L’Orlando innamorato e la pittura di Mimmo Paladino. Un nuovo libro tra poesia, arte, critica letteraria
Un prezioso volume racconta e interpreta il celebre poema di Boiardo, la saga dell’Orlando innamorato, in dialogo con un corpus di disegni originali di Mimmo Paladino. Un viaggio fantastico, alle radici della grande letteratura italiana.
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Lo aveva già fatto con l’Iliade e l’Odissea e con la Divina commedia, fra le cui trame si era immerso, rubandone immagini e storie per ricavarne visioni ulteriori. Oggi Mimmo Paladino, tra gli artisti italiani più influenti, uno dei padri della Transavaguardia, torna a confrontarsi con una grande opera letteraria: si tratta stavolta dell’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo, a cui dedica una serie di splendidi lavori su carta, confluiti nel volume Acque della magia. Matteo Maria Boiardo e L’inamoramento de Orlando (Metilene edizioni, 2024), scritto da Rosita Copioli. Un progetto editoriale in cui critica letteraria e arte visiva si incontrano, ruotando intorno al celebre poema cavalleresco del 1483 e sviluppandone temi, profili dei personaggi, riferimenti storici e stilistici. Undici capitoli, intitolati ognuno a una parola chiave e suddivisi in paragrafi tematici: la struttura segue lo sviluppo narrativo del poema e lascia fiorire letture, comenti, approfondimenti intorno a frammenti del testo, mentre le 30 illustrazioni di Paladino scandiscono tempi e luoghi di questo viaggio a più dimensioni.
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I disegni di Paladino, tra critica letteraria e poesia del ‘400
Non si tratta dunque del consueto taglio antologico, ovvero di immagini realizzate per arricchire un’edizione speciale di un classico, ma di una promenade attraverso la trama dell’opera, scoprendo con l’autrice il significato dei versi e la loro straordinaria potenza evocativa, descrittiva, immaginativa, tra implicazioni filosofiche, simbolismi, incantesimi, avventure fantastiche e riferimenti colti.
“La mia non è una mera trascrizione visiva delle parole di Boiardo – spiega Paladino – ma un’interpretazione. Raramente disegno ciò che è scritto, preferisco che l’immagine nasca da una lettura emotiva e simbolica del testo. Orlando è per me un simbolo che ho conosciuto sin da bambino, attraverso i pupi siciliani e le leggende popolari. È un personaggio che appartiene al nostro immaginario comune e che ha il potere di parlare a tutti, indipendentemente dall’epoca in cui lo leggiamo.” Ed ecco figure come fantasmi apparsi tra sogni, meditazioni, pagine di libri, vecchi disegni, iconografie personali, scavando nel bianco del foglio e accendendo scintille di memoria. Le avventure di Angelica, Orlando e Renaldo trovano nuovi paesaggi, nuovi oggetti di scena e arsenali simbolici, con cui declinare ancora e ancora le loro straordinarie avventure, a distanza di secoli da quella fortunata genesi letteraria, a cui Boiardo non poté dare una fine: rimasta incompiuta a causa della morte dell’autore, l’opera in tre parti stimolò il genio di Ludovico Ariosto, che concepì così il suo Orlando Furioso, innestatosi sul corpo luminoso e aperto dell’altro poema, con tutte le evoluzioni linguistiche, di registro, di contesto e di sensibilità che ne derivarono.
Opere efficaci, quelle di Paladino, grazie a una dose di leggerezza, di freschezza e insieme di intensità, restituite nella sintesi del segno, nella rapidità del tratto, nell’essenzialità della sintassi compositiva, nella ricchezza del colore. Una sequenza di cavalli, dame, cavalieri, elmi ed armature, cieli di zaffiro e orizzonti lunari, torri di guardia e aristocratiche dimore in lontananza, ombre di morte e giardini incantati: così galleggiano nel vuoto di una storia millenaria queste presenze senza tempo, imbevute di una luce dell’origine che attraversa gli imperituri miti e le grandi saghe della letteratura, dall’epopea cavalleresca francese e bretone (la Chanson del Roland e le avventure di Re Artù), alla ricerca italiana quattrocentesca, che da quella tradizione attinse, non senza passare dai riferimenti omerici e da fascinazioni di matrice orientale.
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Temi e simboli nell’Orlando innamorato
Scrive Copioli a proposito di Boiardo, con una prosa vibrante e colta:
“Come solo i poeti più grandi scavalca il tempo. I suoi classici non sono più soltanto quelli dei suoi contemporanei. Anzi, anche in loro capta le origini. Li sottrae dai bassorilievi con i centauri e le ninfe mosse dal vento, dai decori di cui adornano le sale della mente; li scioglie dai glifi alessandrini, gli ornati squisiti, le eleganze murali della Domus Aurea (scoperta nel 1480), che Pinturicchio rifà con i compagni; ridà colore al bianco dei marmi, polpa e sostanza alle ombre sottili prigioniere di ricordi stinti o di tenaci allegorie; rinfonde sapore alle storie, suono presente immediato alle parole. Un medium che cede un po’ della sua vita, perché dalla loro estrae qualcosa delle loro stesse origini. Riporta l’amore alle radici di Afrodite, a quelle di Elena, all’alternarsi di scompenso e di equilibrio nel ciclo della natura; con una devozione, accompagnata de un certo tremore, per l’oscurità della terra: non alla ragione sublimata. Coltiva dunque una sapienza “fisica”, come quella descritta da Lucrezio: la possediamo nel corpo che sente il potere lievitante della primavera.
