L’Italia oggi è davvero il “centro culturale” del Mediterraneo? Un libro ha dei dubbi

Per essere al centro del Mediterraneo, la geografia non basta. Bisogna volerlo: “desiderare” di essere un popolo del mare. A giudicare dall’attualità, per l’Italia non è affatto così. È questa l’idea di Dario Fabbri, autore di un libro sul tema, che abbiamo intervistato

Il Mediterraneo, malgrado sia al centro delle politiche economiche, migratorie ed energetiche dell’Italia, non ha avuto negli ultimi decenni un ruolo davvero culturale all’interno dell’apparato identitario nazionale. Progetti come il MAXXI del Mediterraneo a Messina, seppur in fase di ridefinizione strategica, sono emblematici per evidenziare di una sfida più ampia: come può l’Italia ritornare a desiderare il mare, per avere un qualche tipo di rilevanza internazionale?
L’analista geopolitico Dario Fabbri, nel suo nuovo libro Sotto la pelle del mondo, riflette – tra gli altri temi – proprio sul ruolo culturale dell’Italia nel Mediterraneo. Con un’analisi che intreccia storia, antropologia e psicologia, Fabbri esplora le ragioni del nostro distacco dal mare e offre spunti per riattivare una consapevolezza culturale che possa guidare il Paese nelle sfide future. Con l’occasione, l’abbiamo intervistato sull’argomento.

L’autore Dario Fabbri

Analista geopolitico, Dario Fabbri è direttore del mensile Domino e della scuola di Domino. È teorizzatore della geopolitica umana, approccio che incrocia geopolitica, storia, antropologia, psicologia collettiva e protolinguistica. Al centro della sua indagine vi sono non i leader o le istituzioni, bensì i popoli e i loro sentimenti.
È autore di Geopolitica umana: capire il mondo dalle civiltà antiche alle potenze odierne (2023); Atlante storico: dal Novecento ai giorni nostri (2024); Sotto la pelle del mondo (2024).

Il ruolo culturale dell’Italia nel Mediterraneo

Qual è il posizionamento dell’Italia nel contesto culturale del Mediterraneo?
L’Italia oggi dovrebbe avere un ruolo centrale nel Mediterraneo, in base alla posizione che le è stata concessa dalla geografia. La Penisola è “fisicamente” il centro di questo mare, e dunque tutto ciò che lo riguarda dovrebbe coinvolgerci profondamente. 

Dovrebbe”… dunque non è realmente così?
Ciò che non mi ha mai convinto della geopolitica classica (ossia dell’idea appena detta) di matrice ottocentesca è proprio l’elemento deterministico: l’idea che la posizione geografica determini inevitabilmente il ruolo di una nazione è riduttiva.

Spiegati meglio.
L’Italia è al centro del Mediterraneo, ma oggettivamente non ha un rapporto significativo con esso per due ragioni principali. Innanzitutto, stiamo parlando di esseri umani; quindi, l’antropologia e la psicologia, che poi diventano storia, sono ciò che realmente muove le persone, molto più della semplice geografia. Non è detto che una penisolaabbia necessariamente un rapporto profondo con il mare. Gli Inglesi, ad esempio, fino al Cinquecento non avevano alcun legame significativo con il mare, pur vivendo su un’isola. In secondo luogo, gli Italiani oggi non percepiscono il Mediterraneo; anzi, ne hanno un’enorme paura. 

L’italia e la paura del mare

Per quale ragione abbiamo paura del mare?
C’è una questione psicologica: gli Italiani sono una popolazione assai anziana, con un’età media di 47 anni, la più alta del mondo. Il mare rappresenta l’ignoto, il profondo, l’indomabile, e per una popolazione così anziana questo è fonte di spavento. Che rapporto hanno gli italiani con il mare? Lo vedono principalmente come luogo di svago estivo; finita la stagione balneare, non esiste più nella percezione comune, fino all’estate successiva. Una canzone emblematica in questo senso è la bellissima “Il mare d’inverno” di Enrico Ruggeri, cantata da Loredana Bertè. Il testo dice che il mare d’inverno è un “concetto che il pensiero non considera“, che per noi non esiste. 

E la nostra storia passata ha avuto un ruolo nel portare a questo timore?
Il ceppo culturalmente dominante nel nostro Paese, quello settentrionale, non ha alcun rapporto con il mare. Anzi, sogna l’Europa continentale, la cosiddetta “Mitteleuropa“, che viene considerata erroneamente superiore. Dire che “Milano è una città europea” assume un’accezione valoriale, mentre definire “Napoli una città mediterranea” viene spesso visto in senso dispregiativo, come a indicare una città sottosviluppata.

Dario Fabbri, Sotto la pelle del mondo, copertina
Dario Fabbri, Sotto la pelle del mondo, copertina

Il contesto geopolitico del Mediterraneo

Parliamo delle altre nazioni dell’area mediterranea. Che ruolo hanno oggi?
Il nostro ruolo nel Mediterraneo è stato superato da altri Paesi. Non solo dalla Francia, ma anche dalla Grecia e persino dalla Turchia, che, pur non essendo storicamente un popolo marittimo, ha recentemente sviluppato la concezione della “Patria Blu“, una reinvenzione del Mediterraneo orientale come proprio, e domina la Tripolitania in Libia. L’Italia, pur essendo al centro del Mediterraneo, non ha saputo assumere una posizione adeguata.

