La strada, il romanzo capolavoro di Cormac McCarthy, è allo stesso tempo un’opera fortemente visiva eppure ardua da visualizzare. Si tratta di un libro le cui descrizioni lente e minuziose offerte dallo scrittore consentono al lettore di prendere parte agli avvenimenti, instaurando una profonda empatia con i due personaggi principali, osservando tra le righe del testo ciò che padre e figlio vivono nel loro lungo e inconcludente peregrinare. Eppure, al contempo, si tratta di un’opera difficile da mettere a fuoco: ciò che i due vedono è fumo, polvere, rovine di un mondo che non è più quello che conosciamo. Nel cammino “verso sud” ci si addentra in folte coltri grigie; tutto quello che si vede è ciò che non concede di vedere: un grande “telo” scuro e drammatico che copre ogni prospettiva sul presente e sul domani.
Per queste ragioni, forse, l’idea di una versione grafica del romanzo deve avere ingolosito Manu Larcenet, fumettista tra i più intrepidi della scena francese e maestro assoluto del bianco e nero (come dimostra l’opera principale Blast: ottocento pagine in cui l’autore racconta la discesa nell’abisso di uno scrittore tormentato).
Il romanzo “La strada” di Cormac McCarthy
Uscito lo scorso 12 aprile per Coconino Press, la casa editrice che da anni pubblica in Italia i libri di Larcenet, La strada è lo straordinario adattamento grafico di un’opera tra le più lette e amate della letteratura mondiale. Il fumetto certamente non cambia la storia originale; l’asciuga, selezionando i passaggi cruciali del racconto, offrendo una versione più concreta del mondo post-apocalittico delineato da McCarthy nel 2006. Personaggi principali della storia sono un padre e un figlio, superstiti di mondo ormai ridotto in cenere. Camminando da soli in direzione dell’oceano, sostenendosi a vicenda e lottando passo dopo passo contro la fame, il freddo, le bande di predoni e ogni sorta di insidie, i due protagonisti attraversano scenari in rovina, residui di una civiltà che non esiste più. In questa oscurità senza speranza resta solo il fuoco dell’amore a indicare loro la via. “Noi portiamo il fuoco” dice il padre al bambino in uno dei passaggi più iconici del romanzo, ribadendo i cristalli purissimi del loro sentimento, la tenerezza di un amore che resiste di fronte alla ferocia del contesto esterno.
L’adattamento grafico de “La strada” di Manu Larcenet
Stilizzando al massimo gli eventi, e racchiudendoli in circa 150 tavole di straordinaria potenza visiva, il fumetto di Manu Larcenet riesce a dare una veste grafica al celebre romanzo, restituendone con il disegno l’anima soffocante e tenebrosa. Per fare ciò l’artista francese ricorre a un utilizzo dei grigi che avvinghiano il lettore, bloccandone il respiro. Il groviglio di strade che si dipanano sotto i piedi dei due protagonisti viene osservato dal fumettista spesso dall’alto, o comunque da inquadrature che ne rivelano la natura senza origine e senza meta: dove porta questo lungo peregrinare? “Ne ‘La strada’ c’era un universo privo di vita, paesaggi apocalittici, spezzati, sporchi, anzi luridi, e soprattutto morti. Un ambiente senza natura, senza foglie, senza animali. Temevo di non riuscire a resistere sul lungo periodo, soffocato da tanta freddezza”, racconta Larcenet.
Il fumetto “La strada” di Manu Larcenet
Gli unici momenti in cui la lettura si fa più leggera (ma solo agli occhi di chi riesce a cogliere le citazioni), sono quelli in cui Larcenet rende omaggio ai maestri del fumetto e dell’animazione, inserendo impercettibili dettagli grafici, ovviamente non presenti nella storia originale. Così è per i pupazzi di Homer Simpson e del piccolo Minion che il bambino scopre tra i cadaveri, in un’abitazione nella quale si sono consumati rituali macabri e cruenti, e per il libro Enfances di Jean-Jacques Sempé, che il piccolo protagonista trova e sfoglia durante il tragitto: l’immagine del ragazzo con in mano il fumetto del maestro francese recentemente scomparso è una dolce citazione ma anche lo statement dell’intero racconto, condensando amore e crudeltà: il peggio e il meglio che l’essere umano è capace di offrire.
L’intervista a Manu Larcenet
Da Lo scontro quotidiano a Ritorno alla Terra, da Blast a Terapia di Gruppo, hai sempre dimostrato un incredibile virtuosismo grafico e la capacità di sfruttare tutti gli stili. Cosa ti ha guidato nella scelta artistica per questo adattamento?Lo stile grafico si è imposto fin da subito, cioè un disegno classico, non caricaturale. Avevo anche fatto una scelta decisa per il bianco e nero, ma si è rivelata molto violenta, troppo binaria. Allora mi sono ricordato le lezioni della scuola Olivier-de-Serres (École Nationale Supérieure des Arts Appliqués et des Métiers d’Art) e la mia scoperta dei grigi colorati: un modo di addolcire il disegno senza snaturarlo, e un uso molto parsimonioso del colore. Ho colorato io le tavole; credo di avere utilizzato quattordici sfumature di grigio (toh, potrei scriverci un romanzo!), e proprio da quei grigi colorati sono scaturite alcune tra le pagine più belle dell’album.
Con La Strada hai ritrovato in qualche modo il mondo senza speranza, decisamente buio, freddo e duro che avevi già illustrato in Blast o nell’adattamento de Il rapporto di Brodeck. Cos’altro ti ha attirato di questo romanzo?
Sono molto sensibile alla lentezza e all’assenza di scene d’azione hollywoodiane. Non c’è un arco narrativo classico, ma piuttosto una successione di scene, a volte molto contemplative. Scene che si susseguono, si prolungano fino alla seguente. Il racconto prosegue in modo un po’ impressionista. L’ambiente e il paesaggio collegano le scene e danno uniformità al tutto.
Avevi annunciato a McCarthy la volontà di seguire il suo tracciato; ma adattare non è forse un po’ tradire?
Credo di essere stato totalmente fedele al romanzo e all’autore. Certo il disegno è un linguaggio diverso, ed è stato necessario un lavoro di composizione. Infatti nel romanzo gli sguardi non si incrociano quasi mai. Forse perché i due personaggi avanzano di continuo, forse perché parlano poco per via della cenere o perché indossano le mascherine. Mi è sembrato importante utilizzare gli sguardi per comunicare il legame fortissimo tra padre e figlio, e l’emozione che ne scaturisce.
Allo stesso modo in quel mondo senza vita sono riuscito a inserire degli animali, ma ovviamente senza snaturare la storia. Gli uccellini che rappresento sono per me un’occasione per rendere omaggio a Sempé, un disegnatore geniale: mi ha fatto capire che non è necessario disegnare tutto, che il disegno, o anche solo l’abbozzo, può accontentarsi di suggerire. Ma al contrario di Sempé, io non sono un genio. Per me ogni realizzazione è complicata, devo lavorarci parecchio. La fine di quest’album di lungo corso è stata molto difficile, soffocante e dolorosa. A volte mi sono perso nel mondo impietoso che avevo creato.
Alex Urso
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