Holly e Benji: alla scoperta dell’affascinante storia del manga “Captain Tsubasa”
Oliver Hutton e Benjamin Price hanno trionfato prima in formato manga e in seguito come anime, plasmando l'immaginario di generazioni di giovani appassionati di calcio. IAnalizziamo le implicazioni culturali, sociali e sportive del fenomeno Holly e Benji, a più di 40 anni dal loro debutto sul campo
Il manga è un linguaggio proteiforme, in grado di accogliere nel suo alveo espressivo ogni sfumatura del sapere e dell’immaginario umano. Religione, gastronomia, storia, scienza, viaggi e persino la sensibilità LGBTQ+: tutto trova corpo e voce nelle sue tavole. Fra i tanti generi esplorati, lo spokon – ovvero il manga sportivo – rappresenta forse la sintesi più alta di passione e racconto dilatato nel tempo. Per noi italiani, fra i tanti titoli memorabili, uno in particolare ha avuto un’eco culturale su più generazioni, inscrivendosi nella memoria collettiva con la forza di un mito laico: Capitan Tsubasa, il capolavoro di Yoichi Takahashi arrivato in Italia come Holly e Benji-Due Fuoriclasse.
Yoichi Takahashi tra manga e calcio
Per comprendere come questo fenomeno mediatico abbia preso forma, occorre tornare al Giappone dei primi Anni Ottanta. Allora il calcio, sport per eccellenza in molti Paesi occidentali, risultava ancora un curioso forestiero all’interno del panorama nipponico, dominato da discipline radicate come il baseball o da quelle legate alla tradizione nazionale. Tuttavia, qualcosa stava mutando. Nel corso degli Anni Settanta, la scena calcistica mondiale aveva prodotto imprese epiche, duelli leggendari come Italia-Germania 4-3, la cosiddetta “partita del secolo”, e campioni entrati nell’olimpo del pallone: Pelè, Johan Cruijff, Franz Beckenbauer. Queste gesta non potevano lasciare indifferente un giovane giapponese classe 1960 che, con sguardo affamato di meraviglia, vedeva nella dinamica calcistica l’essenza di una narrazione universale.
La nascita di Holly e Benji
Quel giovane era Yoichi Takahashi. La scintilla che accese la sua immaginazione non fu solo lo spettacolo atletico, ma l’intreccio emotivo che il calcio porta con sé: la tensione del momento decisivo, il respiro trattenuto dei tifosi, lo slancio di un dribbling impossibile. L’idea di trasporre tutto questo nella forma narrativa del manga – con il suo ritmo disteso, l’attenzione al gesto singolo e alla psicologia dei personaggi – fu un’intuizione geniale. In un contesto editoriale in cui il fumetto poteva avventurarsi ovunque, Takahashi decise di narrarci l’ascesa di un ragazzino di nome Tsubasa Ozora, destinato a diventare un’icona assoluta. Tsubasa – il nostro Oliver Hutton nella versione italiana dell’anime, Holly e Benji-Due Fuoriclasse – è un prodigio del calcio giapponese. La sua parabola narrativa lo condurrà dalla squadra locale Nankatsu (divenuta New Team in Italia) ai campi del Brasile, per poi approdare in Europa, al Club Barcelona, trasparente omaggio al grande calcio continentale.
Con un segno grafico limpido, vibrante di linee dinamiche, Takahashi distribuì la sua epopea tra il 1981 e il 1988 sulle pagine di Weekly Shonen Jump, in 356 capitoli raccolti in 37 volumi. Il risultato è un racconto che, ancora oggi, conserva una freschezza sorprendente, una costante tensione verso il sogno e l’impresa. Le azioni dei giocatori sfiorano l’acrobazia circense, e l’irresistibile iperbole sportiva rende impossibile staccare gli occhi dalla pagina.
