È affascinata dal kitsch e dal grottesco, e i suoi fumetti lo dimostrano a meraviglia. Martina Sarritzu (Cesena, 1992) è una delle nuove matite della nona arte italiana. Provate a non innamorarvi dei suoi disegni, e delle sue parole…
Cosa vuol dire per te essere fumettista?
I fumetti che faccio sono la traduzione di uno sguardo insistente su quello che mi circonda. Osservo e origlio per pormi degli interrogativi, per pensare. Sento il bisogno di raccontare un certo tipo di quotidianità. Mi piace fare foto e brevi filmati alle persone che incontro, specialmente in Riviera romagnola, dove sono nata.
Sono passata da questo prima di iniziare a fare fumetti: volevo usare il disegno per descrivere ciò che notavo negli altri e in me, però avevo molta paura di creare dal niente, sul foglio. Poi gradualmente mi sono lasciata andare, ma un passaggio fondamentale è stato quello di innamorarmi del processo di documentazione e raccolta. Anche adesso, prima di iniziare un nuovo progetto, cerco per giorni spunti nel reale, che poi rielaboro: mi tranquillizza pensare di copiare. Recentemente mi è stato detto, per quanto riguarda quello che racconto, che sono una bulletta con un cuore.
Sei nata a Cesena nel 1992 e sei considerata uno dei talenti più brillanti dell’illustrazione e del fumetto italiano. Ci aiuti a conoscerti meglio?
Fino a relativamente poco tempo fa non disegnavo. Ho studiato al liceo scientifico e ho preso una laurea triennale in Psicologia, ma mi sentivo frustrata. Non trovavo piacere in niente di quello che facevo, così dopo questo percorso ho deciso di “resettarmi” e riprendere il disegno. Mi sono iscritta all’Accademia di Fumetto e Illustrazione a Bologna non tanto perché lettrice di fumetti o albi illustrati (ne sapevo ben poco), ma in quanto varie persone a cui avevo chiesto consiglio ritenevano che lì si imparasse a disegnare bene. Inizialmente mi sentivo fuori luogo, ma è in questi studi che poi finalmente mi sono riconosciuta.
NEL MONDO DI MARTINA SARRITZU
Nei tuoi lavori temi sociali, fantastico e una forte dose di grottesco convivono, offrendo al lettore un’occasione per meditare con il sorriso sui temi del presente. Cosa ti interessa raccontare?
Da sempre tendo a notare i dettagli sconvenienti del reale. Mi interessa raccontare l’imperfezione del corpo (la ricrescita dei baffetti, la pezza di sudore, i calli) e i difetti della nostra umanità: le scelte sbagliate, le dinamiche di potere, la sofferenza e l’esaltazione che ci regalano le piccole imprese quotidiane. La realtà di per sé è grottesca. I personaggi – e spesso anche gli episodi – li rubo alla mia infanzia, alla mia adolescenza, ai vari contesti in cui mi sono formata. I miei ricordi preferiti e più significativi sono spesso lontani.
Eppure, come per Nuvolario – il bambino protagonista di Vacanze in scatola (Canicola, 2020) –, l’immaginazione diventa un escamotage per sopravvivere all’inferno del reale.
Da bambina avevo un’idea molto mitizzata della mia esistenza, forse come chiunque durante l’infanzia: volevo essere la più speciale e vivere avventure incantevoli una dopo l’altra. Però ho capito presto che quando si è attratti dall’abbondanza conviene innamorarsi del brutto: non ho voluto rassegnarmi alla delusione e ho iniziato a trovare affascinante e divertente tutto ciò che era sgraziato e ridicolo intorno a me. Raccontandolo poi potevo renderlo fastoso e leggendario. Da ragazza le mie compagne di scuola mi chiamavano “l’iperbolica”, per come enfatizzavo la narrazione delle cose banali che mi succedevano.
IL FUMETTO PER ARTRIBUNE
La tavola che hai disegnato per Artribune Magazine, invece, da cosa nasce?
Quando vado al mare in Riviera la battigia è costellata di granchi morti: i bambini e le bambine li pescano, li lasciano cuocere nel secchiello e poi li buttano a fine giornata. Lo facevo anche io, mentre in Sardegna (mio padre viene dalla provincia di Cagliari) ammazzavo le stelle marine in una maniera brutale, per poi farci dei lavoretti. Non ho mai avuto il minimo rimorso ai tempi. Raccontavo di questa pratica a degli amici qualche giorno prima che mi contattassi, e ho deciso di metterla in scena qui.
L’ultimo libro di Tuono Pettinato, scomparso lo scorso 14 giugno, è stato proprio Vacanze in scatola, pubblicato da Canicola nel 2020 e realizzato a quattro mani con te. Che ricordo hai dell’autore, e quale credi sia l’eredità più grande lasciata al mondo del fumetto?
Mi addolora averlo conosciuto così poco. Abbiamo lavorato prevalentemente a distanza e io ero esordiente e ansiosa come non mai… Devo essere stata un tormento. Tuono ci lascia una marea di libri incredibili. Al di là dell’ovvio, mi ha stupita come accogliesse il mio immaginario facendosi discretamente da parte, se pensava fosse il caso: lui era l’autore di punta e mi faceva quasi paura avere tutta quella libertà. A me lascia il ricordo di un’intelligenza e una gentilezza spiazzanti.
‒ Alex Urso
Martina Sarritzu & Tuono Pettinato – Vacanze in scatola
Canicola Edizioni, Bologna 2020
Pagg. 48, € 16
ISBN 9788899524449
www.canicola.net
Versione integrale dell’articolo pubblicato su Artribune Magazine #62
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