Fumettibrutti per scelta. Intervista a Josephine Yole Signorelli
Adolescenza, sesso, rabbia e dolore. Ma soprattutto rivalsa. Il mondo di Josephine Yole Signorelli traspare all'interno dei suoi fumetti. Alex Urso ha parlato con lei per sapere qualcosa in più sul suo percorso e sui progetti futuri.
Nel 2019 avevamo incluso il suo ultimo libro, P. La mia adolescenza trans, fra le migliori uscite editoriali dell’anno. Oggi torniamo a parlare di Fumettibrutti, al secolo Josephine Yole Signorelli (Catania, 1991), l’autrice più letta (e chiacchierata) del fumetto italiano contemporaneo. Ci abbiamo scambiato qualche parola, e ci siamo fatti regalare una storia inedita.
Cosa significa per te essere fumettista?
A parte una breve parentesi nell’adolescenza, diventare fumettista è sempre stato il mio sogno. Con mio fratello ne fantasticavamo in continuazione, inventandoci un sacco di storie matte. È così da quando di nascosto leggevo Crepax, o mia mamma mi comprava i Penauts. Oppure da quando ho iniziato a comprare Spiderman di Straczynski e Romita Jr., fino ad appassionarmi ai manga. Non ricordo proprio cosa volessi prima di questo.
Il tuo ultimo fumetto, P. La mia adolescenza trans, è stato uno dei casi editoriali dello scorso anno. Nel libro affronti la tua “riscoperta” sessuale, sviscerando, senza scorciatoie, dubbi e domande sul corpo e sull’universo transgender. Quanto è stato difficile metterti in gioco da questo punto di vista?
P. è arrivato nel momento giusto. Non sarei stata in grado di parlare di determinati argomenti senza la dovuta maturità, sia personale che artistica, o senza l’aiuto di una rete di persone tra affetti e conoscenti che mi hanno sostenuta durante la lavorazione. Sono soddisfatta di ogni linea, lettera, lacrima versata sulle tavole di quel libro.
Cos’è scattato in te, una volta pubblicato il lavoro?
Ho tolto un’incudine dal petto, scoprendo che non si stava poi tanto male senza.
Seguendo il tuo percorso formativo, tra pubblicazioni e pagina Instagram, sembra che tu intenda la pratica del disegno come una valvola di sfogo del tuo percorso esistenziale.
Purtroppo è così. Mi dispiace perché quando sono felice non disegno, ma non vorrei vivere d’altro.
In questo senso, quant’è importante il riconoscimento del pubblico dall’altra parte? O meglio, se non fosse per il fumetto, saresti quella che sei oggi?
È bello, ma non fondamentale. Parlando di me e della mia storia sto solo “donandomi” senza ricevere nulla in cambio. Credo che sarei stata così anche senza il successo che sto avendo.
Se il fumetto è per te uno “strumento” in qualche modo liberatorio, cosa speri che ricevano quelli che ti leggono? A chi vuoi arrivare?
Quando scrivo non ci penso, non ho mai scritto per gli altri, ma sono molto contenta della risposta che sto ricevendo dal mio pubblico, che affettuosamente sui social chiamo “stelle”. Penso che i miei fumetti siano come delle canzoni che ascolti per stare meglio. Li faccio così anche per quello, in giro non ne trovavo come piacessero a me, che parlassero a me.
I tuoi sono disegni “sbagliati”. Il tratto è grezzo, sporco, gli sfondi trascurati. Eppure la tecnica non ti manca (tant’è vero che a Catania per un periodo vivevi vendendo copie di quadri famosi). Ci spieghi da dove nasce l’esigenza di un disegno “brutto”?
In questi anni per disegnare mi sono servita di: esigenza e pigrizia, svogliatezza e urgenza. Tutto questo si sposa con la mia visione o i miei messaggi, quando ce ne sono. Mentre disegno sento come una “batteria”, un’elettricità che mi dà il ritmo di lavoro. Per il momento sto seguendo questo flusso, ma non escludo che un giorno potrei sorprendervi e mettermi a disegnare in un altro modo.
Come hai anticipato più volte, il prossimo libro chiuderà la trilogia dedicata al tuo passato. Hai già iniziato a metterci mano? Se così, chi sarà la/il protagonista della storia?
Sto già lavorando al terzo libro, che è collegato a entrambi i lavori precedenti. La protagonista sarò sempre io, perché gli incubi della realtà a volte possono essere più brutali della finzione, e io non ho ancora finito di raccontare i miei. Chi pensava che dopo P. i problemi si fossero attenuati o risolti, rimarrà sconvolto. La copertina sarà blu e chiuderà la trilogia che ormai definisco “La fine della felicità”.
‒ Alex Urso
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