Un regista con il vizio del fumetto. Intervista a Fulvio Risuleo
Fumettista e regista tra i più originali della sua generazione, Fulvio Risuleo è un talento multiforme, capace di passare dalle matite alla macchina da presa con invidiabile disinvoltura. Alex Urso lo ha intervistato per una chiacchierata a tutto campo, tra cinema e balloon.
Molti di voi lo conoscono per la sua attività dietro la macchina da presa – grazie a film come Guarda in alto o Il colpo del cane. Altri invece ne hanno seguito il cammino nel mondo dei fumetti – con opere come Pixel, L’idra indecisa o il più recente Sniff. Qualunque siano i mezzi espressivi scelti da Fulvio Risuleo (Roma, 1991), quello che traspare è un universo narrativo ironico e pungente: ruvido nel modo di porsi, poetico nelle intenzioni.
Considerato uno dei talenti più promettenti del nuovo cinema italiano, abbiamo deciso di parlare con lui dei suoi ultimi progetti e della sua passione per il mondo dei balloon. A rendere ancora più speciale l’evento, un suo fumetto inedito in esclusiva per Artribune.
Prima di tutto aiutami a far capire al pubblico che non ti conosce chi sei. Cosa ti piace raccontare e attraverso quali linguaggi ti piace farlo?
Ho iniziato da bambino a fare fumetti e piccoli cortometraggi. Disegnare, scrivere storie e dirigere film è quello che faccio ancora adesso. Ogni giorno mi vengono delle idee, alcune crescono, si evolvono, cambiano. Diventano una storia, diventano un soggetto, una serie di immagini. Altre le presto ad amici, altre ancora sono nate da teste che non sono la mia e io faccio loro da balia. Idee ogni giorno, dicevo. Che mi piaccia o no, sono assalito dalle idee e l’unico modo per scacciarle è renderle qualcosa di reale.
Sei un talento poliedrico, peraltro giovanissimo e già con ottime prove in ognuno degli ambiti che hai citato. Senti, a livello personale e professionale, una scissione tra queste anime creative? O in qualche modo collaborano e si sostengono a vicenda?
La scissione è tecnica. Ho studiato molto la tecnica, e lo faccio tutt’ora, sia nel fumetto che nel cinema. La tecnica mi permette di esplorare consapevolmente i linguaggi, ma ovviamente cerco di non pensarci quando le cose effettivamente le creo. Bisogna sempre tener conto dell’istinto, che è la guida irrazionale da seguire, e ogni tanto mi perdo con piacere dietro di esso. Ho spesso provato a “darmi una calmata”, fare una cosa per volta, magari a specializzarmi. Non ci riesco, faccio tante cose tutte insieme e a questo punto penso sarà per sempre così.
Non hai paura che con l’andare del tempo una parte prenderà il “sopravvento” sull’altra, offuscandola? Te lo chiedo perché spesso ho l’impressione che in Italia se sei una persona con più interessi sei costretto ad “amputarti”, per paura di confondere il pubblico.
No, non lo temo. Penso che ognuno debba fare quello che si sente, se uno ha tanti interessi è giusto che li segua. Se un altro fa tutta la vita un’unica attività, è bello che sia così. È vero però che anche se si fanno tante cose diverse è bene farle nel modo migliore. Io cerco di impegnarmi al massimo su qualsiasi idea a cui sto lavorando, che sia un cortometraggio, un libro oppure un radiodramma. Non c’è una gerarchia tra i lavori per quanto riguarda la mia concentrazione su di essi. La ricerca della perfezione deve diventare “una questione di vita o di morte” (dell’idea).
Fermiamoci sul cinema: la tua ultima pellicola – Il colpo del cane – è una commedia che parte dalle bizzarre vicende intorno a un bulldog francese, e finisce col raccontare, in sostanza, malessere e difficoltà di una generazione precaria. Com’è andato il film, e come ti senti a riguardo?
