In uscita in Italia il secondo volume dell’autrice ed artista Mieke Bal 

Dopo l’esordio nel 1985, “Narratology in practice” della studiosa olandese viene tradotto in italiano per una disamina della narratologia che, come mostrano introduzione e casa editrice, impatta maggiormente sul fronte delle arti visive anziché letterarie

È la storica dell’arte contemporanea Carla Subrizi ad introdurre la versione italiana di Narratology in practice, 2021 che, scritto da Mieke Bal, si offre al lettore quale prosecuzione e complemento di Narratology: Introduction to the Theory of Narrative, del 1985 e giunto nel 2017 alla sua quarta edizione. Volume, ormai ritenuto un classico della narratologia contemporanea in area anglofona, da cui l’autrice riprende tanto i concetti fondamentali della sua riflessione intorno alla narratività, che in questa tappa trovano un’applicazione forse meno sistematica rispetto a quanto suggerito dal titolo; come pure lo sviluppo dei capitoli a partire da una serie di Osservazioni preliminari e la conclusione con l’approfondimento bibliografico.

Mieke Bal verso una ricerca che fonde teoria e pratica 

Mieke Bal, co-fondatrice della Amsterdam School of Cultural Analysis alla Amsterdam University, all’attività critica e accademica unisce il lavoro di videoartista e curatrice; incarnando un ideale di ricerca che mira all’abolizione della tradizionale divisione tra teoria e pratica, secondo una prospettiva che guarda ai testi (lemma impiegato nella sua accezione semiotica e quindi con riferimento ad ogni tipo di produzione mediale, non solo letteraria) nella loro complessità di fenomeni culturali, socialmente radicati e politicamente agenti. 

Mieke Bal, Narratologia in pratica, postmediabooks, 2024, 210, pp. 36 ill.
Mieke Bal, Narratologia in pratica, postmediabooks, 2024, 210, pp. 36 ill.

Un anti-metodo dialogico, in pratica

Narratologia in pratica è l’unico lavoro di Bal tradotto in italiano, a cura di Sara Benaglia, non a caso pubblicato da Postmedia e introdotto da Carla Subrizi, professore associato di storia dell’arte contemporanea alla Sapienza di Roma, esperta nelle pratiche artistiche femminili dagli anni Sessanta al presente. Dunque, tanto la collocazione editoriale, quanto la cornice para testuale, mostrano come l’attenzione verso il pensiero di Bal all’interno del panorama critico italiano (ma ciò non dovrà stupire) provenga più dal fronte della riflessione sulle arti visive che da quello della teoria letteraria.  Il metodo della studiosa olandese, come scrive Subrizi, è in effetti un “anti-metodo”. Bal non intende applicare questa o quella categoria ai propri oggetti d’analisi, ma prova a desumere dagli oggetti stessi quei “concetti che sono messi in dialogo, o in discorso, con la teoria”; facendo in modo che testi, teorie e lettori/spettatori si riconoscano intrecciati in un rapporto dinamico e sempre diveniente, ricollegandosi esplicitamente all’eredità del dialogismo bachtiniano, riletto alla luce del post-strutturalismo di Kristeva. 

Intertestualità, interdiscorsività e intersoggettività in Mieke Bal

Bal, infatti, fa di intertestualità, interdiscorsività e intersoggettività i tre principi cardine del suo approccio interpretativo, mettendo al centro del processo di produzione di senso dell’opera il momento ricettivo, inteso come atto non solipsistico ma necessariamente relazionale. Da un simile presupposto deriva anche un altro aspetto cruciale della sua prassi ermeneutica, ovvero la natura “dissidente” e insubordinata che l’ha condotta a mettere in discussione i confini imposti dall’accademismo tradizionale attraverso la convinzione che l’interpretazione sia una “forma privilegiata di elaborazione artistica”; come dimostra la realizzazione di quelle che lei stessa ha altrove definito “theoretical fiction”. Tipologia a cui appartiene il film Madame B. (Bal, Gamaker, 2012-1014), sul quale il libro torna di frequente, in quanto luogo teorico esemplare ove si condensano alcune delle modalità operative più interessanti della proposta narratologica di Bal.

