L’età dei mortali. Il romanzo grafico di Alessandro Gori e Marco Pace

In anteprima per Artribune, alcune tavole de “L’età dei mortali”, graphic novel nato dalla collaborazione tra Alessandro Gori (meglio conosciuto come Lo Sgargabonzi) e Marco Pace. Che raccontano com'è nato il progetto.

L’età dei mortali è il titolo del romanzo grafico, ancora in fase di lavorazione, di Alessandro Gori e Marco Pace. Doppio autore per una collaborazione inconsueta: uno scrittore, Gori, in veste di sceneggiatore delle storie, e un artista visivo, Pace, che dà loro forma attraverso delle tavole illustrate. Con una particolarità: la quasi assenza di dialoghi e testi scritti. Realizzati interamente con china su carta, con un’attenzione maniacale ai dettagli (tanto da far risaltare in maniera grottesca, quando non proprio spietata, alcuni particolari), i disegni di Pace sono il perfetto commento visivo alle storie immaginate da Gori, che prevede, in un futuro non meglio definito, la scomparsa della morte dalle nostre esistenze.
Partendo da questa premessa, Gori ha diviso L’età dei mortali in brevi e fulminanti episodi (struttura cara allo scrittore) ambientati ai giorni nostri, tutti uniti dal riferimento alla caducità, alle debolezze e alle miserie dell’uomo quando era ancora chiamato a confrontarsi con il più umano dei limiti: la morte, appunto. Gori e Pace mettono in scena vicende per lo più individuali, storie minime: un uomo di mezza età che si reca al funerale del padre, un turista sessuale nell’attimo prima di un rapporto con un ragazzino, un vecchio contadino suicida, un incidente in autostrada che coinvolge animali destinati al macello. Sono solo alcune delle “storiacce” che compongono il libro, la cui ambizione è quella di provare a raccontare, secondo le parole di Gori “quel dolore atavico di cui non si parla più, specie oggi che la morte pare diventata un meme, un’applicazione da social”.

Alessandro Gori & Marco Pace, disegni per “L'età dei mortali”, 2020, china su carta

Alessandro Gori & Marco Pace, disegni per “L’età dei mortali”, 2020, china su carta

INTERVISTA A GORI E PACE

Come vi siete incontrati?
Alessandro Gori: Ho conosciuto Marco in occasione di uno degli spettacoli dal vivo che porto in giro con lo pseudonimo de Lo Sgargabonzi: era nel pubblico come fidanzato di una ragazza che conoscevo. Mi ha subito colpito per un pregio non da tutti, specie oggigiorno: una bella tuta acetata Lotto, che tutt’ora ritengo la sua qualità principale. Delle opere di Marco ho sempre apprezzato quel “sense of wonder” declinato in maniera atipica, quasi ascetica. Nel suo futuro post-apocalittico di interni di architetture fagocitate dalla natura, compaiono solitari animali fuori contesto, come squarci nella realtà, errori di calcolo dell’entropia. Nei dipinti di Marco ogni uomo è mascherato, privato dall’espressione delle sue emozioni dinanzi a chi lo osserva e da esso protetto. Eppure non c’è mai misantropia. È proprio quest’assenza la prima cosa che ho apprezzato (oltre alla tuta).
Marco Pace: Correggo Alessandro: non ero ancora il fidanzato della sua amica, sono dovuto andare ai suoi live e leggermi tutti i suoi libri prima di diventarlo. Il suo lavoro mi ha creato dipendenza, ai suoi spettacoli rido come un pazzo e nello stesso tempo mi si contorcono le budella dall’orrore per questo realismo crudo che lui descrive con l’accuratezza chirurgica di Lovecraft. Questo scontro sublime di emozioni mi ha reso suo fan accanito. Penso che sia uno dei più bravi scrittori contemporanei.

