Il mestiere dello sceneggiatore di fumetti. Intervista a Sergio Badino
Quali sono i segreti di una buona storia? Chi può aspirare a diventare sceneggiatore di fumetti? Scopriamo insieme i segreti di un'arte al tempo stesso antica e sempre nuova guidati da un maestro della narrazione
Diventare autori di fumetti è per molti un sogno: chi non vorrebbe dare voce ai personaggi che ci hanno accompagnato nel corso della nostra infanzia? Chi non vorrebbe ideare un’avventura con protagonista il nostro eroe preferito? Questo è il mestiere dello sceneggiatore, colui che idea e che scrive le storie che vengono poi inviate al disegnatore per la realizzazione grafica. Sergio Badino (Genova, 1979) è un maestro dell’arte della sceneggiatura e ha deciso di condensare quello che ha appreso in un agile e affascinante manuale, che riassume tutto quello di cui un aspirante sceneggiatore ha bisogno per iniziare il suo percorso professionale.
Professione sceneggiatore è giunto alla sua terza edizione, con tanto di introduzione di Sandrone Dazieri. Nella prima edizione vantava un’introduzione addirittura di Sergio Bonelli in persona, un marchio di qualità per un’opera fondamentale, soprattutto per l’approccio “hands on“, pragmatico, orientato alla crescita professionale che permea tutto il libro.
CHI È SERGIO BADINO
Sergio Badino è sceneggiatore Disney dal 2001 e ha collaborato con Martin Mystère (sue le storie Il Nilo Giallo e Protocollo Leviathan) e Dylan Dog (Il banco dei pegni); ha collaborato alla realizzazione di cortometraggi animati per Rai, Mediaset e Rainbow, e ha scritto romanzi per il pubblico più giovane come La via del ricordo. Ormai autore di successo, ha scritto a due mani con il mitico autore Disney Carlo Chendi, scomparso a settembre 2021, il volume Conversazione con Carlo Chendi. Da Pepito alla Disney e oltre: cinquant’anni di fumetto vissuti da protagonista. Lo abbiamo contattato per farci schiudere le porte del suo studio e conoscere i segreti del suo lavoro.
L’INTERVISTA A SERGIO BADINO
Le tue storie offrono sempre un punto di vista originale, filosofico, senza dimenticare una certa ironia di fondo. Recentemente sei riuscito a portare sulle pagine di Topolino addirittura una storia impegnativa come Il mistero dell’uomo falena, dedicato alla lotta contro le fake news. Dove trovi l’ispirazione per storie così avvincenti?
Quello dell’ispirazione è un punto su cui bisognerebbe fare chiarezza, e cerco di farlo anche nel manuale: in sostanza si dovrebbe dimenticare il concetto romantico che se ne ha, il luogo comune che un po’ tutti conosciamo, e cioè che essa arrivi un po’ così, dal nulla, senza bisogno di sforzo, senza che serva fare alcunché. Una sorta di “dono” estemporaneo, insomma. Beh, questa è una delle fake news, tanto per restare in tema, più diffuse sul mondo della scrittura.
E dunque qual è la soluzione?
L’ispirazione esiste, ma va allenata: in sintesi, le idee possono anche arrivare da un momento all’altro, in apparenza “dal nulla”, ma in realtà questo cosiddetto “nulla” è alimentato dalle letture e dalle esperienze fatte, dai film, dai documentari e dalle serie viste, dalla capacità di guardarsi intorno e di setacciare la vita quotidiana. Quindi le presunte ispirazioni arrivano solo se nutrite: chi, come me, facendo questo mestiere, deve averne diverse, sa che è importante lavorarci su tutti i giorni. Ecco dove le trovo: tramite un quotidiano – ma ormai naturale e spontaneo come respirare – esercizio e una pratica costante di “drizzare le antenne”.
Come nasce la tua passione per il fumetto? Esiste una storia o un fumetto ti ha segnato facendo nascere in te il “fuoco sacro” per la narrazione attraverso le immagini?
Ho sempre letto fumetti perché per fortuna i miei genitori me li compravano. Direi che tutto quello che ho letto mi ha un po’ influenzato: da bambino leggevo il Corriere dei piccoli, poi Snoopy, Più, Slurp!, Braccio di Ferro, e poi Topolino e tutte le pubblicazioni Disney con le storie degli autori italiani. Intorno ai dieci anni scoprii Carl Barks grazie al mensile Zio Paperone: Barks è stato di sicuro uno dei primi autori a restarmi davvero impresso, seguito in ordine sparso da Bill Watterson (Calvin & Hobbes), Frank Miller (Il ritorno del Cavaliere Oscuro), Goscinny & Uderzo (Asterix) e moltissimi altri. Parallelamente vedevo anche molti film e leggevo narrativa: tutto questo ha contribuito, un passo alla volta, a farmi capire di essere interessato all’ideazione di storie.
