È la bambina più preoccupata dei fumetti: tra radiogiornali e tv, il mondo va a rotoli di fronte ai suoi occhi, e non ci si può certo aspettare che lo salvino gli adulti. E tuttavia ha la sua età: fa i compiti e vuole le meringhe, e non può farsi mancare una partita ai cowboy con Miguelito, Felipe e la piccola Libertà. Nasceva sessant’anni fa, dalla penna del geniale fumettista argentino Quino – al secolo Joaquín Salvador Lavado Tejón (Mendoza, 1932-2020) – quell’universo di emozioni e pensieri che è Mafalda. Un po’ enfant terrible, un po’ Atlante che sorregge il mondo e le sue pene, la protagonista assoluta delle omonime strisce pubblicate dal 29 settembre del 1964 al 1973, e tradotte in tutto il mondo, ha cambiato per sempre il destino del fumetto.
Mafalda, che salverà il mondo (anche dagli adulti)
“Mamma, perché ci sono i poveri?”. Tenerezza e cinismo, ingenuità bambina e realismo adulto: Mafalda è piccola e grande insieme, radicalmente pacifista (“in guerra con chi non vuole la pace”) e allo stesso tempo spensierata e leggera. Chiede sì al padre di spiegarle il Vietnam, dichiaratamente antifascista e indignata dalla violenza, ma tiene ben salda nella mano la sua pistola giocattolo: è la lezione della televisione, che davvero entra in casa delle persone e cambia l’accesso al mondo e il modo in cui se ne parla. E Mafalda impara presto, prestissimo: ha dopotutto solamente sei anni, una tartaruga chiamata Burocrazia e in testa, sotto il suo iconico frangettone corvino, ha sempre una canzone dei Beatles. Leggendo le sue avventure, e le sue osservazioni filosofiche, ancora oggi non è difficile intuire perché sia diventata la capofila di una generazione.
L’Argentina degli Anni Sessanta nelle strisce di Quino
E intanto si svolge, sotto gli occhi del lettore, un momento storico unico, quell’Argentina degli Anni Sessanta che inizia a stare bene, che vuole stare bene, ma che fa ancora fatica: l’utilitaria è una spesa grossa per la famiglia, i bambini in difficoltà cancellano gli errori con la suola delle scarpe, le case piccole sembrano fatte apparire più grandi gridandoci dentro, e dare ai propri figli “il fratellino” è una decisione importante e rara. E con il cambiare del clima politico, con il suo inasprirsi, c’è tutto l’inizio di quella tragedia argentina che si sarebbe consumata di lì a poco: Susanita, Felipe e Nando si uniscono in una striscia a Mafalda per chiedere a un’infermiera la “vaccinazione contro il dispotismo”.
Quino, il papà di Mafalda
Non che Quino stesso non abbia fatto fatica: avvicinato all’illustrazione dallo zio omonimo, perse la madre molto presto e, appena iscritto alla Scuola di Belle Arti di Mendoza, dovette abbandonare gli studi per l’improvvisa morte del padre. Solo, si dedicò completamente ai fumetti nel suo piccolo appartamento di Buenos Aires, cominciando dalle illustrazioni per le réclame e pubblicando poi strisce su diversi magazine. Così, tra le pubblicità e la satira, comparve Mafalda: è per la Mansfield, linea di un’azienda di elettrodomestici, che creò (per assonanza) il leggendario personaggio. La campagna non fu mai realizzata, ma arrivò prima sull’inserto Gregorio di Leoplán, poi su Primera Plana, il cui direttore era un amico di Quino, e quindi su El Mundo. Poi, la fama: Mafalda diventò il personaggio di lingua spagnola più famoso al mondo.
Il successo planetario di Mafalda
Le strisce sono uscite, copiose, per poco più di un decennio, tra periodici e volumi (spesso sold out) e persino due cartoni. Poi, disse l’autore, “non voleva rischiare di ripetersi”, anche se un ruolo nello stop alle pubblicazioni lo ebbe pure il mutevole panorama politico in America Latina: “Se avessi continuato a disegnarla, mi avrebbero sparato”. E infatti, dopo il colpo di stato del 1976 in Argentina, si trasferì a Milano, tornando a casa solo molti anni dopo. Per tutto il tempo, continuò a creare pagine umoristiche, anche in collaborazione con il famoso fumettista cubano Juan Padrón, tornando a Mafalda solo per alcune campagne di carattere umanitario: per illustrare la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia dell’UNICEF nel ’77, per spiegare la spagnola Legge organica sul diritto all’istruzione nell’86, e infine, per sensibilizzare sulla COVID-19 nel 2020, nonostante un glaucoma l’avesse quasi portato alla cecità. Sarebbe morto poco dopo, a 88 anni.
Giulia Giaume
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