Dialoghi di Estetica. Parola ad Alessandro Caligaris e Antonio L. Falbo
Un illustratore e pittore, Alessandro Caligaris, e uno scrittore, Antonio L. Falbo sono gli autori di Revolushow, graphic novel pubblicato nel 2016 da Eris Edizioni. Un fumetto dal sapore fantascientifico e a tratti surreale, in cui immagini grottesche sono mischiate a scenari post-atomici. Insieme ai due giovani autori abbiamo discusso del fumetto come forma d’arte e della relazione tra immagini e parole.
L’immaginario visivo di Revolushow riprende quello di Hoarders (il primo graphic novel, interamente scritto e disegnato da Alessandro) quasi si trattasse del secondo capitolo di una saga. Quali sono i temi che accomunano i due volumi?
Abbiamo cercato di riprendere quelli che avevo già esplorato anche nei miei quadri: la relazione tra rovine e idoli, tra il nocciolo duro del reale e la sua narrazione. Ci interessava sviluppare un racconto servendoci delle immagini per dare forma proprio a questi temi.
Come riuscite a ottenere questo risultato con il graphic novel?
Con la costruzione di scenari visivi diversi. In Hoarders mostrano lo spazio di coloro che stanno “fuori” da un centro, lo spazio degli esclusi che vivono ai margini, tra le rovine. In Revolushow gli scenari offrono invece un’immagine dall’interno di uno spazio che sembra essere ormai il centro nella nostra società contemporanea, nonostante sia il non luogo per eccellenza.
Qual è l’ingrediente che contraddistingue questi scenari?
Soprattutto la loro natura metaforica. Credo che le immagini siano poco più di un’eco delle notizie sui fatti della nostra quotidianità – dalla cronaca alla politica alle problematiche sociali. Allo stesso tempo, sono anche poco meno di questi eventi, proprio perché valgono come metafore visive della contemporaneità, di accadimenti reali ben più duri e difficili.
Da dove trae origine questo modo di lavorare con le immagini?
Il punto di partenza è l’interesse per i fatti quotidiani e per la società contemporanea. Se spogliamo le immagini dalle loro vesti metaforiche, forse possiamo riconoscere meglio un aspetto che non smette di incuriosirci: la continua oscillazione tra “banalità ininterrotta e catastrofe imminente” (per riprendere le parole di Marco Belpoliti) che è già davanti ai nostri occhi anche in altri formati visivi.
Questo vale anche per i personaggi che popolano i quadri?
Sì, sono come immagini che riassumono diversi paradigmi dell’umano. Ma, nel caso del graphic novel, la possibilità di ritrarli e di narrarne le storie è di gran lunga superiore.
Gli scenari sono spesso contraddistinti da un eccesso di presenze, dal sovraffollamento di elementi visivi. Si tratta di un modo per amplificare il nostro apprezzamento per le immagini?
In gran parte sì. Questo sovraccarico, e quindi anche il nostro piacere per l’immagine, serve però anche per portare il lettore a prendersi il tempo necessario per cogliere gli sviluppi della narrazione e il valore che ha l’immagine. L’idea è di poter usare l’immagine come se fosse uno strumento critico.
Ambizioso. Ma come si fa a usare le immagini e allo stesso tempo a renderle strumenti critici?
Non siamo convinti che si possa sottrarre l’immagine dal suo ruolo o riuscire facilmente a sfuggire dalla sua forza. Il tentativo è piuttosto di creare una narrazione molto complessa a livello visivo, sia sul piano dei contenuti sia su quello dei suoi riferimenti, al fine di impegnare il lettore a prendersi più tempo per considerare con maggiore attenzione ciò che vede.
Pensate che il fumetto abbia un canale privilegiato per ottenere questi risultati?
Il fumetto è il risultato della combinazione tra immagine e testo, e questo permette una ricezione diversa del messaggio narrativo. Sì, forse, è un canale privilegiato proprio perché permette di frammentare la narrazione. Quello che si potrebbe dire con un dipinto, in una sola immagine, in un fumetto può essere invece maggiormente sviluppato. Diversamente da una singola immagine, il vantaggio potrebbe essere proprio quello di usare questo doppio binario, immagine e parola, per mostrare, per esempio, che non è solo la società a essere criticabile, ma direttamente la sua struttura.