La versione animata di “Capitan Tsubasa”
La sinergia con l’anime – una serie animata prodotta in tempi record, nel fervore del post-Mondiale di Spagna 1982 – garantì una diffusione capillare e un successo folgorante. Nel 1983, il Giappone conobbe il primo episodio di Captain Tsubasa; poco dopo, nel 1986, l’Italia scopriva la magia di Holly e Benji-Due Fuoriclasse. La cadenza lunghissima delle partite, i campi dalla lunghezza infinita e il pallone deformato dalla potenza dei tiri plasmarono l’immaginario di intere generazioni. Erano gli anni in cui, sui veri campi di calcio, giocavano fuoriclasse come Michel Platini e Diego Armando Maradona: la fantasia di Takahashi s’incontrava con la storia del pallone, creando un ponte emotivo fra i giovani spettatori e le più ardue imprese sportive internazionali.
Il cartone “Holly e Benji” tra realtà e finzione
La magia di Tsubasa non si fermò agli Anni Ottanta. Negli anni Novanta, con Capitan Tsubasa J (in Italia Che campioni Holly e Benji!!!), l’eroe calcistico riprendeva la sua corsa, questa volta divenuto più maturo, più consapevole, lanciandosi verso il professionismo calcistico nel contesto europeo. Ancora una volta, la periodicità quasi mistica dei Mondiali di calcio scandiva l’uscita delle nuove produzioni: anime, manga e tornei internazionali andavano a braccetto, alimentandosi a vicenda.
Nel 2002, anno della Coppa del Mondo in Giappone e Corea, la serie Captain Tsubasa Road to 2002 celebrava l’evento con un Tsubasa ormai pienamente integrato nello scenario continentale, giocatore del Barcelona e con i suoi vecchi compagni e rivali distribuiti fra i club più prestigiosi d’Europa. Questa metamorfosi continua, incarnata in personaggi come Kojiro Hyuga (Mark Lenders), testimonia l’abilità di Takahashi nel fondere riferimenti calcistici reali e fantasia. Rivaul, ispirato a Rivaldo; Juan Diaz, chiara ombra di Maradona; Karl Heinz Schneider, omaggio a Karl-Heinz Rummenigge: la galleria di omaggi del manga è pressoché infinita, un caleidoscopio dove il confine fra realtà e mito si annulla, e il fumetto diventa una sorta di geografia sentimentale dello sport più popolare al mondo.
Il mito senza tempo di “Capitan Tsubasa”
Non sorprende che questo fenomeno abbia spalancato le porte del calcio al pubblico nipponico, contribuendo in modo decisivo alla nascita della J1 League nel 1992. Intere generazioni di calciatori giapponesi, e non solo, citano Capitan Tsubasa fra le proprie ispirazioni. Leggende come Alessandro Del Piero, Francesco Totti, Zinedine Zidane e persino Lionel Messi hanno dichiarato di essere cresciuti con Holly e Benji nel cuore. In questo senso, il racconto di Takahashi ha operato una doppia, straordinaria magia: ha reso il calcio affascinante agli occhi dei giapponesi e, al contempo, ha presentato l’universo anime e manga a un pubblico calcisticamente fervente in Europa. Un autentico ponte tra culture contrapposte: quella sportiva e quella appassionata di narrazione sequenziale, ma anche quella orientale e quella occidentale.
Oggi, nel riverbero di questa eredità, il ritiro di Takahashi dopo 43 anni di onorata carriera chiude un’era. Il maestro lascia gli strumenti del suo mestiere – pennini, fogli, inchiostri – consegnandoci un patrimonio incalcolabile. Chissà se ora dedicherà il suo tempo a formare nuove leve dell’arte sequenziale, allenatori di sogni per una prossima generazione di mangaka capaci di farci correre ancora, pallone fra i piedi, lungo campi sconfinati. Capitan Tsubasa è stato ed è tutto questo: un abbraccio infinito attorno a un pallone che non smette mai di rotolare, una sinfonia di linee che fondono passione sportiva, ethos culturale e potenza immaginifica. Che campioni, Holly e Benji; che maestro, Yoichi Takahashi.
Thomas Villa
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