Quando il fumetto diventa un gioco
Il mondo in cui fumetti e gioco si muovono, in fondo, è lo stesso. È il mondo della fantasia. Il regno dell'impossibile che diventa possibile. Era quindi impensabile che i due universi non entrassero velocemente in contatto e si alimentassero a vicenda…
Inizialmente erano i fumetti che facevano da background a giochi che avevano più o meno successo. Un successo spesso legato proprio alla popolarità della storia narrata sulle pagine di qualche albo. Neppure troppo lentamente, la contaminazione è diventata completa. E molti fumettisti, oggi, si dicono appassionati di giochi di ruolo e, a loro volta, giocatori.
Questo nonostante fino a pochi anni fa il mondo dei fumetti guardasse a quello dei giochi con la sufficienza dovuta a chi si pensa “inferiore”. Ora qualcosa è cambiato. Un personaggio “trasversale” che ben sintetizza la portata di questo cambiamento è John Kovalic. A lui si deve uno dei giochi più dissacranti e divertenti, ma anche di maggior successo degli ultimi anni: Munchkin.
Ma anche le strisce di Dork Tower, dissacrante fumetto su un gruppo di geek che vive in una città immaginaria del Winsconsin e nei quali ognuno riconosce piccoli e grandi difetti che in fondo appartengono un po’ a tutti. Alla base delle creazioni di uno dei personaggi che viene additato come “geniale” vi è la personalissima passione per il gioco e per il mondo che vi gira attorno.
Quando partecipa a manifestazioni come Lucca Comics & Games, il pluripremiato Kovalic non manca di concedersi sessioni di gioco, dove lui stesso masterizza le partite. “Fondamentalmente trovo divertente giocare”, dice, “e penso che sia un ottimo stimolo per la mia fantasia”. Insomma, fino a pochi anni fa si poteva dire che i giochi – con le carte, sui tabelloni o su uno schermo – prendessero vita dalle strisce. Adesso questo confine si fa sempre più labile, e in realtà non è più nemmeno possibile delineare se esista o sia semplicemente una linea di demarcazione virtuale, che serve ai critici per delimitare un confine che, già oggi, forse non esiste più.
Federica di Spilimbergo
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #5
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