A quarant’anni di distanza dalla messa in onda in Giappone, le gatte-ladre più famose della tv non hanno perso un grammo del loro sex appeal. Come personaggi sono diventate ciò che hanno voluto: presenza luminosa contro la megalomania della controparte animata maschile. Sensuali ma abilissime donne “action”, con un gradiente di purezza assai tipico nelle produzioni manga dell’epoca. A fare da transfert alla loro epica bellezza di recente si è intromesso il cinema. Le abbiamo viste guadagnarsi un ruolo da guest star nelle nuove pellicole dedicate a City Hunter (Private Eyes nel 2019, Angel Dust uscito da poco in Giappone), addirittura sfidando Lupin nel poco rilevante Lupin III vs Cat’s Eye (2023). Al cinema per la verità erano già state avvistate in un live action del 1997, Cat’s Eye, prodotto da Toei e diretto da Kaizō Hayashi. A guidare l’avventura, tre attrici splendide: Yuki Uchida, Norika Fujiwara e Izumi Inamori, non di body vestite ma infilate in costumi di pelle stile bondage e con unghie alla Catwoman ideati dalla designer Sachiko Itō. Prima della conversione in carne e ossa, un acrobatico incipit animato realizzato dallo stesso studio della serie tv.
Occhi di Gatto. La trama
Occhi di gatto (1981) segna l’inizio di carriera di Tsukasa Hōjō (classe 1959) dopo il lavoro breve Ore wa otoko da! (Sono un uomo), apparso su Weekly Shōnen Jump. Un inizio sfavillante ma impegnativo, ancora oggi il suo manga più conosciuto, in cui racconta le avventure delle sorelle Hitomi, Rui e Ai (in Italia diventate Sheila, Kelly e Tati). Di giorno gestiscono la caffetteria Cat’s Eye, di notte diventano ladre con il nome “Occhi di gatto” prendendo di mira i dipinti del padre scomparso nella speranza di ritrovarlo. A dare loro la caccia è il detective Toshio Utsumi (Matthew), che però è anche il fidanzato ignaro di Hitomi. Nel manga di Hōjō sfila di tutto: romanticismo, mistero, azione e commedia. Gli stereotipi il disegnatore li tiene a bada abilmente, complicando la vicenda sempre sul filo del rasoio delle tre sorelle e, omaggio a un certo realismo ereditato dagli Anni Settanta, non si risparmia nel ritrarre le protagoniste sempre bellissime. Un “vizio” che passerà anche alle opere successive. Nel 2010 esce Cat’s Ai, rilettura della storia dal punto di vista della più giovane delle sorelle, scritto da Sakura Nakameguro con i disegni di Shin Asai. Ambientazione contemporanea, design aggiornato ma opera da dimenticare in fretta.
Occhi di Gatto. Il successo
L’eco cultuale filtrata dalla serie animata andata in onda nell’estate 1983 su Nippon Television qui parte di botto sulle note della sigla popolarissima di Cristina D’Avena. Certamente è azzardato affermare che il fascino di Occhi di gatto stia tutto là, però ciò che vale per l’Italia ha un corrispettivo di enorme successo in Giappone nella canzone Cat’s Eye (For Life Records) interpretata da Anri e accompagnata da immagini a tutta sensualità nei titoli di apertura originali dell’anime. Una commedia giovanile sofisticata e dal finale aperto che è anche il fiore all’occhiello delle produzioni Tokyo Movie Shinsha del periodo. Alla regia volevano Osamu Dezaki, reduce da Rocky Joe 2, ma lui preme per affidare la serie al discepolo Yoshio Takeuchi con il chara design del fidato Akio Sugino, vicino al manga. La seconda stagione parte nel 1984, tre mesi dopo la conclusione dell’altra con cambio al vertice: Kenji Kodama alla regia e Satoshi Hirayama ai disegni. Che appaiono semplificati, più facili da gestire nelle animazioni (Hirayama firma le cover delle vhs giapponesi una decina di anni più tardi non ricordando bene come disegnare le tre gatte), e con pose sempre più sexy delle dirette interessate. Occhi di gatto, a distanza di quarant’anni, non ha mai perso fascino. Opera per pubblico eterogeneo non solo per appassionati di manga e anime. Anche questa una grande conquista per le tre protagoniste.
Mario A. Rumor
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