Nato ad Arezzo nel 1987, Lorenzo Palloni è una delle voci più autorevoli del fumetto italiano. Merito della sua trasversalità. Nel corso degli anni Lorenzo si è infatti ritagliato un ruolo da protagonista in ogni ambito della produzione editoriale. Disegnatore, sceneggiatore, docente di fumetto e co-fondatore della rivista La Revue Dessinée Italia, lo abbiamo intervistato e ci siamo fatti “regalare” un’opera inedita. Ovviamente in stile noir.
Intervista a Lorenzo Palloni
Cosa vuol dire per te essere fumettista?
È una disciplina totalizzante, una stupenda professione che non sarà mai pagata abbastanza ma che mi fa viaggiare tanto e fare esperienze che mai avrei immaginato; una monomania che mi galvanizza dall’essere demiurgo, dall’avere una connessione diretta con la mente del lettore e un totale controllo sul linguaggio e sul messaggio. Quando faccio fumetti mi sento come un pesce nell’acqua.
Sei uno degli autori più prolifici e apprezzati del panorama italiano. Mi aiuti a presentarti a chi non ti conosce?
Sono scrittore, disegnatore, docente di sceneggiatura, fumetto e storytelling. Insieme ai miei colleghi della Scuola di Comics nel 2011 ho fondato Mammaiuto, gruppo di autori che ha portato in Italia un modello nuovo di autoproduzione. Non sono un grande disegnatore, ma me la cavo nel raccontare. Ossessionato dallo storytelling, quando disegno lavoro principalmente in analogico. Da un paio d’anni sono anche editore e editor de La Revue Dessinée Italia. Ho vinto qualche premio importante per le storie che racconto. Ogni tanto scrivo Dylan Dog. I miei libri sono pubblicati in Italia, Francia, Spagna, Olanda, Croazia e Cina. Nel 2023 sono uscite diverse mie pubblicazioni: Fortezza Volante per Minimum Fax, Ossario per Feltrinelli e L’ignobile Shermann per Saldapress.
I fumetti di Lorenzo Palloni
Sei un autore completo, occupandoti quasi sempre sia della sceneggiatura che del disegno delle tue opere. Come convivono queste due anime nel tuo percorso?
Convivono in maniera fluida, essendo il fumetto per me sia un lavoro che un passatempo – cosa che oltretutto è il motivo della prolificità di cui sopra. L’esigenza e l’urgenza di raccontare molte storie non vanno però a braccetto con i miei limiti: voracità di tempo, necessità di velocità, alti livelli di noia raggiunti rapidamente, curiosità dei limiti del medium, esplorazione di storytelling altrui. E poi ho un segno che non mi soddisfa. Certo, ci sono storie a cui sono legato emotivamente che posso disegnare solo io. Ma ci sono libri che non posso, non voglio, non saprei disegnare. A quel punto, mi rivolgo a un disegnatore. Ho anche un’alta capacità di compartimentazione, come direbbe lo scrittore James Ellroy: lavoro su diversi progetti al tempo stesso, senza che si influenzino.
Non mancano tuttavia le collaborazioni con altri autori, penso a quella con Martoz per Terranera e al recente Fortezza Volante con Miguel Vila…
Uno degli aspetti più emozionanti del lavoro è vedere come le idee, fondendosi, danno più della somma delle loro parti. Uno più uno fa non due ma cinque, venti, duemila. Collaborare da sceneggiatore con un disegnatore vuol dire abbandonarsi a novità, lasciarsi sorprendere da idee a cui mai saresti arrivato da solo. Poi c’è la resa: un fumetto verrà bene in relazione al divertimento che il disegnatore proverà lavorandoci. Lo sceneggiatore perfetto è come Paolo Bonolis: finché è da solo sul palco lo noti, ma quando arriva l’ospite (il disegnatore, nel nostro caso) Bonolis smette di esistere. Per questo lavoro principalmente con persone con cui ho già un rapporto emotivo e per questo i miei libri da sceneggiatore sono migliori di quelli da autore unico. L’unico vero limite è sempre l’ego. Ci vuole un allenamento per non permettere all’ego di vincere: esiste solo la storia, quello che necessita e il modo migliore di raccontarla. Le possibilità sono infinite e quando il lavoro a più mani diventa un balletto e non un incontro di boxe, allora sai che la storia andrà a segno.
Lorenzo Palloni: un autore trasversale
Dall’omaggio alla fantascienza di Instantly Elswhere alla vena pulp e poliziesca di La Lupa, fino alla raccolta di storie noie e horror di Ossario. C’è un filo comune che lega la tua produzione? Cosa ti interessa raccontare?
Un ingordo ti direbbe: voglio raccontare tutto. Quando mi interrogo, in sintesi, capisco che mi interessa raccontare le parti buie e nascoste delle persone. Mi interessano le dinamiche dell’inconscio e dell’impatto che hanno i nostri desideri sugli altri. Più invecchio più voglio vedere cosa scateno a fare incontrare personaggi, a far deflagrare i rispettivi punti di vista su vita e società. Mi piace sbucciare i personaggi, togliere loro tutto ciò che credono sia vero e mostrare al lettore chi siano in profondità. Mi interessa essere pop, usare canoni e dinamiche mainstream, codici condivisi, comuni e chiari – a volte proprio abusati, per dimostrare che nello storytelling nulla scade mai. Un mio desiderio è raccontare quante più storie possibili, di tutti i generi conosciuti e magari mettere le mani su nuovi generi. Ma se devo trovare un fil rouge nelle storie che racconto, ti direi che mi ossessiona il binomio tempo-identità.
