Feminist Art: il graphic novel dedicato alle donne che hanno rivoluzionato l’arte
Arte, politica ed emancipazione civile: sono questi gli ingredienti alla base di “Feminist Art”, il nuovo graphic novel firmato da Valentina Grande ed Eva Rossetti. Un'immersione nelle lotte sociali e creative di artiste come Ana Mendieta, Judy Chicago e le Guerrilla Girls.
Che le case editrici di fumetto siano sempre più interessate a esplorare la vita e le opere dei grandi artisti del passato non è una novità. Basta fare un “salto” in libreria per trovarsi di fronte a una miriade di biografie illustrate dedicate ai maggiori protagonisti della pittura e della scultura moderna e contemporanea. Qualche esempio? Il graphic novel sulla vita di Francis Bacon, quello sulle imprese creative e umane della grande Yayoi Kusama, e il più recente volume dedicato all’opera rivoluzionaria di Marcel Duchamp.
Ad aggiungere un nuovo tassello a questa straordinaria fioritura editoriale è oggi il nuovo volume di Centauria – la casa editrice più attiva e interessata a esplorare quello speciale interstizio tra arte visuale e balloon. Stiamo parlando di Feminist Art, il fumetto nato dalla speciale collaborazione tra Valentina Grande ed Eva Rossetti.
FEMINIST ART. ARTE E FEMMINISMO
Ambientato prevalentemente nei primi Anni Ottanta, il libro racconta la nascita del movimento femminista, le ambizioni politiche e sociali di questa corrente e la sua affermazione nell’ambito delle arti.
Suddiviso in capitoli, il volume – ricco di quasi 130 pagine a colori – punta in particolare i riflettori sulle vicende di alcune fra le più grandi protagoniste di questa corrente, ovvero Judy Chicago, Faith Ringgold, Ana Mendieta e le Guerrilla Girls. Sono loro le “paladine” attorno a cui ruota la storia. Le loro vite, i temi e il messaggio democratico racchiuso in ognuno dei loro lavori fanno da fil rouge tra le varie vicende narrate, offrendo al lettore più di un’occasione per riflettere sulle battaglie sociali vinte in passato e su quelle ancora da combattere. Per conoscere meglio l’opera, e invitandovi a rimediarne una copia, abbiamo intervistato Valentina Grande, sceneggiatrice della storia.
INTERVISTA A VALENTINA GRANDE
Il libro racconta – in maniera sintetica – la storia di alcune protagoniste dell’arte femminista. Mi spieghi, innanzitutto, cosa si intende per “arte femminista” e quali sono le intenzioni di questo movimento?
L’arte femminista è un movimento composto da molte anime diverse in cui si coniuga l’attivismo politico con la produzione artistica. L’obiettivo comune è quello di rompere la visione secolare della donna nella società così come ci è stata offerta dal sistema patriarcale. La rivoluzione non parte dalle forme, non è un movimento riconoscibile per l’uso di una tecnica, ma dai contenuti: le artiste sono impegnate nella costruzione di un’immagine più autentica della donna e dei corpi in generale.
Immagino che sintetizzare un universo così variegato non sia stato semplice. Al di là del valore documentaristico, qual è lo scopo del libro?
Da sceneggiatrice non ho la pretesa di raccontare l’arte femminista, anche perché esistono vari femminismi. Le artiste di cui raccontiamo nel libro hanno lavorato per rendersi visibili in quanto il loro genere precludeva loro mostre, gallerie e retrospettive. Hanno tracciato la strada che ha permesso a tutte le artiste successive di avere più credibilità e ascolto, ma hanno soprattutto fatto emergere l’importanza della rappresentazione di sé, della riappropriazione della propria storia per una narrazione che diventi patrimonio comune affinché in futuro diminuissero le disuguaglianze di genere.
DA ANA MENDIETA ALLE GUERRILLA GIRLS
Come detto, il libro fa leva sulle storie – differenti e complementari – di Judy Chicago, Faith Ringgold, Ana Mendieta e delle Guerrilla Girls. Cosa vi ha spinto a scegliere proprio loro come “paladine” del racconto?