IL MESTIERE DELLO SCENEGGIATORE SECONDO BADINO
Nel tuo manuale Professione sceneggiatore descrivi con grande dovizia di particolari una serie di “trucchi del mestiere” che ogni buon sceneggiatore dovrebbe sempre tenere a mente. Quanto è importante la lettura e la capacità di leggere, osservare, ascoltare, in sintesi di meravigliarsi, per intessere una storia avvincente e appagante per il lettore?
In parte ti ho già risposto nella prima domanda. Aggiungo che anche il concetto di “meravigliarsi”, inteso come “empatizzare” con la propria storia, con i propri sentimenti, è importante. È un modo per avvicinarsi al pubblico. Premesso che non è possibile scrivere qualcosa che piaccia indistintamente a tutti i lettori o agli spettatori del mondo, la sensibilità dell’autore è fondamentale, è una cartina di tornasole, una sorta di sesto senso. Se io scrivo qualcosa che mi fa ridere o che mi commuove, che “tocca qualche corda” in me per primo che ne sono autore, allora è probabile che possa sortire lo stesso effetto anche nel pubblico. Se io provo “innamoramento” verso una storia, verso un’idea che magari ho accantonato per dare la precedenza ad altre, ma su cui il mio pensiero ritorna più volte, allora vuol dire che magari quell’idea “mi dice ancora qualcosa”, e che forse potrebbe avere lo stesso effetto anche su altri e che quindi vale la pena lavorarci.
Nel 2001, sul numero 2400 di Topolino, avviene il tuo esordio nel mondo Disney, un universo narrativo a cui hai regalato personaggi freschi e divertenti come Anacardo e Penny (nipoti rispettivamente di Anacleto Mitraglia e della Banda Bassotti). Cosa consiglieresti oggi a uno sceneggiatore esordiente? Cosa è cambiato per un esordiente in questi vent’anni?
Gli consiglierei di guardare non solo al fumetto, ma anche al fumetto. Scrivere e sceneggiare sono due concetti ampi; oggi, rispetto a vent’anni fa, è molto più difficile esordire perché il livello qualitativo richiesto è sempre più alto (nel fumetto in particolare si deve competere con tv, videogame, social… linguaggi di fruizione più immediata e a portata di mano). È anche vero che quello della scrittura è un mondo molto più fluido di un tempo, nel senso che il pubblico è abituato a passare da una forma di intrattenimento a un’altra con molta più facilità, seguendo in modo transmediale le avventure dei beniamini di turno attraverso vari mezzi di comunicazione. Quindi credo che un esordiente debba anzitutto capire che queste forme espressive (fumetto, cinema, tv, videogiochi, narrativa, ecc.) parlano tra loro e che ciascun linguaggio ne influenza un altro. Chi desideri cominciare a scrivere per mestiere oggi penso debba ambire a essere il più malleabile possibile, imparando a declinarsi attraverso più linguaggi differenti.
NON SOLO DISNEY
In qualità di autore hai collaborato sia con la Disney che con la Bonelli. Quali sono le differenze sostanziali nel collaborare con le due principali case editrici italiane del fumetto seriale?
Intanto il tipo di pubblico a cui ci si rivolge: Bonelli dà alle stampe un tipo di fumetto pensato per lettori adulti, mentre Topolino è principalmente per bambini, anche se ha uno zoccolo duro di lettori di varie fasce di età. Questo implica che il tono delle storie sia differente, dato che quelle con i personaggi Disney, anche le più avventurose, devono essere principalmente divertenti, mentre le storie di Martin Mystère, per quanto possano contenere anche una componente umoristica, devono parlare di archeologia, storia, avventura, e possono contenere elementi orrorifici e tematiche e situazioni difficilmente fruibili da un pubblico di bambini. Questo non vuol dire che le storie con i personaggi Disney siano più banali di quelle Bonelli, anzi, tutt’altro: con Topolino si lavora su chiavi di lettura a più livelli, adatte a soddisfare le esigenze del variegato pubblico del settimanale. Di conseguenza anche il ritmo delle storie è diverso: le sceneggiature che scrivo per Topolino – anche le serie più lunghe – hanno comunque puntate al massimo di 25/30 tavole l’una; le storie di Martin Mystère sono lunghe più di 150 tavole divise in due parti.
