Matite in difesa della libertà di stampa: il diritto d’autore secondo il Corriere della Sera
Il Corriere della Sera ha raccolto in volume alcune vignette disegnate da autori italiani e stranieri, liberamente e spontaneamente create in reazione alla strage di Charlie Hebdo. Tra gli autori coinvolti ci sono nomi noti nel mondo del fumetto: Milo Manara, Vanna Vinci, Leo Ortolani, Roberto Recchioni, Giuseppe Palumbo, Giacomo Bevilacqua, Gipi e altri. Ma il diritto d’autore che fine ha fatto?
Il libro Matite in difesa della libertà di stampa edito dal Corriere della Sera, i cui ricavi saranno destinati a Charlie Hebdo, è stato distribuito prima in edicola (il 14 gennaio a Milano e il 15 gennaio in tutta Italia) e sembra che sarà distribuito anche in libreria (dal 16 gennaio).
Tale operazione editoriale sta animando le discussioni sul web, poiché prima della pubblicazione non sono state richieste le necessarie autorizzazioni a tutti i soggetti interessati.
Come noto, la legge sul diritto d’autore (legge 22-4-1941, n. 633) riconosce agli autori di opere dell’ingegno di carattere creativo il diritto morale e patrimoniale d’autore, che sorge per il fatto stesso della creazione dell’opera. Ogni forma di utilizzazione delle opere deve essere autorizzata dall’autore o dai soggetti ai quali l’autore abbia trasferito i propri diritti. In applicazione del principio di libera trasferibilità dei diritti, l’autore può liberamente decidere di donare la propria opera oppure può chiedere il pagamento di un compenso. Dall’altra parte, chi voglia utilizzare un’opera altrui deve preventivamente chiedere l’autorizzazione, sia se viene perseguito un fine commerciale o di lucro, sia se l’utilizzazione viene effettuata a titolo gratuito (l’utilizzatore non percepisce un compenso dai fruitori dell’opera) o per fini di beneficenza (l’utilizzatore percepisce un compenso che viene destinato a fini sociali ecc.).
Tornando all’iniziativa del Corriere della Sera, sembra che la fase preliminare della negoziazione dei diritti d’autore non sia stata adeguatamente gestita e che siano state commesse alcune “leggerezze”.
Sul piano strettamente giuridico le argomentazioni del Corriere (fine di beneficenza, tempi redazionali) sono molto deboli, poiché – fatta salva la creatività giuridica – la riproduzione a mezzo stampa e la pubblicazione in raccolta di opere senza l’autorizzazione degli autori costituiscono violazione della legge sul diritto d’autore.
La dicitura apposta sul volume secondo cui “l’editore dichiara la propria disponibilità verso gli aventi diritto che non fosse riuscito a reperire” non giustifica la condotta del Corriere. Si consideri, per esempio, che per le opere orfane – recentemente disciplinate anche in Italia in attuazione di una direttiva comunitaria – viene imposta una ricerca diligente per individuare i titolari dei diritti, da effettuare prima dell’utilizzo dell’opera, consultando fonti di informazione appropriate.
Nel caso di specie una semplice ricerca su Google avrebbe fornito all’editore le necessarie informazioni di contatto; tutto ciò senza considerare che la Rizzoli Lizard (marchio editoriale dedicato al fumetto) ben conosce il mondo del fumetto.
Tra gli strumenti civilistici che la legge mette a disposizione dell’autore i cui diritti siano stati violati ci sono l’inibitoria alla prosecuzione della violazione e il risarcimento del danno.
Per quanto riguarda l’inibitoria è auspicabile un comportamento cautelativo da parte dell’editore, che potrebbe sospendere o rinviare l’ulteriore distribuzione del volume.
Per quanto riguarda il risarcimento del danno, la legge sul diritto d’autore stabilisce che il danno può essere liquidato in via forfettaria sulla base del “prezzo del consenso”, cioè “sulla base quanto meno dell’importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto” (art. 158 legge n. 633/1941).
È bene aggiungere che – secondo un orientamento giurisprudenziale – la liquidazione forfettaria del danno può essere maggiorata affinché il risarcimento non risulti economicamente premiante per l’autore della contraffazione. In altre parole, chiedere soltanto l’equivalente del “prezzo del consenso” finirebbe per costituire un incentivo alla contraffazione, nella misura in cui il contraffattore si vedrebbe chiamato a pagare in ritardo, magari all’esito di un giudizio, quanto avrebbe pagato il soggetto che avesse invece correttamente negoziato una licenza con il titolare dei diritti. Inoltre, con la sola applicazione del prezzo del consenso verrebbe negata al titolare del diritto la possibilità di scegliere se, a chi e a quali condizioni concedere i diritti.
La questione è molto delicata, anche perché se si prendono in considerazione le implicazioni sul piano morale, dell’immagine e della personalità degli autori rispetto alle scelte editoriali, si potrebbe aprire un altro lungo capitolo.
A questo punto, non resta che vedere come si muoverà il Corriere, da una parte, e gli autori, dall’altra.
Raffaella Pellegrino
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