Tutto il male della satira
La satira è morta. O forse non sta tanto bene. Perché? Non morde. E al posto dei ruggiti troviamo Vauro che gioca a "miss maglietta bagnata" con Sara Tommasi. Così, mentre il doppio "male" si combatte nelle edicole, la satira scompare. Mamma, però, ci salverà.
Diciamocela tutta: la realtà ha superato la fantasia. Ok, non è un pensiero nuovo. Ma ciò che oggi fa male è assistere disarmati agli show quotidiani di politici e personaggi pubblici che alimentano la loro notorietà – e l’eco mediatico che ne consegue – rilanciando la posta sul piatto con parole e considerazioni abnormi. Ci hanno privato anche della libertà di urlare al cielo che il re è nudo. Perché il re – anzi, i re – si spogliano da soli. Le regine non portano le mutande, e chi sta a corte si fa già trovare pronto: cintura slacciata, coppa di champagne in mano e battute fra i denti, pronte a essere sparate.
E la satira? Tace. Anzi no, partecipa. Anziché aggredire con ferocia e sarcasmo, facendo valere tenacia e coraggio, rinuncia ora ai valori del satiro giocando con chi alimenta l’equilibrio ormai sdoganato tra eros e politica. E così Vauro – il compagno anti-berlusconiano, combattente, allontanato dalla Rai per la censura di una vignetta fra l’altro azzeccata – ha riportato in vita Il Male e scherzato con “l’esperta in finanza” Sara Tommasi – che è ormai solita mostrare il culo ai vari bancomat di Roma – per lanciare l’ultimo numero della rivista satirica che dirige. La scena è apocalittica: Vauro ride, la Tommasi indossa la maglietta che è valsa la gastrite a Diliberto (“La Fornero al cimitero”) e grida perfino “viva a topa!”.
D’accordo, la “topa” è stata sdoganata sulle civette che campeggiano fuori dalle edicole già parecchi anni fa. Merito del Vernacoliere. Che prima ha osato, poi ha vinto la sua (e nostra) battaglia legale. Ma l’uso delle parole, anche senza censura, cambia a seconda di chi le pronuncia.
Ormai questo non importa più a nessuno. Così in edicola ci troviamo due edizione de Il Male: uno di Vincenzo Sparagna, l’altro di Vauro e Vincino (che addirittura triplicano l’offerta con altrettante riviste, tra speciali e edizioni straordinarie). Ognuno sostiene di essere il vero Male. Ma l’unica cosa che hanno in comune le due testate, oltre al nome, è la quasi totale assenza d’intelligente cattiveria. Gli autori, per buona fortuna, si fanno forti del bel segno. Ma ci si limita ad amplificare i personaggi-macchietta che già conosciamo bene. Questa è una satira che non morde. Più attenta a conquistare fette di mercato che a tradurre l’eredità pesante di un pezzo di storia della satira e della società.
Il Vernacoliere, ahinoi, ha smesso di mordere da tempo. E sia chiaro: non è un problema di censura. Perché si può dire e scrivere tutto. Già anni fa Indro Montanelli, ricordando la strage di piazza Fontana e l’assassinio del commissario Calabresi nella sua Storia d’Italia, parlando di Dario Fo e del “dotto cavalcioni” (o “commissario finestra”) disse che “queste cose non si combattono con la censura, che le avvalora. La censura implica che il potere ha paura della verità e quindi tappa la bocca alle cose”.
E infatti oggi la censura è quasi del tutto assente. Quasi come la satira, che non si esercita certo attraverso le vignette delle prime pagine dei quotidiani più diffusi. L’unica speranza di salvezza passa attraverso le coraggiose iniziative editoriali indipendenti come Mamma. Il sottotitolo è esplicito: Se ci leggi è giornalismo, se ci quereli è satira. Eppure ci sono contenuti e immagini che fanno credere che una voce “contro” è ancora possibile trovarla. “Siamo un gruppo di donne e uomini nudi, uniti da un impulso creativo inarrestabile: cambiare la storia della satira italiana. Siamo nudi”, si legge nell’incipit del loro manifesto, “per il gusto di praticare l’onestà intellettuale, perché non abbiamo le spalle coperte da nessuno, e perché la lana pesante dei vestiti ideologici ci da prurito alla fantasia, e ci stimola a spogliarci di ogni preconcetto, per ridere delle contraddizioni di ogni dogma e verità incontestabile…”. Insomma, Mamma è sempre la Mamma. E alla fine, citando Nicola, è anche un gioco di “resistenza precaria”.
Gianluca Testa
www.mamma.am
www.ilmale.net
www.frigolandia.eu
www.vernacoliere.com
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