Qual è allora la principale differenza tra un dipinto su un muro o un romanzo e il fumetto?
La creazione di un libro. E, di conseguenza, la comunicazione e l’accesso al suo messaggio. Solitamente, gli amanti dei fumetti sono anche amanti dei libri. Apprezzano il disegno, le tavole su carta, le immagini che, pagina dopo pagina, possono restituire il senso di una storia. La scelta di passare dalla pittura e dalla letteratura (senza immagini) al graphic novel si basa proprio su questi aspetti. Il libro è apprezzato in quanto strumento di conoscenza che ha una diffusione pubblica diversa da altri modi di comunicare. Il fumetto ci sembra che offra proprio questa potenzialità.
Le immagini possono tuttavia essere fraintese, non sempre riusciamo a decifrarle. Come affrontate questo aspetto nel vostro lavoro?
Diamo grande importanza alla narrazione. Con Revolushow, abbiamo messo insieme diverse competenze: produrre immagini e costruire una storia. La scrittura si è rivelata decisiva per rendere le immagini accessibili, per seguire un ordine, evitando il più possibile di renderle didascaliche. In un certo senso, abbiamo cercato di privilegiare un approccio cinematografico allo sviluppo dell’intera narrazione.
Questo approccio sembra trovare espressione nei toni fantascientifici di Revolushow.
Il tempo del racconto ha richiesto di dover prendere decisioni molto precise, soprattutto per trovare un giusto equilibrio: il graphic novel non è ancora un film. Allo stesso tempo, e questo forse spiega l’aspetto fantascientifico di cui parli, il lavoro di ciascuno di noi è spesso entrato in una sintonia tale da far sì che, scrivendo, si pensasse per immagini e viceversa. Per esempio il tono grottesco appartiene sia alle immagini sia alla storia che abbiamo raccontato.
L’impressione che si ha è che in Hoarders sia più importante l’immagine rispetto al testo, mentre in Revolushow i due livelli sembrano essere parificati.
Si tratta, probabilmente, di una specie di riflesso dovuto al passaggio dai margini al centro, dove per “centro” intendiamo la società delle immagini e della comunicazione. Forse è per questo che in Revolushow l’effetto risulta ancora più marcato.
In Revolushow i mezzi di registrazione sono importanti soprattutto perché sembrano rivelare la vostra scelta di amplificare la ripetizione e la diretta continua che avete ritratto, stando però da entrambi i lati dello schermo. Qual è la vostra posizione in proposito?
Siamo partiti dall’idea che oggi ci sia la necessità di mostrarsi e allo stesso tempo di continuare a guardare attraverso gli schermi. Abbiamo cercato di lavorare su più livelli. Smontare e ricombinare immagine e narrazione, cercando di sottolineare proprio questa doppia posizione: stare da una parte e dall’altra dello schermo. Sullo sfondo c’è anche la necessità di accumulare e di catalogare il reale; un tentativo di fermare il tempo e avere più informazioni sulla società che sta velocemente cambiando.
In entrambi i libri ci sono numerosi riferimenti a un immaginario che appartiene alle arti, dalla pittura alla letteratura. Il risultato ha il sapore dell’opera postmoderna. Vi ci ritrovate?
I riferimenti alle arti sono per noi importantissimi. Forse il risultato può sembrare postmoderno, ma l’idea di base è molto diversa. Siamo interessati alla possibilità di osservare alcuni aspetti della società contemporanea e offrirne una rilettura attraverso il graphic novel. Ogni riferimento è puramente casuale, si dice di solito. Ma il terreno dal quale nasce l’immaginario visivo e narrativo che proponiamo lo conosciamo fin troppo bene.
Davide Dal Sasso
Antonio L. Falbo & Alessandro Caligaris – Revolushow
Eris Edizioni, Torino 2016
Pagg. 200, € 17
ISBN 9788898644216
http://www.erisedizioni.org/revolushow.html
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