore. Ne parlavo proprio l’altro giorno con Franco Marrocco, il nuovo direttore dell’Accademia.
Anche quest’anno la Puglia si è distinta per tutta una serie di eventi, mostre e inaugurazioni. Ma di maggiore intensità e rilevanza sono state alcune operazioni in Valle D’Itria e a Bari. Mentre per quel che riguarda la scena salentina, pensi che ci sia un leggero stallo rispetto ad altri anni?
Lecce in questi ultimi anni si è distinta sostanzialmente per il grande impegno sul contemporaneo del Museo Castromediano: è davvero preziosa la mostra in corso dedicata a Costas Varotsos e tutta la serie di progetti, da Paolo Gioli a molti altri, che in questi anni il direttore del museo Luigi De Luca ha concepito e ospitato nel museo dove “L’antico è contemporaneo”, questo è il claim della nuova fase della più antica istituzione museale pubblica di Puglia con i suoi oltre 150 anni. Il Castromediano, che è un luogo che io conosco bene, collaborandoci da molti anni, è uno spazio aperto ogni giorno dell’anno al confronto, al dialogo con le comunità.
Ci sono altri luoghi?
Penso inoltre che sia fondamentale il ruolo di Fondazione Biscozzi | Rimbaud per lo studio, l’approfondimento, le ricerche attorno all’arte del Novecento italiano, ma anche con sguardi internazionali profondi concepiti in diversi decenni di impegno collezionistico da Luigi Biscozzi e Dominique Rimbaud; e poi è straordinario visitare costantemente, perché cresce sempre e cambia spesso pelle, Palazzo Luce di Anna Maria Anselmi, che è un altro luogo privato, una torre di avvistamento verso tante espressioni della contemporaneità grazie alla generosità della padrona di casa. In Puglia ultimamente sono nate alcune realtà internazionali, penso in particolar modo al lavoro incredibile che hanno avviato proprio da alcuni mesi a Ostuni Cristiano Seganfreddo e Gea Politi con casa Flash Art e che spero possa diventare non soltanto una palestra di attenzioni verso il presente, ma anche un po’ una cabina di regia sul fare contemporaneo in Puglia. E penso sia bello e giusto che lo faccia una realtà privata già rodata nel contesto mondiale come Flash Art, che alla Puglia potrà fare solo bene per uscire dal campanilismo, dal dilettantismo, dall’autoreferenzialità provinciale che affligge tutte le periferie.
Giuseppe Amedeo Arnesano
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati