Il fumetto politico e femminista di La Tram
Prosegue la nostra indagine sui protagonisti del fumetto italiano. Per il numero 78 di Artribune Magazine abbiamo intervistato Margherita “La Tram” Tramutoli, la fumettista (e attivista) autrice del graphic novel targato Emergency “Finché l’ultimo canta ancora”
Nata a Potenza nel 1984, Margherita “La Tram” Tramutoli è una delle fumettiste più attive della scena contemporanea. Il suo è un fumetto impegnato: nei suoi libri il disegno diventa strumento di confronto e indagine sociale (come nel caso del suo ultimo report illustrato sull’Afghanistan, prodotto da Emergency). Ecco il sunto della nostra chiacchierata con l’autrice, e un suo fumetto inedito disegnato per Artribune.
Intervista a La Tram
Cosa vuol dire per te essere fumettista?
Vuol dire avere la catarsi sempre a portata di mano. Avere la possibilità di “esondare”, di estroflettere parti di te insopprimibili e che non potrebbero essere espresse in altro modo se non esagerando, drammatizzando, attraverso iperboli, allegorie, esagerazioni, e di sentirti completamente appagata e felice dopo averlo fatto. Poi ritorna la vita, l’insoddisfazione perenne e si ricomincia daccapo.
Sei tra le fumettiste più attive e apprezzate del contesto italiano. Aiutami a presentarti a chi non ti conosce.
Ho fatto un percorso atipico: per tanto tempo sono stata in dubbio sul perseguire anche un’altra strada, quella della cooperazione internazionale, per cui inizialmente ho provato a far convivere i miei interessi lavorando come grafica nel sociale. Poi il disegno ha prevalso, e ho iniziato a lavorare come fumettista per antologie e come illustratrice editoriale (ho collaborato con l’Espresso, Jacobin Italia, Salani, Marsilio, DeA). Ho lavorato spesso con Marco Rizzo, giornalista e sceneggiatore. Abbiamo realizzato un libro illustrato (L’Ecologia spiegata ai bambini, Beccogiallo), un fumetto per Feltrinelli (La prima bomba, 2020) e un’inchiesta per la Revue Dessinèe Italia. Insegno Teoria del colore alla The Sign di Firenze e dal 2020 faccio parte di Moleste, collettivo per la parità di genere nel mondo del fumetto.
Il fumetto “impegnato” di La Tram
Le tue storie sono spesso segnate da una profonda consapevolezza politica e sociale (e non è un caso che tu ti sia laureata in Relazioni Internazionali all’Orientale di Napoli, prima di dedicarti al disegno). Cosa ti interessa raccontare?
Mi interessa la società. Mi interessa l’altro, voglio sapere cosa mi succede intorno e voglio capire quello che c’è di diverso da me e com’è fatto. Voglio essere un’attrice attiva della società, e per questo trovo importante parlare nelle mie storie di temi che mi starebbero a cuore anche se non facessi la fumettista. La fiction mi interessa, ma ho l’esigenza di fare la mia piccola parte concreta per cambiare quello che non mi piace. Tutto è politica, ogni scelta quotidiana, comprare una cosa anziché un’altra, utilizzare un termine e non un altro, e tutti, consapevolmente o meno, contribuiamo a plasmare la realtà. Io voglio essere sicura di provarci, a dargli la forma che mi piacerebbe avesse, e per farlo scelgo di raccontare storie che offrano degli strumenti di riflessione.
Il tuo nuovo fumetto Finché l’ultimo canta ancora ne è una prova. Prodotto da Emergency, il libro racconta l’Afghanistan a distanza di oltre due anni dalla presa di Kabul da parte dei talebani. Com’è nato il progetto?
Sono stata contatta insieme a Francesca Torre da Emergency in seguito all’uscita di Fai Rumore (Il Castoro, 2022), l’antologia che abbiamo realizzato con Moleste e che parla di violenza di genere per un pubblico young adult. Ci hanno proposto di visitare i loro centri a Kabul e ad Anabah per realizzare una storia che raccontasse com’è cambiato l’accesso alle cure soprattutto per le donne dopo il 15 agosto 2021, quando i talebani sono tornati al potere. Volevano che i dati emersi dal loro report, difficilmente fruibili da un pubblico generico, fossero veicolati attraverso un medium di impatto come il fumetto. Abbiamo intervistato il personale sanitario, i pazienti, la gente comune e abbiamo confezionato una storia formalmente “di fiction” ma che riassume in tre vicende emblematiche le esperienze che abbiano raccolto.
L’esperienza con Moleste, tra fumetto e parità di genere
Spazi abilmente tra fumetto e illustrazione. Come convivono queste due anime nella tua ricerca?
L’illustrazione mi dà modo di esprimere un mondo più segreto e potente. L’assenza di testi lascia più spazio all’interpretazione personale e all’allegoria, e inoltre con l’illustrazione sperimento di più, è il mio laboratorio per il colore, per le forme. Il fumetto mi serve a raccontare quello che altrimenti mi esploderebbe dentro, è più importante il “cosa” che il “come”. Cerco una sintesi che funziona e vado dritta, ha un altro scopo.
Sei tra le fondatrici del collettivo Moleste, il progetto femminista contro gli abusi e le discriminazioni sessiste nel settore della nona arte. Quali erano nel 2020 gli obiettivi di questa coraggiosa e necessaria iniziativa?
Il collettivo è nato in primis per creare uno spazio di confronto e condivisione. Quello del disegnatore è un lavoro solitario e può farti sentire molto solo. Se ti succedono cose spiacevoli puoi pensare che siano un’eccezione o che siano capitate solo a te. Ma come ogni altro mondo del lavoro anche il fumetto è soggetto a dinamiche di potere che a volte si manifestano con abusi e vessazioni di diverso tipo e gravità. Volevamo fare emergere questo tema, volevamo che se ne parlasse e ci si riflettesse insieme, e che chi avesse vissuto esperienze del genere non si sentisse solo.
A quattro anni dalla formazione del gruppo, quali tra questi sono stati raggiunti e su cosa si deve ancora lavorare?
Tengo molto all’aver portato il tema della parità di genere nelle scuole e aver avuto la possibilità di raccontare in modo finalmente non stereotipato le dinamiche di abuso. Ci hanno chiesto di parlare di Fai Rumore moltissime scuole pubbliche e abbiamo realizzato decine di laboratori, e questa è la cosa che pensiamo sia utile più di tutte per formare e divulgare. Dobbiamo ancora lavorare su un coinvolgimento maggiore dei nostri colleghi, probabilmente.
Il fumetto che hai realizzato per Artribune è una storia inedita. Me la racconti? Da cosa nasce?
Ho pensato che accanto a un’intervista ci potesse stare una storia più personale. Ed è la prima volta che racconto di me in un fumetto. L’ho fatto con un po’ di autoironia, consapevole che la narcolessia è parecchio divertente da raccontare quando si presenta sotto forma di allucinazioni visive che si manifestano nei momenti più impensati. Ho fatto anche un’altra cosa che non faccio mai, solitamente: cambiare registro di stili all’interno di una stessa storia. Stavolta ho spaziato dal grottesco all’umoristico al grafico, piegando il segno all’esigenza espressiva di cui di volta in volta necessitavo. Spero vi piaccia almeno quanto mi ha divertito disegnarlo.
Alex Urso
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