Alessandro, da dove nasce l’idea di un romanzo grafico che, di fatto, è quasi privo di testi e dialoghi? Mi interessa capire come, da scrittore, in questo caso abbia ragionato per immagini, affidandoti a Marco Pace per la loro realizzazione.
Nasce da una voglia di silenzio. Dal bisogno di staccare da questo “spectoriano” muro del suono fatto di social network, missioni LOL, clickbait, TikTok, meme, trap e rottinculo di tutte le categorie. Mi sto rendendo conto ogni giorno di più che quando urlo faccio comunque meno rumore di quando la gente parla normale. Inoltre, pur da scrittore, trovo che siamo sempre più prigionieri delle parole, del linguaggio, di sillogismi usati come il gioco delle tre carte, per vendere come possibile l’impossibile e rendere decente l’aberrante. E poi la battuta arguta. Poche cose hanno rotto i coglioni come l’arguzia.

Marco, poco sopra hai detto che il lavoro di Alessandro ti crea dipendenza. Immagino, dunque, che sia stato abbastanza facile per te sintonizzarti sulla crudezza e sull’umorismo nero che ne caratterizzano l’approccio narrativo. Mi spieghi com’è stato tradurre in immagini le storie, anche considerando il fatto che si trattava per te di una collaborazione inedita? Fino a che punto arriva l’autorialità dell’uno e dell’altro e come, eventualmente, vi siete condizionati a vicenda?
Alessandro mi raccontò queste immagini. Più precisamente mi descrisse brevi sketch che illustravano un momento, un’azione, delle polaroid, tranci di esistenze, degrado fisico, morte. Brevissime e intense sequenze che raccontano di uomini messi a nudo davanti all’esistenza. Mi venne naturale disegnare queste scene nel modo più realistico che potevo, non dovevo assolutamente accentuare le espressioni o modificare i contesti: tutto è visto da un altro uomo, non ci sono droni o occhi di pesce a filtrare il racconto, tutto deve essere meno artefatto possibile. Così ho iniziato a proporre dei disegni ad Alessandro, e lui ha risposto con entusiasmo. Non mi sento di lavorare diversamente da come lavoro in pittura: tutto è al grado zero. Non ci stiamo condizionando, i racconti non si adeguano al mio stile, sono io che studio i contesti e i personaggi per rendere al meglio le idee di Alessandro.

Alessandro Gori & Marco Pace, disegni per “L'età dei mortali”, 2020, china su carta

Alessandro Gori & Marco Pace, disegni per “L’età dei mortali”, 2020, china su carta

Il libro è un campionario di imprevisti fatali, dolore, vecchiaia, morte. E i personaggi delle storie appaiono totalmente impotenti di fronte alle atrocità e ai limiti delle nostre esistenze. Alessandro, perché ti preme sottolineare questa condizione?
Quando, in un futuro neanche troppo remoto, la morte sarà curata come oggi è curato il vaiolo, penseranno a noi mortali come dei personaggi mitologici che forse non sono mai esistiti. O come minimo a degli eroi. Perché realizzeranno che era impossibile veder morire i propri genitori e non impazzire senza ritorno, ma anzi, prendendosi solo tre giorni di permesso dal lavoro per poi tornare a mandare avanti il mondo per chi ci sarebbe sopravvissuto. Ecco, io vorrei che queste storie raccontassero e celebrassero, nel silenzio e con grande semplicità, tutta la nostra solitudine e il nostro urlante dolore di mortali. Quel dolore atavico e irrisolvibile di cui non si parla più. Specie oggi, in cui la morte pare diventata un meme, un’applicazione da social, quando va bene un argomento da sociologi, quando va male un evento che quasi non vedi l’ora che ti succeda per quanto te lo raccontano fico. L’uomo visto da lontano potrà fare pure schifo, ma visto da vicino fa una pena infinita. Di contro, ho sempre visto la natura come il male assoluto.

Marco, mi sembra che tu abbia rielaborato gli spunti narrativi di Alessandro attraverso un realismo che è sublime e raccapricciante insieme. Quanto c’è della tua pratica artistica nei disegni che hai realizzato per L’età dei mortali? E quali sono, in generale, i temi ricorrenti nella tua produzione?
In altre occasioni ho lavorato con altri artisti, che fossero pittori, musicisti o scrittori. Il mio lavoro non esclude la collaborazione, per la maggior parte delle volte sono stato io stesso a chiedere un intervento su un mio lavoro, quindi per me è abbastanza normale. L’età dei mortali la considero tanto un’opera mia quanto di Alessandro. Ne esporrò i disegni come gli altri miei lavori, perché includono i temi che ho sempre trattato: l’esistenza, l’uomo, la ricerca di una libertà impossibile. Nei miei dipinti quasi mai appare l’uomo, che il più delle volte è incarnato in un cane o in una figura senza volto, un’architettura, una costruzione: la figura umana è rappresentata dalla sua mancanza. Sul concetto di “abitazione” sto lavorando ora, dopo l’ultima mostra, e ci ho lavorato anche in passato.

