Se il fumetto italiano fosse una grande squadra di calcio, Ratigher sarebbe probabilmente la punta; una di quelle punte matte alla George Best: fuoriclasse, scapestrate, necessarie. All’anagrafe Francesco D’Erminio (Popoli, 1978), Ratigher è tra gli autori più attivi e innovativi del nuovo fumetto italiano: un riferimento vero per molti appassionati, e da pochi mesi anche direttore editoriale di Coconino Press. Siamo felici di scambiarci due chiacchiere e di ospitare su Fantagraphic La famiglia di Dodò, un suo racconto inedito uscito su Artribune Magazine #41.
Sei da anni uno degli autori più attivi e amati dal pubblico. Cosa significa per te essere fumettista?
Padroneggiare e godere dell’utilizzo della tecnica del fumetto. Ideare narrazioni, già in forma embrionale, basate su testo e immagine. Io sono un fumettista perché la mia forma di espressione più raffinata e naturale è ormai il fumetto, mi sento un madrelingua. Ho mille mancanze in altri ambiti, disegnare mi fa sentire invece al sicuro e potente. Ho finalmente imparato a parlare.
Da qualche settimana è uscito il tuo ultimo libro, ce ne parli?
Fortezza Pterodattilo è una raccolta di storie brevi e medie, pubblicate nel corso degli ultimi dieci anni su tante riviste diverse, molte delle quali ormai introvabili. Alcune storie sono servite a definire la mia voce, altre sono proprio il meglio che abbia mai fatto. Raccoglierle in volume mi permette di riportarle all’attenzione di lettori che sono più abituati alla forma libro e che magari non trovano più grande piacere nella lettura delle storie brevi. Questa è la tendenza generale, io non la condivido e ho allora architettato questa trappola, come al solito.
Fortezza Pterodattilo è una antologia che racchiude racconti apparsi qua e là negli anni. Come ti sei sentito ad abbracciare la tua attività, passata e presente, in una raccolta?
Non le ho riscoperte o guardate con sguardo nuovo, le storie buone che ho fatto in vita mia mi rimangono sempre vicine. Le vedo come una collezione di minerali che ho sempre esposta in una bella teca nella mia testa. Questa volta ho messo davanti le rocce più piccole e rare. Ho solo sistemato la collezione.
“Underground è veramente una parola morta in tutti gli altri ambiti artistici, spero sparisca anche nel fumetto”.
Che rapporto hai, in generale, con i tuoi lavori passati?
Quelli buoni non invecchiano, quelli brutti lo erano anche la prima volta che li ho fatti. Per me è fondamentale fare fumetti che reggano lo scorrere del tempo, cerco di non mettere riferimenti diretti all’oggi, come ho imparato dai miei scrittori preferiti.
Nei tuoi fumetti parli di amore, ribellione, ragazze. La tua missione sembra quella di sovvertire i generi e le regole dell’immaginario pop. Come definisce Francesco D’Erminio, lo stile di Ratigher?
Morte e adrenalina, nei giusti dosaggi.
La tua popolarità deriva anche dal fatto di esserti ritagliato negli anni una posizione di rispetto, a partire dal fumetto underground dei primi anni Zero. Viste le evoluzioni della scena italiana, quanto di quella sottocultura è emersa, e cosa significa parlare ancora, oggi, di fumetto underground?
Underground è veramente una parola morta in tutti gli altri ambiti artistici, spero sparisca anche nel fumetto. Quello che rimarrà, e in cui ancora credo e mi impegno, è la necessità di mantenere uno sguardo critico, sulle storie e sulle dinamiche produttive.
Da qualche mese sei il direttore editoriale della casa editrice Coconino. Come sta andando?
Fino a ora ho accompagnato a compimento il lavoro che era già stato avviato prima del mio arrivo, il 2018 sarà il mio primo vero anno di direzione. Farò i conti a fine anno, intanto godo al pensiero di portare sugli scaffali alcuni titoli davvero emozionanti e inaspettati.
Qual è la cosa più facile e quale la più difficile nel gestire le due figure, quella di fumettista e quella di editore?
La cosa difficile per me è avere tempo per fare i miei fumetti. I ritmi non combaciano assolutamente, per fare i fumetti ho bisogno di tempi morti in cui la nuvola creativa si condensa fino a far piovere la storia sul foglio. Dirigere una casa editrice è invece un impegno costante e concitato. Devo allenarmi in questo sport estremo fatto di corse forsennate tra i rovi e oziosissime pause a rimirar paludi.
Una domanda che spero possa essere utile ai nuovi fumettisti: cosa ti spinge a investire su un giovane esordiente? Cosa cerchi?
Cerco gente insicura che non teme nulla.
‒ Alex Urso
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