Il film è andato un po’ male al cinema, nel senso che è rimasto pochissimo in sala e il pubblico non è riuscito a vederlo lì, e questo mi è dispiaciuto. Ma quando poi ultimamente è uscito su TIMvision e Sky Cinema ho iniziato a ricevere tantissimi commenti positivi che mi hanno reso felice. A parte questo, io sono contento del film, ci sono dentro dei discorsi che ora sto continuando a sviluppare in altri lavori e penso che mi rappresenti in pieno.
Hai scelto come protagonista Daphne Scoccia, uno dei talenti più cristallini del “nuovo” cinema italiano. Quant’è importante trovare la condizione ideale per una collaborazione sul set?
È fondamentale per me. Non credo nello “scegli i più famosi”, che si tratti di troupe o di attori. Il regista deve creare il giusto equilibrio sul set calibrando gli esseri umani che sceglie per metterlo in piedi. La comunicazione è fondamentale. Con i produttori selezioniamo sempre persone con cui si riescono a fare discorsi che abbiano senso e si ripercuotano nel film. Vale per Daphne, Edoardo Pesce, Silvia D’Amico. Gli attori che in Italia considero più bravi raramente vengono scelti per fare i protagonisti (vedi Edoardo Pesce). Penso che l’industria del cinema dovrebbe sperimentare di più da quel punto di vista.
A proposito di collaborazione, il tuo ultimo libro a fumetti – Sniff (Coconino Press, 2019) – è un racconto a quattro mani, scritto e disegnato in sinergia con Antonio Pronostico. Me ne parli?
Pronostico è un amico e da tempo volevamo fare qualcosa insieme. Dopo un viaggio a Bologna in visita a un festival di fumetti che ci aveva molto ispirato, abbiamo deciso che finalmente avremmo collaborato. Ci siamo confrontati sulle idee e poi ho scritto una storia che lui ha disegnato in maniera perfetta. Sono molto contento di questo libro perché Antonio fa uscire il mio lato “sentimentale” che generalmente non mostro mai. Adesso ne stiamo facendo un altro – sempre per Coconino Press – che è molto più ambizioso: se Sniff voleva essere più “semplice”, “classico”, nel nuovo libro ci saranno delle idee di “linguaggio” che non vedo l’ora di mostrare ai lettori.
E il fumetto che hai realizzato in esclusiva per Artribune, invece, di cosa parla?
Si chiama Rendering ed è una collaborazione con il disegnatore e musicista Frita, uno dei miei più cari amici. Ho iniziato a fare fumetti con lui, anni fa, e mi ha insegnato tantissimo. Era da tanto tempo che non facevamo un fumetto insieme, allora ho scritto questa piccola storia, che lui ha illustrato. Frita è un grande artista, anche lui fa tante cose diverse e ha anche un interessantissimo progetto musicale che si chiama Risentimento (è un po’ un burbero solitario!). Tra l’altro in questi giorni è uscito il suo ultimo singolo, MITO. Per lui ho fatto una serie di videoclip molto strambi di cui sono iperfelice, perché mi hanno spinto a lavorare sul “lo-fi”: sono venuti fuori risultati inaspettati, visibili su YouTube.
Concedimi una chiusura d’intervista classica, ma che visto il lungo lockdown appena concluso ha davvero senso ed è sincera: programmi per l’estate?
Sto scrivendo un nuovo film che si chiama La Maga, che spero finiremo nel 2021. Il mio desiderio sarebbe di girarlo a Potenza, in Basilicata. Penso sia la città più cinematografica d’Italia e non so perché praticamente nessuno ci abbia mai girato un film: per me è una città molto affascinante! Spero quindi quest’estate di fare tante passeggiate e stare tanto all’aria aperta in quelle zone. Vorrei andare in giro per le montagne lucane a fare foto, chiacchierare con gli amici, guardare gli animali, fare picnic e bere il vino.
‒ Alex Urso
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