Alessandro Gori & Marco Pace, disegni per “L'età dei mortali”, 2020, china su carta

Alessandro Gori & Marco Pace, disegni per “L’età dei mortali”, 2020, china su carta

Il romanzo grafico ha ormai preso piede da diversi anni a livello internazionale. Anche l’Italia ha autori riconosciuti in questo ambito come Gipi e Lorenzo Mattotti. Detto questo, ho l’impressione che il vostro libro guardi più a certo fumetto italiano, penso a Dylan Dog e alla sua costruzione narrativa, nonché allo stile dei disegni. Quali sono i vostri riferimenti?
Alessandro Gori: Non mi sono ispirato, almeno coscientemente, a nessun fumetto per L’età dei mortali. Del resto li ho sempre letti e, lo dico con estrema arroganza, mai mi sono emancipato dal fumetto italiano. A sconvolgermi la vita, da piccolo, è stata quella rivista folle e libera che fu lo Slurp! di Carlo Peroni, che negli ultimi anni della sua vita ebbi la fortuna di conoscere, seppur virtualmente. Un uomo totalmente inconsapevole del suo genio. Slurp! è stata una delle cose più belle in assoluto che siano mai successe sul nostro pianeta. Ma ho amato molto anche Alan Ford (ben oltre i numeri di Magnus), Kriminal e Satanik. E le riviste della Acme, ovvero Splatter e Mostri. Per non parlare del dimenticato Zio Tibia, di La Neve e Lillo (quello di Lillo e Greg) per i disegni di Caracuzzo – che avrebbe meritato una fortuna planetaria e invece si interruppe al numero 6. E poi ovviamente la Bonelli e Tiziano Sclavi – in quest’ultimo caso non tanto quello più famoso de “i mostri siamo noi”, che mi è sempre arrivato un po’ manicheo, quanto invece quello con la fantasia al potere che faceva irrompere nell’orrore la commedia sofisticata.
Marco Pace: Per questo lavoro non ho cercato riferimenti stilistici nel fumetto, ma l’ho disegnato con la mano che mi sono formato nel tempo. Gran parte della mia produzione artistica è disegnata. Ai grandi disegni ho dato sempre molta importanza nelle mie mostre. Poi ho la fortuna di collaborare da anni con Gianni Pettena: quando presentiamo un progetto per una sua mostra, che sia un’installazione o una performance, uso degli storyboard disegnati come dei “fumetti” per descrivere ai tecnici come vanno fatte le cose, per raccontare il progetto o l’azione. Così facevano anche i suoi colleghi: Archigram, Sottsass, Lebbeus Woods, Superstudio, Gordon Matta-Clark. Insomma gli artisti che progettavano architetture per la mente e distruggevano la retorica dei loro padri. All’età di 7-8 anni copiavo le copertine degli Urania di mio padre, quelle disegnate da Karel Thole, poi ho iniziato a leggere Marvel e Bonelli fino ai vent’anni, sempre parlando del mondo dei fumetti. Se penso a un capolavoro di graphic novel mi viene in mente subito Pompeo di Andrea Pazienza, il mio preferito; penso che Gipi sia il successore di Pazienza e Jiro Taniguchi è un altro autore che amo. Oggi, di fumetti, leggo solo Tex.

Quando potremo leggere L’età dei mortali?
Alessandro Gori: Abbiamo appena iniziato a cercare un editore e stiamo valutando un po’ di proposte. Non mi va di raccontare balle quindi lo dico chiaramente: c’è anche l’interesse di Confindustria. Credo uscirà nel 2021.

Saverio Verini

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Saverio Verini

Saverio Verini

Saverio Verini (1985) è curatore di progetti espositivi, festival, cicli di incontri legati all’arte e alla cultura contemporanea. Ha all’attivo collaborazioni con istituzioni quali Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, MACRO, Accademia di Francia…

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