Fantagraphic. Il manga nippo-calabrese di Vincenzo Filosa
Cosa succede se un papà fissato con la scienza inculca nella testa di suo figlio l'idea di essere un esperimento della robotica con poteri speciali? “Figlio Unico” è l'ultimo fumetto di Vincenzo Filosa. Un viaggio mistico di sola andata Tokyo-Crotone, tra manga giapponese e tarantella calabrese.
Vincenzo Filosa (Crotone, 1980), già autore di Viaggio a Tokyo, torna in fumetteria con una nuova storia, un’avventura mistica tra fantascienza e romanzo di formazione. Protagonista del racconto è un bambino solitario, cresciuto con la profonda convinzione di essere il risultato di esperimenti di robotica che l’hanno reso invincibile, al pari dei più forti eroi manga giapponesi.
Con questa inamovibile certezza, il ragazzino si atteggia a supereroe: credendo di essere dotato di una straordinaria forza muscolare e di inumane capacità sensoriali, egli salta da una parte all’altra del soggiorno, usa frasi in codice tutte sue e coltiva segretamente l’idea di dover salvare il mondo.
Fin qui niente di nuovo, direte, in fondo si tratta di un bambino. L’atteggiamento però spesso degenera, la fantasia diventa allucinazione, la solitudine si esaspera e il bambino comincia a vivere in una realtà tutta sua che sempre meno coincide con ciò che gli è intorno.
Questa idea matta, a ogni modo, ha una sua ragione d’essere. A inculcargliela, fin dalla tenera età, è stato infatti il padre scienziato, infognato in strambi esperimenti di robotica e che evidentemente nel bambino ripone aspettative, ma anche frequenti e profondi dubbi: talvolta lo esalta, tali altre invece si incupisce, iniziando a sospettare di aver un tantino esagerato.
La madre, poverella, in tutto questo fuma alla finestra esausta della situazione in famiglia, schiaffeggia il marito e lo incolpa di aver creato un mostro. “Portalo con te domani. Mostragli com’è fatto il mondo reale”, gli ordina infuriata una sera dopo una lunga discussione.
MANGA, DROGA E VIDEOGAME
Detto fatto, il mondo reale il bambino lo trova in una sala-giochi del paese.
Ai videogame il ragazzino è un fenomeno: batte tutti i mostri e arriva all’ultimo quadro. Da zimbello della combriccola diventa eroe del gruppo di amichetti. I coetanei lo esaltano e il bar diventa la sua seconda casa.
“I bar negli Anni ‘80 rappresentavano piccoli stati autonomi all’interno delle città e dei paesi”, dice l’autore, che nelle rappresentazioni di quelle gloriose e polverose sale-giochi ripone evidentemente memorie personali. “Se per certi versi offrivano evasione dalla vita di tutti i giorni, le regole di ingaggio e le dinamiche di interazione tra i suoi “abitanti” più giovani non erano meno rigide e spietate di quelle in vigore nel mondo degli adulti. Al contrario, il cabinato arcade e quel pugno di giochi così “poveri” di pixel rappresentavano una porta verso infinite realtà, fuga vera da se stessi e dal mondo conosciuto”.
Nel frattempo, dentro e fuori dal bar, gli anni passano. I genitori del ragazzino invecchiano, lui cresce, ma l’attitudine sognante e bizzarra gli rimane. Anzi, si amplifica quando, insieme alla banda di amici ormai adolescenti, incontra il magnifico mondo delle droghe sintetiche. Qui la situazione si perde un po’ di mano, e allora dovete leggere il libro per capire come va a finire. Ma soprattutto per capire se questo bambino solitario, in fondo in fondo, un pochino speciale lo fosse davvero.
DA TOKYO A CROTONE
Ambientato in un’assolata Crotone, tra palazzoni costruiti a metà e strade di periferia abbandonate dal futuro, il libro è una divertente sequenza di eventi, talvolta più teneri tali altre al limite del comico.
Il disegno è intelligente, funzionale prima di tutto. A interessare l’autore non è tanto la ricerca estetica fine a se stessa, ma il suo impiego a vantaggio della narrazione pura. “Non ho niente da mettere in mostra, soltanto una storia che scalpita e detta le regole”, dice Filosa. “La sequenza è l’unico mezzo per tenerla a bada e interagire sinceramente con il lettore. Il bel disegno non è altro che un attributo. Gli attributi rallentano, ingrassano, ingombrano e io preferisco evitare”.
L’assenza di un segno particolarmente rilevante abbassa le aspettative strettamente artistiche del lavoro, puntando tutto sulla storia. Alcune tavole sono eccellenti, ricche di dettagli, ma le ragioni estetiche vengono meno davanti alla necessità di dare alla narrazione un corpo solido e in grado di tenersi da solo.
La lezione dei mangaka classici (Shigeru Mizuki, Osamu Tezuka, Go Nagai) è a ogni modo evidente, filtrata però sempre dal gusto personale dell’autore, e da uno humour (perché no?) tutto italiano.
Questa combinazione risulta vincente: in un periodo di forte riscoperta degli stilemi manga e gekiga ‒ strada bellissima e necessaria condivisa in questi anni da molti autori nostrani, Vincenzo Filosa fa una passo oltre, attualizzando nel contemporaneo, ma soprattutto nelle atmosfere di casa nostra, quell’immaginario giapponese altrimenti lontano. Scelta coraggiosa, e che noi premiamo a pieni voti.
‒ Alex Urso
Vincenzo Filosa – Figlio unico
Canicola Edizioni, Bologna 2017
Pagg. 240, € 18
ISBN 9788899524203
www.canicola.net
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