Artribune continua la sua esplorazione nel fumetto italiano contemporaneo. Dopo i tanti autori ospitati negli ultimi magazine, questa volta tocca a Marino Neri (Modena, 1979), che per noi ha disegnato A day in the life. Ci abbiamo scambiato qualche parola, anche per parlare del suo ultimo fumetto da poco in libreria.
Cosa significa per te essere fumettista?
Essere fumettista significa raccontare delle storie e farlo decidendo non solo quello che succede o scegliendo come mostrarlo, con quale tono e ritmo, ma farlo anche fissando con quali forme, con quali tratti e trame si presenterà questa storia. Il fumetto racconta la realtà utilizzando qualcosa che nella realtà non esiste: il segno.
È da poco in libreria il tuo nuovo fumetto, L’incanto del parcheggio multipiano. Ce ne parli?
L’incanto del parcheggio multipiano è una ghost story. C’è il fantasma senza memoria di un ragazzo ucciso di botte e c’è Zolfo, un uomo allo sbando ossessionato da un sogno che non riesce a raccontare. Il libro racconta del loro breve incontro.
Che legame c’è tra quest’opera e quelle precedenti?
Come nei libri precedenti anche qui c’è l’attenzione verso personaggi con una certa marginalità sociale, disorientati e sfuggenti e alcuni temi di fondo come il rapporto tra realtà e sogno.
Lo scenario della storia è occupato dalla periferia, fatta di parcheggi multipiano e palazzi popolari…
Considero il paesaggio e l’architettura come fossero un ulteriore personaggio di questa storia. La periferia de L’incanto… è una periferia generica (ora più che mai tutte le periferie del mondo si somigliano), fatta di architetture ostili all’uomo, sia quelle popolari che quelle delle persone altolocate: una sub-urbanizzazione dell’anima.
Nelle storie classiche di fantasmi l’apparizione avviene dentro case abbandonate o castelli. Il mio fantasma infesta un parcheggio multipiano, un reperto di archeologia industriale. Un non-luogo che per paradosso diventa tempio della modernità. Un punto bianco all’interno del nostro pensiero urbanistico.
Alla lavorazione di Cosmo, il tuo libro del 2016, avevi dedicato circa tre anni di attività. Ora esci con un nuovo lavoro e di anni ne sono passati quasi altrettanti. Qual è il tuo rapporto col tempo durante la gestazione di un’opera?
In un primo momento c’è la ricerca della storia dietro gli appunti e i disegni. Questo richiede molto tempo e una concentrazione più fluida. Poi, dal momento che sento di avere una storia tra le mani fino alla sua esecuzione mi occorre meno tempo, ma un’intensità di lavoro maggiore. Entrambi i tempi devono essere gestiti con grande lucidità.
L’incanto del parcheggio multipiano è pubblicato da Oblomov Edizioni. Com’è stato ritrovare Igort e in cosa ti è stata più utile la sua esperienza?
Di Igor ammiro e condivido l’idea che ha del fumetto come linguaggio adulto e articolato, la coerenza nel costruire il catalogo e la cura verso il prodotto finale: grafica e cartotecnica.
Devio per una domanda più ampia. Una delle tue ultime collaborazioni è stata per Matite per Riace, per cui hai realizzato un’illustrazione messa all’asta in supporto alla raccolta fondi lanciata da RE.CO.SOL. Quant’è importante per un artista, oggi, prendere posizione su questioni pubbliche, e farlo senza la paura di compromettere il proprio lavoro?
Gli artisti hanno sempre espresso il loro punto di vista, slegato da logiche di potere o di appartenenza a questo o quell’altro partito, supportando iniziative che ritengono importanti, come per me quella promossa da Matite per Riace.
In altri momenti questo comportamento era considerato normale e assodato. Ora, forse, il fatto che tu mi poni la domanda in questi termini, citando la possibilità di compromettere il mio lavoro, esemplifica un periodo storico in cui l’omologazione e il compromesso hanno reso eccezionale anche questo tipo di partecipazione. Ma non è proprio questo partecipare solitario, non legato a logiche di convenienza, il vero senso dell’essere autore oggi?
A day in the life, il fumetto inedito realizzato per Artribune, è composto da piccole istantanee di vita quotidiana. Come lo definiresti, e con quali intenzioni è nato?
Stavo passeggiando nel quartiere dove vivo, sono suonate le campane della chiesa vicina e ho incrociato una ragazzina sulla panchina. Ho immaginato cosa accadesse dietro le finestre dei palazzi di fianco, cosa stessero facendo le persone che non vedevo, ma anche le formiche tra l’erba dei marciapiedi. Ho immaginato di vedere tutti questi frammenti in un unico istante e ho pensato: questa potrebbe essere una storia!
In che direzione stai andando?
Nessuna direzione fissa o obiettivo preciso. Lavoro sullo stile, attraverso l’esercizio, per le possibilità che il fumetto offre, giocando con i limiti della vignetta e della tecnica con l’inchiostro. Ma anche cercando l’incidente e l’imprevisto, nel disegno come nella narrazione. Più in generale la direzione è data dalle cose che per necessità ha senso raccontare adesso per me.
‒ Alex Urso
Versione integrale dell’articolo pubblicato su Artribune Magazine #46
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