Inoltre accarezza un’immaginazione orientale, che rende carnose le figure psichiche. Dà loro corpo e ali come all’interno di una fiaba popolata di demoni femminili che si levano in aria come uccelli, ora sbucati da un romanzo alessandrino, ora dai mistici persiani e dal ricco tappeto delle Mille e una notte. Sono figure che scorrono per secoli in Spagna e in Sicilia, nella poesia occitana che la corte estense amava (il Canzoniere provenzale estense è un codice nutritissimo), e tra i primi inventori europei delle storie del Graal“.
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L’inamoramento de Orlando” di Rosa Copioli, 2024 – Tavola VII, tecnica mista su carta
Vivono così nella scrittura dell’autrice, come immagini risorte, dispiegate e ricomposte, le parole di Boairdo organizzate in ottave, catene di endecasillabi saldamente edificate e poi pervase da un’energia creativa che ne espande la frequenza e ne allarga la portata, spezzando i limiti stessi del rigoroso impianto lirico. Una scrittura dotta, quella di Rosita Copioli, al servizio di una puntuale esegesi critica, quanto appassionata: in essa risuonano il respiro ampio di quei versi, il loro vigore fiammeggiante, la corsa dell’immaginazione e il cesello della ricomposizione iconografica, tra infiniti strati di materia poetica, musicale, fiabesca, mitologica, esotica.
E in questo incipit della storia, due sono gli elementi cardine individuati: l’amore – assoluto protagonista – e il motivo atavico della fonte miracolosa, che torna nelle narrazioni di tutti i tempi, a tutte le latitudini. Acqua divina, come intoccabile ambrosia, sorgente dell’amore o del disamore, oppure della forza, della rinascita, dell’eterna giovinezza. Acqua che incatenò a un artificio sentimentale Angelica e Renaldo, costringendoli alla passione erotica o al disprezzo, al desiderio o alla repulsione: “Boiardo sceglie un filo da seguire: quello del boivre amoureux. Ne considera il tema, insieme ai miti greci e latini, da Platone agli alessandrini, e alle storie orientali, in una sintesi simbolica che sembra ispirata dalla philosophia perennis. Essa è costruita anche secondo lo schema dell’opera alchemica, ma va letta delicatamente, piano su piano, livello su livello, particolare che illumina particolare ed episodio, in infiniti raccordi di senso, che permettono sempre nuove interpretazioni“.
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Pittura come poesia
E nuove interpretazioni arrivano anche grazie alle tavole di Paladino, accostate ad alcune delle 4.429 ottave, di cui liberamente vengono colti spirito e suggestioni. Riletture visive che guidano l’immaginazione, come quello spicchio di luna, inciso nel brillio di un cielo liquido d’acquerello, intenta a vegliare sugli umani destini, irrimediabilmente esposti al caso (“Tutte le cose sotto della luna, / L’alta ricchezza, è regni della terra, /Son sottoposti a voglia di Fortuna: / Lei la porta apre de improviso e serra, /E quando più par bianca, divien bruna”); o come nel ricordo di quella notte feroce, squarciata dalla lotta tra Renaldo e il mostro di Rocca Crudele, quando da lontano sopraggiunse in volo una leggiadra figura di donna: era Angelica, di nuovo giunta in soccorso del cavaliere (“Ed ecco sotto il lume dela luna, / Però che era sereno e il ciel stellato, / Sente per l’aria non scià che volare: / Quasi una dama nel’ombra li pare”).
Si erge poi come una rocca incantata a picco sul mare, quasi un miraggio in dissolvenza, il Palazzo Zoioso in cui Renaldo era stato trasportato a bordo della nave del mago Malagrise, dietro iniziativa di Angelica, decisa a conquistarlo con un artificio: “isola-giardino circolare, è il Regno dell’Armonia, la realizzazione del giglio d’oro e dell’ermafrodito attraverso le sette fasi dell’opera alchemica. Tutto vi è simbolico”, scrive l’autrice; e poi la morte, che in tutta l’opera s’intreccia con eros, suo controcanto oscuro e spirito della battaglia, della sfida, del destino avverso, che in una tavola Paladino sintetizza in una grigia creatura d’ossa e ombre; o ancora i tanti animali protagonisti di mirabolanti avventure: dal fidato destriero, che qui è segno primordiale, essenziale silhouette nera come carbone, alla snella creatura alata, cavalcata osservando dall’alto l’irriducibile dismisura del paesaggio; dall’asino coperto di scaglie d’oro, con lunghe orecchie e coda di serpe, al drago con la bocca di fuoco, “perfido gigante” qui restituito nei brevi, sinuosi tratti multicolore.
Sono solo alcune tra le belle trasposizioni dal testo poetico al testo pittorico, che questo volume offre al lettore, quasi a restituire nel processo creativo e nell’architettura editoriale quell’idea alchemica della trasmutazione, la linea spericolata della metamorfosi, la formula segreta dell’incantesimo e la legge di ogni passaggio di stato, di cui le “acque delle magia” sono archetipo o metafora, di racconto in racconto infinitamente declinate.
Helga Marsala
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