Cosa significa “fare cultura” in un museo oggi? Christian Greco e Paola Dubini rispondono in un libro
In un dialogo ricco di spunti che ha coinvolto anche i direttori del Poldi Pezzoli e del Museo della Scienza di Milano, gli autori hanno presentato questo nuovo volume in occasione di BookCity 2024
In un contesto multiculturale come quello italiano odierno, interrogarsi su cosa significhi “fare cultura” in un museo (e non solo) è più che necessario. Soprattutto alla luce della nuova definizione di questi luoghi della cultura, che – secondo ICOM – devono aprirsi sempre più a un’accessibilità che punti a essere davvero universale. Il lascito della Pandemia ha contribuito a riaccendere il dibattito sull’utilità sociale e sul ruolo dei musei, che si estende ormai oltre la mera “conservazione”. Questi sono infatti enti che svolgono un “servizio pubblico” e come tali devono rispondere alle esigenze della comunità in cui sono inseriti. Una comunità multietnica, con diversissimi range di età, di background di conoscenze e caratteristiche. Perché la cultura possa aspirare a essere universalmente fruibile – l’auspicio contenuto nella Dichiarazione dei Diritti Umani – servono nuove strategie pensate per le necessità dei singoli, che tengano presente le rispettive sensibilità e i significati attribuiti al patrimonio culturale. Dire che “la cultura è di tutti” non significa generalizzare e standardizzare l’offerta. È piuttosto l’opposto: lavorare per far sì che un’unica offerta di partenza si possa declinare in contenuti efficaci per ciascun utente. È questo il messaggio portante del nuovo libro scritto a quattro mani da Christian Greco, direttore del Museo Egizio torinese, e dalla Professoressa Paola Dubini. La cultura è di tutti è proprio il titolo di questa piccola – ma illuminante – opera che riflette sulla realtà museale contemporanea e sui suoi pubblici. In occasione della presentazione del volume a BookCity Milano 2024, due altre personalità rappresentanti del mondo della cultura italiano sono state invitate a contribuire con la propria esperienza sul tema. Alessandra Quarto, direttrice del Museo Poldi Pezzoli e Marco Galli, direttore del Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci. Ecco gli spunti emersi dalla discussione, che si legano e anticipano il contenuto di questo libro da non perdere.
Che cos’è la cultura per il pubblico di oggi
Interrogarsi sul “fare cultura” richiede innanzitutto di pensare a quale sia il suo valore per l’uomo di oggi. La verità sempiterna (e ancora valida) è che questa cultura è l’insieme di tutte quelle occasioni che costruiamo per comprendere la nostra ragione di vita. È un complesso vastissimo ed eterogeneo, che ha il potenziale di divenire lievito per qualcos’altro di nuovo. I prodotti culturali sono a loro volta “produttori” che aiutano a crescere stimolando domande importanti. Ne è un esempio il Museo della Scienza diretto da Galli: luogo privilegiato per l’apprendimento di materie scientifiche e tecnologiche al di fuori delle mura scolastiche. Materie indiscutibilmente culturali, benché spesso considerate un nucleo a sé. Dunque, una vera definizione di cultura che detti i confini non c’è: sono tante cose, tutte accomunate dall’avere significato per qualcuno e dal generare senso di appartenenza.
I numeri della cultura nel libro di Christian Greco e Paola Dubini
Se tanta è la cultura presente nel mondo, non è altrettanta quella consumata e vissuta; almeno per quel che riguarda gli Italiani. Lasciano piuttosto colpiti i numeri presentati dai due autori, che riflettono uno scenario povero in termini di partecipazione. Una realtà che si contrappone alla quantità di patrimonio culturale presente nel nostro Paese, che – in un territorio geograficamente ristretto – è molto più ricco di altri Stati enormi, ma poveri in questo senso.
Veniamo alle cifre. L’Italia – a confronto con l’Europa – è agli ultimi posti per partecipanti alla cultura, che registra un tasso inferiore al 50%. Dunque, un cittadino su due non si lascia coinvolgere in nessuna attività del settore, o perché si autoesclude, o perché ne è escluso. E, se la cultura è poco fruita, attrae di conseguenza pochi investimenti. Siamo infatti i terzultimi a livello europeo in termini di spesa statale per servizi culturali (0,3% del Pil) contro la media di 0,5%.