La tua analisi è abbastanza radicale: o recuperiamo il rapporto con il mare, oppure non ci sono molte vie di mezzo per avere un ruolo culturale significativo nel Mediterraneo?
Sì, esatto. È una questione di volontà. Spesso mi chiedo se gli Italiani vogliano davvero assumere questo ruolo culturale centrale. Io non ne sono per niente sicuro; anzi, credo di no. Questi stessi discorsi che stiamo facendo in questa conversazione, nel dibattito pubblico italiano odierno, neppure esistono.

Come hanno fatto altre civiltà in passato a riportare nel dibattito pubblico il desiderio del mare?
Questa è una domanda fondamentale. Nei migliori dei casi, fu per strattonamento della storia. Alcuni popoli – come raccontava Hobbes degli Ateniesi, che videro le fiamme dell’Acropoli – si lanciarono letteralmente sulle navi e non tornarono più.

Spesso avvenne per necessità di sopravvivenza. Gli Inglesi, nel XVI Secolo, diventano un popolo marittimo quando compresero che non avrebbero mai potuto dominare la terraferma europea. Gli Americani fecero lo stesso, così come i Giapponesi a metà dell’Ottocento. Trasformarsi in una potenza marittima è spesso una questione di esigenza per non morire.

Mar Mediterraneo. Photo via Unsplash
Mar Mediterraneo. Photo via Unsplash

L’Italia e la perdita dei contatti con il Mediterraneo

E l’Italia di oggi?
Per un Paese come il nostro, che crede che tutto sia finito, che è molto anziano, che scambia le nazioni per l’Europa, affrontare il mare è un proposito eccezionale, incredibile.

Quali sono le ragioni storiche e antropologiche che hanno portato l’Italia ad allontanarsi dal mare?
Le ragioni sono molteplici e intrecciano aspetti storici, antropologici e psicologici. L’Italia, come già detto, è un Paese estremamente anziano e ha creduto più di altri alla “fine della storia“, ossia all’idea che le grandi trasformazioni fossero ormai concluse e che ci si potesse concentrare solo sull’economia e sul benessere individuale. Questo sentimento permea ancora oggi sia il nostro sistema d’istruzione sia la vita quotidiana.

Quando abbiamo perso il contatto col mare?
Il Regno d’Italia non è mai stato un Paese marittimo, ma com’è possibile? Siamo una penisola. Gli inglesi scelsero il Piemonte proprio perché non sapeva andare per mare e quindi lo trovarono amabilissimo. Le potenze marine hanno sempre timore di chi ha capacità marittime, perché chi sa andare per mare non ha paura di morire; si lancia, ed è un elemento spaventoso. Queste categorie nella nostra pedagogia non solo non esistono, ma non sono neanche contemplate. Mentre sono contemplati i partiti: studiamo i Curiazi, il Partito Socialista, il Partito Liberale, l’avvento del fascismo, eccetera. È sempre la parte sovrastrutturale, la rappresentazione della realtà, ma il sentimento che vi era sotto non c’è mai.

Il nostro sistema scolastico ha qualche responsabilità?
Il nostro sistema non promuove una cultura marittima. Non si studia, ad esempio, perché Pisa, un tempo straordinaria potenza marinara, abbia perso il mare e come questo abbia influenzato la sua storia. I Pisani non sono più un popolo marittimo, e questo fatto non suscita interesse. La mancanza di consapevolezza storica e l’assenza di un proposito collettivo contribuiscono all’allontanamento dal mare. Senza una visione condivisa, è difficile sviluppare un rapporto significativo con il Mediterraneo.

È possibile riattivare negli Italiani la consapevolezza del mare come elemento centrale della nostra identità culturale?
È una sfida complessa, ma non impossibile. Tuttavia, finché l’Italia non si darà un proposito chiaro e condiviso, sarà difficile avere una cultura da esportare e una visione del mondo riconoscibile. Senza di esso, un Paese non può sviluppare una narrazione di sé che abbia rilevanza internazionale.

Qual è dunque la narrazione italiana oggi?
Il nostro obiettivo è spesso solo vivere bene e attendere dolcemente la fine dei tempi. Ma questo non è un proposito culturale. È piuttosto una forma di utilitarismo. Un Paese che non ha un progetto non può avere una cultura da esportare.
Per riattivare la consapevolezza del mare, sarebbe necessario un cambiamento culturale profondo. Dovremmo riscoprire la nostra storia marittima, valorizzare le tradizioni legate al mare e promuovere una nuova narrazione che metta il Mediterraneo al centro della nostra identità. Questo richiede un impegno collettivo e una revisione del nostro sistema d’istruzione.

Bisognerebbe quindi iniziare a studiare il mare?
Un intervento pedagogico di questo tipo, che segnali l’importanza del mare nella nostra storia e nella nostra identità, potrebbe essere fondamentale per riavvicinare l’Italia al Mediterraneo. Anche solo per dire al Paese: “Guardate che non è tutto finito, la storia tornerà anche qui, perché è inevitabile“.

Marco Bassan

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Marco Bassan

Marco Bassan

Curatore d’arte contemporanea, fondatore di Spazio Taverna. Ha curato progetti per istituzioni quali il MAECI, Fondazione CDP, CONAI, i Musei Capitolini, il Museo Nazionale Romano, il Parco Archeologico dell’Appia. Nel 2023 ha consegnato la tesi di dottorato presso Roma Tre…

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