Nel 2022 è uscito il primo numero di una nuova rivista di giornalismo a fumetti di cui sei co-fondatore, La Revue Dessinèe Italia. Il progetto prosegue con grande successo. Quali sono i vostri obiettivi?
Intanto essere sostenibili, paghiamo il giusto ma che è troppo in relazione al mercato. Come dice il mio socio Andrea: “o la Revue la fai così, o non la fai”. Siamo indipendenti, vogliamo restarlo, e dobbiamo arrivare a 3mila abbonati, ora siamo a 1500. Intendiamoci, è un miracolo editoriale. Ma l’impegno è immenso e in redazione siamo quattro persone. Gli obiettivi sono nobili: cambiare il modo di fare giornalismo e di far assorbire la realtà ai lettori; trovare un’alternativa indipendente a editoria canonica e distribuzione – che sono un disastro senza pari – e spargere il concetto di una società inclusiva, larga, esponendo le dinamiche marce del capitalismo, della crisi climatica e di tutti i movimenti che stanno devastando questo mondo. Poca roba, insomma! Però è davvero l’unico modo di farlo, perché la Revue è un dispositivo di rallentamento: è slow journalism, si lega al fumetto che è un medium lento, e il lettore ci mette di più a leggerla. Il tempo ci viene portato via continuamente lavorando, distraendoci, intrattenendoci: con la Revue ci riprendiamo in mano il nostro tempo e ti informi sul mondo che ti circonda. E noi ti garantiamo informazione e fumetto di livelli inarrivabili in Italia.
Quali sono le sfide, di mercato ma non solo, di un progetto simile?
Il mercato italiano è pessimo, al momento in cui scrivo è oltretutto contratto a causa di bolle demenziali gonfiate sotto pandemia. Quasi non si vendono più nemmeno i manga, e ce ne voleva. La maggior parte degli editori italiani è nel miglior caso incompetente, nel peggiore in malafede. Mancano i lettori e non per colpa degli editori, ma per profondissimi fattori culturali che con i governi di destra non potranno che peggiorare. La sfida in questa cornice è restare indipendenti e pagare 100 euro a pagina il disegnatore e 50 euro a pagina il giornalista. Per una storia di 20 pagine noi paghiamo quanto un grande editore italiano paga un libro intero di 300 pagine. 1500 euro a illustratore per la copertina. Un numero della Revue costa 56.000 euro. È il prezzo della qualità, sfida vinta con il numero uno. Altra sfida: cominciare a parlare di soldi, grande tabù cattolico e italico, vinta pure questa. La sfida più grande è non solo stare a galla, ma guadagnarci qualcosa. È ancora presto per dirlo ma le prospettive sono rosee.
Fumetto e intelligenza artificiale
Anche nel mondo del fumetto il tema dell’impiego delle AI è sempre più stringente (ultima la polemica intorno al volume Sunyata di Eris edizioni). Alla luce dei tuoi molteplici ruoli e interessi nell’ambito dell’editoria, che opinione hai su questo argomento?
I ragazzi di Eris li conosco, persone fantastiche, ma credo che vidimare pratiche non regolamentate con servizi di origine certa e pessima sia uno sbaglio a livello di credibilità editoriale e, in grande, un brutto messaggio che svaluta il tempo e l’impegno di chi lavora nel settore. Sono sicuro siano armati di buone intenzioni, sia Eris che Francesco D’Isa, ma è giusto e sacrosanto che chi passa la vita chino sul tavolo possa risentirsi e agire come meglio crede per impedire o rallentare pratiche dubbie, immorali e – al momento – visivamente agghiaccianti. Non si possono – né dobbiamo – fermare i servizi di AI, vanno gestiti perché davvero siano uno strumento.
E come si fa?
Per essere gestiti vanno normati il più possibile in modo che non ci guadagnino aziende come Amazon, Meta e compagnia bella. Perché a questa gente fanno capo i servizi di AI generativa. Non è uno strumento, è un servizio. Non hai mai davvero il controllo, puoi solo affinare i prompt. Ma la “vasca” a cui attingono i servizi per creare le immagini è comunque fatta da immagini prese senza il consenso di milioni di autori. La scusa di chi è pro-AI è sempre “pensare al collettivo, non a noi stessi” e in un mondo dove esiste un reddito universale sarei il primo a farlo, ma finché la mia vita dipenderà da quello che immagino e produco, non salirò sul carro di una pratica posticcia e sconclusionata in nome di un “avanzamento culturale” che ingrassa solo il capitalismo che si vuole combattere. MEFU ed EGAIR stanno facendo un lavoro fantastico a riguardo e ringrazio il cielo che esistano in questo momento storico. A livello personale credo nella fatica come vettore di qualità e di riconoscibilità empatica per i lettori. Se le AI riusciranno a farci faticare meno spero proprio sia dal lavoro meccanico, dalle fabbriche, dalla burocrazia, ma non dal fare fumetti.
Alex Urso
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