“La cultura è di tutti”: una questione di pubblici
Mettendo da parte i numeri e concentrandosi su chi, la cultura, la agisce e la consuma, fin dalle prime pagine emerge un concetto: la “cultura di tutti” è una questione di pubblici al plurale. Limitando l’analisi ai musei (ma il ragionamento è valido anche per teatri, cinema, librerie e altri luoghi simili), gli utenti che li frequentano sono molteplici e vari. Da un lato c’è chi vi entra per la prima volta e ha bisogno di essere accompagnato nella scoperta del luogo, dall’altro ci sono gli esperti e gli affezionati che pretendono nuovi stimoli e pretesti per tornare. Il museo, qui, è davvero al servizio del suo pubblico nel momento in cui riesce a soddisfare tutti con un’offerta diversificata che si dirama dal suo patrimonio.
Come un museo risponde ai pubblici secondo il libro di Paola Dubini e Christian Greco
Diversificazione è la parola chiave. Come si concretizza? Prima di tutto, nutrendo quel senso del “sentirsi a casa” che dovrebbe essere proprio di ogni luogo della cultura. L’organizzazione degli spazi deve di conseguenza ispirarsi a questo principio, creando contesti di accoglienza e comfort di visita. In secondo luogo, si deve pensare a come rispondere alla curiosità dei diversi utenti, studiando contenuti su misura per ogni target, che sappiano mettere in piedi un dialogo costruttivo. In sostanza, è una questione di allineamenti e avvicinamenti di visioni. Di lavoro sui format, sui linguaggi e sui modi di porsi nei confronti delle persone, con l’obiettivo di creare esperienze accessibili per tutti. Nel fare ciò, però, non bisogna dimenticare che spesso – come nel caso di manufatti religiosi o resti umani – si trattano materie che toccano la sensibilità di gruppi culturali diversi. Va da sé che si debba trovare un equilibrio tra utilizzo a fini espositivi e rispetto; intento non facile da realizzare.
La tecnologia a favore dell’accessibilità culturale: il caso del Poldi Pezzoli
Un esempio concreto dei contenuti del libro si ritrova nella Casa-Museo milanese del Poldi Pezzoli, con i primi due anni di esperienza sotto la direzione di Alessandra Quarto. La sua testimonianza riconferma quanto – nel ridisegnare l’offerta museale – sia importante partire dai pubblici che si intende servire. La loro nuova strategia, infatti, ha cominciato con sondare il terreno sulla percezione del Museo da parte dei Milanesi. Una percezione che, accanto alla conferma del senso di appartenenza e affezione a questa storica istituzione, ha sorpreso per l’immagine elitaria di necessità di grande erudizione per accedervi. Un posto per pochi raffinati conoscitori, insomma. Ne è derivata, dunque, una strategia improntata a migliorare l’accessibilità culturale, lavorando sulle didascalie e sui contenuti didattici offerti per avvicinare vari target alla Collezione. La tecnologia è stata d’aiuto in questo senso, con la creazione di una nuova audioguida, di podcast e di materiali digitali mirati a suscitare la curiosità di specifici pubblici. E si continua a lavorare nella stessa direzione.
L’equilibrio tra spettacolo, conoscenza e rispetto: il caso del Museo Egizio di Torino
Un’ultima riflessione a partire dal testo si intreccia con la realtà dell’istituto che uno degli autori, Christian Greco, si trova a dirigere. Il Museo Egizio di Torino. È emblematico il caso dell’applicazione della tecnologia a raggi X sulle antiche mummie, per poter scoprire cosa vi è all’interno senza aprirne gli involucri. Questo progetto da una parte ha consentito alla comunità scientifica di acquisire un grande patrimonio informativo, evitando di danneggiare i reperti. Le conoscenze sono state poi utilizzate anche per creare esperienze nuove e contenuti aggiuntivi per il pubblico curioso di “vedere dentro a una mummia”. Tuttavia, l’oggetto di analisi rimane pur sempre un corpo umano, dotato dunque di dignità. Un’eccessiva spettacolarizzazione finisce inevitabilmente per ferire la sensibilità di chi, ad esempio, ritiene inviolabili le spoglie dei defunti, o li considera propri antenati. Il caso evidenzia la difficoltà di trovare un equilibrio tra le parti e riconferma ancora una volta la varietà e complessità di ciò che aggreghiamo sotto il nome di cultura.
Emma Sedini
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