Testo, fabula, storia

L’autrice inizia l’esposizione in medias res, dichiarando sin dalla prima pagina la tesi centrale del suo lavoro: una proposta di divisione triadica dei livelli di narrazione, alternativa a quella binaria classica che, ai suoi occhi, appare un retaggio dell’opposizione passatista tra forma e contenuto. La distinzione tra testo, fabula e storia, esplicitata nel precedente volume, all’interno di Narratologia in pratica non risulta forse di immediata comprensione, contribuendo evidentemente a complicare – come anche Bal riconosce – la lettura delle opere; e tuttavia rivela la sua efficacia operativa alla prova delle analisi; soprattutto laddove l’autrice decide di gettare non solamente uno sguardo “a volo d’uccello” ma di entrare dentro i testi, propri e altrui, esplorandone i meccanismi di costruzione e ricezione. Resta il fatto che gli incroci disciplinari talvolta repentini; le combinazioni concettuali eterodosse; l’accumulazione volutamente frammentaria di analisi; nonché la mole di pre-cognizioni richieste a chi legge, rendano l’attraversamento del libro a tratti faticoso, soprattutto per coloro privi della dimestichezza col contro-apparato teorico di Bal e dei cultural studies.
Il volume, d’altronde, spazia, senza stabilire gerarchie o porsi problemi relativi ad una supposta metafisica dell’originario e dell’originale, da Flaubert a Proust, da Shindler’s List (Spielberg, 1993) alla videoarte; intrecciando analisi testuale e costruzione teorica. Ad esempio, Bal si concentra diffusamente sull’opera In Search of Vanished Blood, realizzata dall’artista Nalini Malini per DOCUMENTA 2012. L’installazione le consente di mostrare cosa sia un narratore multiplo e di esporre un’altra distinzione triadica, quella tra narratore, focalizzatore e attore; mentre, Spider di Louis Bourgeois (1997), scultura particolarmente cara all’autrice, su cui aveva già scritto un articolo, viene posta in una relazione dialogica di complementarità col racconto di Borges Il giardino dei sentieri che si biforcano (1983). Rapporto a partire da cui la studiosa cerca di illuminare concetti come quello di “pensiero-immagine”, di “eteropatia” o di spiegare in cosa consista la complessa questione del “tu” del narratore. 

Mieke Bal, Michelle Williams Gamaker, Madame B, 2013
Mieke Bal, Michelle Williams Gamaker, Madame B, 2013

Madame B. Teoria e affetti

Quest’ultima viene affrontata alquanto ampiamente nel paragrafo Descrizione, a proposito di un’operazione di reframingche la vede coinvolta insieme a Michelle Williams Gamaker nella realizzazione del già citato Madam B. (2012-2014). Partendo dall’assunto che il realismo flaubertiano non sia un’imitazione della realtà ma una sua critica, la Bal guarda ai lettori come parte della narrazione, ovvero come corrispondenti a quella “seconda persona” che “costituisce la cultura contemporanea che Flaubert criticava ferocemente, invece di rappresentarla”. Le due registe scelgono di abbandonare il criterio di fedeltà per abbracciare, invece, quello meno superficiale di lealtà (la distinzione è di Bal), giocando con alcuni punti del testo e agendo soprattutto sul piano dell’affettività; secondo una suggestione che arriva da Gilles Deleuze. Il capitolo affrontato è il settimo di Madame Bovary, prevalentemente descrittivo e incentrato sulla rappresentazione del contesto sociale dal quale Emma resta esclusa, preannunciandone il suicidio. Nella cronologia del film la sequenza viene anticipata all’inizio dei titoli di testa con una serie di inquadrature, descrittive anch’esse, alle quali viene attribuito un valore predittivo tramite la messa in scena di una casa in rovina e di Emma abbandonata e sola in un campo vicino. Il principio di lealtà agisce dunque a livello del testo e dell’affetto prodotto; allo stesso modo, il tema dell’abitudine distruttiva o il rilievo stilistico della scrittura flaubertiana vengono ripresi nel film per mezzo di espedienti “creativi” (dei quali si afferma la valenza critica) e proprio là ove Bal parla del passaggio dal romanzo al film si chiarisce al meglio la distinzione tra testo fabula e storia dalla quale Narratologia in pratica aveva preso avvio. 

Narratologia politica, narratologia è politica   

La narratologia di Bal è in sostanza un’euristica, essa si allarga dal testo, visto in tutte le sue possibili concretizzazioni mediali, alla vita collettiva. In particolare, è la focalizzazione lo strumento che consente di rilevare di volta in volta non solo chi guarda e chi parla, ma anche – insiste Bal – chi non guarda e chi non parla, e perché. In tal senso la focalizzazione è anche “uno strumento di manipolazione e persuasione” attivo in tutte le tipologie del discorso; perciò, riflettere sul suo funzionamento invita il lettore-spettatore ad assumersi la responsabilità delle proprie interpretazioni tenendo da conto la loro natura anacronistica (il presente delle opere molto spesso non coincide col presente dello sguardo).
Questo invito al discernimento assume per Bal una valenza eminentemente politica, non nell’accezione partigiana del termine ma in quella proposta dalla politologa belga Chantal Mouffe (On the political, 2005). Per entrambe il politico coincide con la “dimensione dell’antagonismo”, accolto anche nella sua versione più “pericolosa”, in quanto contraltare di una ben più subdola politica del consenso e della non-conflittualità. La narratologia dunque, declinata e “aperta” secondo un approccio interdisciplinare e culturale che non sia di mera superficie, spalancherebbe l’accesso ad uno spazio intersoggettivo che è il solo – nella visione dell’autrice – a porsi oggi come socialmente significativo. L’obiettivo generale che viene fuori dal “mosaico” di analisi, riflessioni e concetti che compongono la trama a-sistematica di questo libro può essere sintetizzato nell’invito di Bal all’impiego una “prassi critica, accademica ed educativa più aperta”; che lasci “spazio ai punti di vista di coloro che rispondono all’arte da una posizione sociale meno dominante»” dischiudendo la via ad “una comprensione migliore, più diversificata e complessa della cultura”

Viviana Triscari

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