Pomerania, inverno 1787: mentre un ragazzino tredicenne pattina su un lago ghiacciato, la superficie si rompe e lui sprofonda nell’acqua gelata, ma il fratello maggiore si tuffa e riesce a metterlo in salvo, per poi rimanere a sua volta inghiottito senza scampo. I fratelli protagonisti della tragedia sono il maggiore Christoffer e il minore Caspar David che, adulto, diverrà il più importante pittore germanico del Primo Ottocento e che resterà per sempre segnato dalla tragedia vissuta con indomabili sensi di colpa. Forse fu proprio quell’episodio funesto all’origine del temperamento malinconico dell’artista e della sua visione angosciosamente mistica tanto della Natura quanto della pittura con cui volle ritrarla.
Friedrich, figura indubbiamente bizzarra della storia dell’arte, “paesaggista simbolico”, e spirito romantico impregnato di lirico spleen, anomalo interprete dell’epico sentimento Sturm und Drang a lui contemporaneo, fu il primo a inaugurare modernamente l’uso del paesaggio – foreste, nuvole, rocce, nebbie, ruderi solitari – non più come fondale ma come nuovo inatteso protagonista della pittura.
DA SATIE A FRIEDRICH
A Caspar David Friedrich si dedica stavolta – dopo avere resuscitato con originalità Giorgio de Chirico in Interno metafisico con biscotti (2009) ed Erik Satie con L’armadio di Satie (2016) – il pittore barese Sebastiano Vilella, che si direbbe facilmente spinto verso tal genere di esplorazioni espressive dall’altra sua attività parallela, quella di docente di discipline artistiche e letterarie. Ama condividere insomma le proprie passioni intellettuali, appropriandosi delle figure di grandi protagonisti dell’arte passata e quasi impersonandoli in opere un po’ biograficamente documentate e un po’ di libera finzione romanzesca. E in questo caso piega il proprio stile personale di disegno per avvicinarlo meglio a quello del pittore suo protagonista: non nella tecnica, qui un vibrante impasto di matite grasse e tempere acquerellate, ma più che altro nell’andamento evocativo non meno che enigmatico di contemplazione del sublime nella natura, spalancato segnale di un’ossessione quasi febbrile.
UN PITTORE SOLITARIO
Qui la storia ammanta la figura di Friedrich, “il più solitario dei solitari”, di ulteriore mistero. Muovendosi tra Dresda, da dove parte alla sua ricerca il fisiologo e pittore Carl Gustav Carus (che in realtà nella vita lo seguì da vicino e fu quasi un suo biografo), e i luoghi naturali più sperduti e selvaggi del grande Impero germanico, fino al Mar Baltico, ci si addentra nella difficile personalità di un uomo il cui sguardo realmente “allucinato” era in grado di rappresentare maestosi paesaggi, spesso vuoti di presenze umane, con inconsuete intensità luminose e precise qualità descrittive.
Vilella fa tutto questo rivisitando a modo suo anche i più grandi e famosi oli su tela di Friedrich: Croce in montagna, Burrone roccioso nelle montagne di arenaria dell’Elba, Le bianche scogliere di Rügen, Abbazia nel querceto. E naturalmente – poteva mancare? ‒ il dipinto più famoso di tutti, quel Viandante sul mare di nebbia ritto dinanzi al vuoto infinito che è diventato la quasi proverbiale espressione della Rückenfigur, la persona che osserva vista da dietro in cui noi stessi guardanti non possiamo che identificarci.
‒ Ferruccio Giromini
Sebastiano Vilella – Friedrich. Lo sguardo infinito
Oblomov Edizioni, Quartu Sant’Elena 2019
Pagg. 112, € 19
ISBN 9788885621282
www.oblomovedizioni.com
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