Le artiste che racconto ci offrono quattro riflessioni differenti. Judy Chicago è stata una pioniera del movimento, lo ha visto nascere e ha lavorato sulla riappropriazione delle parole, sulla scelta politica di nominare e rappresentare quelli che erano, e purtroppo sono ancora, dei tabù: il sangue, la vagina, gli assorbenti.
La seconda artista, Faith Ringgold, da afroamericana riflette sui limiti del femminismo degli Anni Settanta in quanto movimento delle donne bianche della classe media, come sosteneva anche Ana Mendieta. Esule cubana negli Stati Uniti, quest’ultima volge il proprio sguardo sui concetti di origine e di identità. Mendieta cerca un ritorno, ma non alla patria, bensì all’origine di tutte le cose: il mito della Dea Madre che è origine, divenire e fine di ogni essere vivente.
L’ultimo capitolo del libro si chiude con le parole delle Guerrilla Girls, le quali rappresentano la conclusione più piena di questo percorso: sono artiste femministe, non hanno una collocazione geografica e non possiedono un’identità specifica. Rappresentano tutte le donne, quelle del passato che sono state dimenticate e quelle attuali che ancora lottano affinché la cultura sia di, e rappresenti, tutte, tutti e tutt*.
Com’è avvenuta la gestazione del libro tra te ed Eva Rossetti, e quali libri ti hanno accompagnato in quest’avventura?
Eva Rossetti è una disegnatrice molto versatile ed è riuscita a creare immaginari di forme e colori che ogni volta mi stupivano. Abbiamo condiviso tutte le scelte insieme, sia di testo sia di disegno, lasciandoci al contempo estrema libertà creativa.
Il libro è nato quasi in contemporanea: mentre scrivevo Eva disegnava, e capitava che costruissi dei testi partendo proprio dalle sue tavole. Naturalmente la prima fase è stata dedicata allo studio: i testi principali da cui sono partita sono stati Arte e Femminismo di Helen Reckitt e Power of Feminist Art: The American Movement of the 1970s History and Impact di Norma Broude. A questi libri si sono affiancate le biografie di Chicago e Ringgold e, per Mendieta, l’intenso e importante volume Where is Ana Mendieta? di Jane Blocker.
Riallacciandomi a quanto sopra: quanto è attuale il tema di questo lavoro? In fondo tutta l’azione si svolge prevalentemente nei primi Anni Ottanta, e solo alla fine si affaccia sul presente. Cosa rappresenta il termine “arte femminista” oggi e chi pensi abbia “ereditato” e portato a nuovi livelli di riflessione i temi affrontati dalle protagoniste del volume?
La riflessione attuale verte ancora su alcuni temi forti del passato, proprio perché non si è riuscite a scardinare del tutto un impianto fortemente sessista, ma si è ampliato il ragionamento sulla fluidità di genere, sul senso di identità e sull’intersezionalità delle lotte. Uno dei nomi più noti è l’artista sudamericana Regina José Galindo. È una voce importante perché denuncia l’ingiustizia sociale e gli abusi operati in base alle discriminazioni razziali e di genere. La statunitense Kara Walker, invece, è nota per le grandi tele animate da silhouette nere attraverso cui ragiona sulle differenze di razza e di genere.
Mi piacerebbe concludere con due nomi che sono fuori dal mainstream e, proprio per questo, penso siano più legati alla pratica femminista: il duo artistico To\Let, che opera a Bologna, e l’artista MP5, che lavora prevalentemente a Roma. Queste artiste combinano l’attivismo con una produzione artistica che si intreccia al territorio, che esce dagli spazi conformi dei musei o delle gallerie per vivere nello spazio pubblico attraverso la Street Art. Le loro opere hanno spesso al centro dei corpi non conformi e dai caratteri fluidi che abbracciano tutte le possibili identità.
‒ Alex Urso
Valentina Grande, Eva Rossetti – Feminist Art
Centauria, Milano 2020
Pagg. 128, € 19,90
ISBN 9788869214479
www.www.centaurialibri.it
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