Il nuovo libro di Francesco Erbani analizza vizi e virtù della gestione dei beni culturali italiani
Musei, biblioteche, archivi, siti archeologici, paesaggio. Il mondo dei beni culturali è tanto variegato quanto problematico, soprattutto in un Paese (come l’Italia) che ne è talmente ricco. Lo scrittore e giornalista Francesco Erbani ha pubblicato una puntuale ricerca sulle buone e cattive pratiche della gestione del nostro patrimonio. L’intervista
Nel 2002 Silvia Dell’Orso, storica dell’arte e giornalista, pubblicava Altro che musei (Laterza), un’analisi esaustiva della politica dei beni culturali in Italia. A distanza di più di vent’anni, su impulso dell’Associazione culturale che porta il suo nome, Francesco Erbani, scrittore e giornalista de La Repubblica presenta Lo stato dell’arte. Reportage tra vizi, virtù e gestione politica dei beni culturali per i tipi di Manni editore. Ne parliamo con lui in questa intervista.
Intervista a Francesco Erbani
Quali sono gli intenti di questo tuo reportage sul campo, quali gli snodi essenziali e a chi si rivolge?
L’obiettivo è simile a quello che si pose Silvia Dell’Orso: raccontare da cronista, a un pubblico non solo di addetti ai lavori, alcuni aspetti di un mondo che in oltre vent’anni ha visto crescere il proprio peso nella vita di ognuno, persino nella consapevolezza collettiva e anche nel dibattito pubblico, ma non altrettanto nell’impegno dei decisori politici.
Il mondo dei beni culturali – musei, biblioteche, archivi, siti archeologici, paesaggio – è caratterizzato da forti contraddizioni, da problematiche non risolte; quali le più evidenti?
Le più cruciali: le dotazioni finanziarie e la carenza di personale, questioni ormai incancrenite. A livello centrale qualche legge di bilancio ha provato a invertire la rotta, ma con il governo Meloni si è tornati indietro, come dimostrano i tagli previsti per il prossimo anno. I vuoti di organico hanno poi raggiunto livelli tragici: nelle strutture ministeriali, nelle soprintendenze, persino nei musei autonomi che, con la riforma del 2014, dovevano rappresentare l’eccellenza del nostro patrimonio. Per non parlare di biblioteche e archivi, i settori più penalizzati, costretti a ridurre gli orari di apertura o a chiudere.
Che ruolo gioca l’attuale governo in questo?
L’abuso di espressioni retoriche inerenti al patrimonio culturale, risale ai tempi dei giacimenti culturali, negli Anni Ottanta del Novecento. E ha ripreso vigore perché alle politiche culturali e al patrimonio il governo Meloni ha voluto affidare un ruolo identitario, di riscrittura della narrazione storica nazionale. Il tutto, praticato con una spasmodica occupazione di poltrone, stride con la realtà e si è risolto in uno scontro di potere che occulta le vere patologie di cui soffrono i beni culturali e alle quali si pone rimedio ricorrendo al lavoro precario e poverissimo, uno schiaffo alle competenze e alle passioni di tanti giovani archeologi, storici dell’arte e architetti, oltre che alla tutela del patrimonio.
Cosa ne pensi dell’utilizzo dei beni culturali per iniziative commerciali? Fino a quando è legittimo “fare cassa”?
È fondamentale che i luoghi di cultura dialoghino con i territori, che aprano le porte a iniziative sociali o che incrocino altri linguaggi artistici e la contemporaneità, ma è preoccupante quando si articola la relazione in senso commerciale, affittando spazi sottratti alla fruizione di tutti per feste private o concedendo pezzi pregiati per illustrare una sfilata di moda. È uno degli effetti di un patto scellerato: io Stato ti do pochi soldi, i soldi te li procuri come puoi.
E per quanto riguarda il legame tra turismo e beni culturali?
Indubbio che il turismo sia attratto in Italia dai beni culturali, ed è accertato che sia fra le ragioni della forte crescita di visitatori di musei e siti archeologici, almeno dal 2014 in poi. Se però, al di là dei numeri, si leggono le rilevazioni dell’Istat si scopre che meno di tre italiani su dieci sono entrati in un museo o in un sito archeologico. Il turismo, per molti amministratori pubblici, è la ragion d’essere dei beni culturali. Un caso eclatante: il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, ha tenuto chiusi i Musei Civici della città ancora per alcuni mesi dopo il lockdown, mentre altrove riaprivano, perché non c’erano turisti. Ora che i turisti sono tornati in grande quantità, ci accorgiamo di quanto il fenomeno, lasciato senza controllo, danneggi la qualità e l’essenza dei centri storici, espressione caratterizzante il patrimonio italiano.
In questa tua indagine così puntuale, nel capitolo Il museo che verrà proponi un altro modo di essere museo: che coinvolge i pubblici nella progettazione; attento ai loro bisogni e attese; sensibile ai temi/problemi della contemporaneità. Qualche esempio?
Sono diversi i musei che si propongono obiettivi al di là delle performance quantitative. Appena qualche esempio fra i tanti. Capodimonte a Napoli, che per iniziativa dell’allora direttore Sylvain Bellenger ha concepito il grande bosco nel quale è immersa la reggia come una cerniera verde che lo lega alla città. Il Museo Civico Archeologico ed Etnologico di Modena, dove si sono realizzate iniziative con i cittadini migranti chiamati a interpretare, e non solo a visitare, gli oggetti lì custoditi. E ancora, il Museo Egizio di Torino, che ha coinvolto gli abitanti di lingua araba. Oppure un’iniziativa come Fabbriche di storie che agli Uffizi ha sperimentato quanto alcune opere possano attivare capacità narrative. Sono solo alcuni casi di luoghi di cultura che si propongono anche come servizio pubblico, capace talvolta di fronteggiare esclusione sociale e disuguaglianze.
Silvia Mascheroni
Francesco Erbani, Lo stato dell’arte. Reportage tra vizi e virtù
Manni Editore, 2024
pag. 208, € 16,00
SCOPRI QUI il libro
ISBN 978-88-3617-294-8
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