
Ideato dagli artisti Giuseppe Gabellone e Diego Perrone, GRASSO è un progetto editoriale nato per sfidare le convenzioni del mondo dell’arte e dell’editoria. Uno strumento di riflessione critica e culturale, che propone uno sguardo originale sulle tematiche contemporanee, di cui sono esposte per la prima volta (e fino al 16 marzo) le sette edizioni numerate alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino. Questa doppia intervista ci racconta la genesi del progetto.
Gli artisti Giuseppe Gabellone e Diego Perrone raccontano “GRASSO”
Come hai conosciuto Giuseppe Gabellone?
D.P.: Ho conosciuto Giuseppe a Bologna, quasi trent’anni fa, perché entrambi frequentavamo il corso di Alberto Garutti. Alberto considerava l’insegnamento un aspetto fondamentale della sua vita e vi si dedicava con grande impegno. Sapeva orientare le persone “sperdute” e metterle su un percorso chiaro. Riconosceva chi avesse motivazione, formando attorno a sé un gruppo di persone interessate, di cui io e Giuseppe facevamo parte.
Quanto ha influito Alberto Garutti sull’inizio della vostra collaborazione?
G.G.: La nostra collaborazione è nata in un ambiente creativo e stimolante. Garutti, riconoscendo il nostro potenziale, ci incoraggiava a lavorare insieme e ci offriva opportunità professionali che andavano oltre il nostro ruolo di studenti. Ogni mostra collettiva era una buona occasione per fare qualcosa insieme.
Anche quando Gabellone si trasferisce a Parigi, il desiderio di rivivere e raccontare la vostra intensa dialettica, nata durante gli anni di formazione, vi spinge a riunirvi. Com’è nata l’idea di GRASSO?
D.P.: Io e Giuseppe abbiamo fatto tantissimi progetti, ma quelli realizzati sono stati ben pochi. Dopo un primo tentativo, dissolto per mancanza di fondi, Giuseppe mi propose di creare un’opera da poter diffondere come un poster, un’idea ancora vaga ma carica di potenziale.
Come ha preso forma la vostra collaborazione?
G.G.: Ci siamo incontrati una sera a cena a Parigi. Pensavo a un progetto editoriale costituito da un solo foglio molto grande. Poi Diego, che è molto bravo con i titoli, ha proposto di chiamarlo GRASSO. A me è piaciuto subito, faceva un po’ ridere, ma allo stesso tempo spiegava bene quello che doveva essere.



















Come è nata l’idea di aprire la rivista “GRASSO”
L’idea di GRASSO è cresciuta lentamente. Quali erano i parametri iniziali?
D.P.: All’inizio avevamo deciso: “Facciamo dodici numeri e poi chiudiamo“. GRASSO doveva essere qualcosa di abbondante, fuori formato, immaginato come un oggetto con una forte presenza fisica. Anche quando era chiuso, doveva essere ingombrante. L’idea era creare un oggetto “fastidioso”, che, essendo di carta, andava trattato con cura.
Nonostante le sfide logistiche, siete riusciti a trovare i fondi per finanziare il progetto?
G.G.: Fino ad oggi, il progetto è stato sempre autoprodotto, tranne il primo numero, finanziato da un collezionista. Per il settimo numero, invece, realizzato in occasione della recente esposizione alla GAM di Torino, abbiamo potuto contare sul sostegno della GAM e della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT.
Quali tematiche e approcci caratterizzano ogni uscita del magazine?
D.P.: Ogni numero di GRASSO è una sfida, in cui esploriamo stili e linguaggi diversi. Su questa superficie di due metri per tre, affrontiamo di volta in volta un tema nuovo, con un’identità e una forza proprie. Possiamo usare l’illustrazione, la fotografia o il linguaggio pubblicitario.
Ogni numero di GRASSO ha un filo comune?
G.G.: Secondo me c’è sempre il desiderio, da parte di entrambi, di essere critici nei confronti del sistema dell’arte. Leggendo i titoli e osservando le immagini proposte, questo intento emerge chiaramente. Bastoni, ad esempio, rappresenta un collezionista di bastoni esaltato, che mostra la sua collezione privata. What time is it?, ci ritrae come due drogati in balia del tempo. Goodbye Mr Artworld, è una conversazione tra l’artista Allen Ruppersberg e il critico d’arte François Piron. Il testo diventa immagine ispirandosi proprio alle opere dell’artista…
La rivista “GRASSO” alla GAM di Torino
Com’è nata l’idea di questa ultima edizione presentata alla GAM di Torino?
Il settimo numero lo abbiamo intitolato Amedeo Special, ispirato a un cocktail creato negli Anni Quaranta da Amedeo Gandiglio, barman del celebre locale torinese Chatam. Abbiamo deciso di dedicare questa edizione alla città di Torino, in occasione della sua presentazione alla GAM, su invito di Elena Volpato.
Come avete scoperto il cocktail Amedeo Special e come l’avete rivisitato?
G.G.: È stato il giornalista Corrado Beldì a farci scoprire il ricettario di Amedeo Gandiglio, illustrato da Ettore Sottsass, e così abbiamo trovato l’Amedeo Special, un cocktail composto da gin, panna, sciroppo di menta e un po’ di ghiaccio. Per riportarlo in vita, abbiamo chiesto all’Head Bartender Marco Torre, del bar Cavour di Torino, di rivisitarlo. A cinquant’anni di distanza, con l’aggiunta di un estratto di limone, Marco è riuscito a renderlo trasparente, condensando un cerchio di menta al centro del bicchiere.
Quali scelte stilistiche avete applicato questa volta?
D.P.: Abbiamo deciso di rendere “mistica” questa trasparenza, ingrandendo l’immagine fino a creare un bicchiere alto tre metri. Questo sconfinamento trasforma l’oggetto in un paesaggio. In genere partiamo da un ragionamento iniziale, ma alla fine ci lasciamo guidare dall’intuizione, credo sia essenziale nel lavoro creativo.
Il futuro della rivista Grasso
Qual è il futuro di Grasso?
G.G.: Collaborare con le istituzioni ci sembra un’idea interessante, che ci alleggerisce anche del peso economico che stava diventando scoraggiante. Ora siamo pronti per il prossimo numero e speriamo di coinvolgere altre istituzioni per completare i dodici numeri che avevamo in programma.
E dopo Grasso, cosa dobbiamo aspettarci?
Non so cosa accadrà dopo il dodicesimo numero. Se arriviamo a dodici, sarà già un grande traguardo.
Donatella Giordano
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