Puoi condividere con noi una storia che ha per te un valore speciale, una sceneggiatura che rappresenta una pietra miliare nella tua produzione o della quale sei particolarmente orgoglioso?
Di recente, in occasione del quarantennale del personaggio, i lettori di Martin Mystère hanno stilato un elenco delle migliori storie dall’inizio (1982) a oggi: l’obiettivo è pubblicare una top ten delle più belle storie del “detective dell’Impossibile”. Non credo finirà nelle prime dieci, ma una mia storia, Il Nilo Giallo, disegnata da Giancarlo Alessandrini, è arrivata tra le prime 50: se si pensa che stiamo parlando di un personaggio con 40 anni di storia alle spalle e decine di albi pubblicati, si tratta comunque per me di un traguardo di cui sono felice e orgoglioso e che non mi aspettavo.
Passando al mondo Disney, l’anno scorso su Topolino è uscita una storia in quattro puntate: Siamo Serie!, disegnata da Silvia Ziche. Si tratta di una satira delle produzioni televisive e scriverla mi ha molto divertito; inoltre è stato bello collaborare di nuovo con Silvia Ziche dopo 15 anni.
COSA SIGNIFICA NARRARE UNA STORIA
Un elemento che risulta evidente nella tua vicenda professionale è la forte passione per la didattica e la divulgazione dei segreti dell’arte della narrazione. È quasi una missione, per te. Per questo hai anche aperto una scuola di scrittura creativa, StudioStorie. Tu, da docente, quanto ritieni sia importante la disciplina, il metodo per acquisire una professionalità spendibile?
È fondamentale. Chiunque abbia fatto della scrittura il proprio mestiere (ma anche chi lo fa come secondo lavoro o per hobby) sa che non ci sono cartellini da timbrare oppure orari di ufficio. Si è da soli davanti al computer, quindi darsi un ritmo, una disciplina, è fondamentale. Ciascuno poi trova il proprio metodo, non importa quale, basta che funzioni. Io per esempio cerco di lavorare di giorno e di riposare la notte, ma quando occorre lavoro anche la sera o nei fine settimana, che tento sempre di tenere liberi il più possibile, dato che staccare un po’ è importante. Naturalmente la mente non si ferma, e quindi io penso in continuazione alle storie che ho in lavorazione e anche a idee per nuovi progetti, anzi: spesso le soluzioni che sto cercando mi vengono in mente mentre sto facendo tutt’altro. Quello di non avere orari fissi è uno degli aspetti più controversi del nostro lavoro: può essere meraviglioso come anche può diventare un elemento ingestibile.
Oltre all’insegnamento, mi pare di intuire che nutri anche un forte interesse verso lo studio accademico della teoria della narrazione. Nel tuo volume analizzi quasi dal punto di vista dell’antropologia culturale il bisogno umano del racconto del mito, da Christopher Vogler a Robert McKee, passando per Joseph Campbell e Syd Field. Da cosa nasce, a tuo avviso, questo ineludibile anelito a raccontare storie che risale alla notte dei tempi?
Per l’uomo narrare è un fattore genetico, è nel nostro DNA come l’istinto a sopravvivere o quello a riprodurci. Fa parte di noi e il motivo è semplice: raccontare una storia è un modo per tramandare un’esperienza, e fin da subito l’essere umano ha capito che il metodo migliore per farlo è attraverso la narrazione di una serie di eventi che non necessariamente devono corrispondere a un percorso reale, perché è il tema di fondo che conta. L’esigenza di far comprendere ad altri temi di varia natura a noi cari ci ha spinto fin dagli albori a cercare il modo più efficace per ottenere lo scopo, e il modo più efficace è ideare una narrazione che veicoli questi temi.
Su quale storia stai lavorando adesso?
Continuo a scrivere Martin Mystère. Ci sono parecchie mie storie che devono uscire sulla testata, quindi, se volete leggerle, vi consiglio di tenere d’occhio il mensile del “detective dell’Impossibile”. Anche su Topolino il mio impegno prosegue. Al momento sono in fase di disegno due serie dedicate ai principali personaggi femminili del mondo dei paperi e di quello dei topi. Poi sto per iniziare un libro di narrativa con un importante editore con cui ho già pubblicato un volume illustrato per bambini: fa parte di una collana e dovrebbe uscire la prossima primavera. Di più temo di non poter dire per ora.
Thomas Villa
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