Raccontare il dolore con il fumetto: intervista a Kalina Muhova
Utilizzare il disegno come strumento di auto-analisi e di racconto del proprio dolore. È quanto emerge dai libri di Kalina Muhova, l’illustratrice e fumettista bulgara (ma con base in Italia) ospite del nuovo magazine di Artribune
Sofia dell’Oceano, Diana Sottosopra, Odio l’estate. Sono alcuni dei graphic novel pubblicati in questi anni da Kalina Muhova, la fumettista bulgara che ha scelto di coltivare in Italia la sua passione per il disegno. L’abbiamo intervistata nel nuovo magazine di Artribune. La storia inedita realizzata per noi racconta (per immagini) il dolore e il senso di vuoto lasciato dalla perdita di un genitore.
Intervista a Kalina Muhova
Cosa significa per te essere fumettista?
Per me vuol dire avere libertà – libertà di raccontare quello che voglio, e libertà di farlo nel modo che mi piace di più al momento. Essere fumettista per me vuol dire anche mescolare due parti di me: quella a cui piace creare con le mani, e quella a cui piace pensare. Il mescuglio che nasce spesso mi sorprende, e mi dà gioia mentre sto lavorando.
Sei uno dei maggiori talenti del fumetto e dell’illustrazione europei. Mi aiuti a presentarti a chi non ti conosce?
Mi chiamo Kalina Muhova e sono nata a Sofia, ma vivo in Italia da più di dieci anni. Ho frequentato il triennio di Fumetto e Illustrazione e poi il biennio di Illustrazione per l’Editoria presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Ho iniziato la mia “carriera” da fumettista e illustratrice mentre stavo ancora studiando lì. Quando non sto lavorando su un nuovo libro faccio illustrazioni su commissione o organizzo workshop per bambini e adulti. Dal 2022 vivo a Roma e insegno Fumetto presso la NABA.
Kalina Muhova tra fumetto e illustrazione
Sei arrivata in Italia nel 2013, iniziando dopo l’accademia il tuo percorso professionale. Quanto sei cambiata come autrice negli ultimi cinque anni, ovvero l’arco di tempo che ti separa dall’esordio con Diana sottosopra per Canicola Edizioni?
Abbastanza, penso. Sento finalmente di aver trovato quella che potrebbe diventare la mia voce; in altre parole, penso di aver capito cosa mi piace fare e cosa no a livello creativo, dopo mille esperimenti e fallimenti. Questo non vuol dire che i miei gusti e interessi non cambieranno col tempo, anzi, sono certa che ci sarà forse sempre un senso di “work in progress” nel mio lavoro. Però penso anche che finché rimango onesta con me stessa verso le mie nuove preferenze, una parte di me rimarrà solida e immutabile. Tutto ciò mi ha portato una certa serenità e soddisfazione per quello che faccio.
Nel 2023 esce Fuori casa, una raccolta di storie molto personali, intime e a tratti dolorose. Il fumetto diventa uno strumento per raccontarsi, e soprattutto per conoscersi. Che ruolo attribuisci al disegno nella tua vita?
Il disegno è quello che mi dà senso. Quando la giornata di disegno va bene sono piena di energia e non c’è niente che può fermarmi; se invece va male mi sento persa e nessuno mi può tirare su. Inoltre, il disegno mi aiuta su tanti altri fronti: dal salvarmi dalla noia fino a darmi da mangiare. Ultimamente ho iniziato a usarlo anche come “auto-terapia”. Ho scoperto che mettendo le cose che mi consumano da dentro, fuori, me ne libero (in parte) e riesco a capirle meglio. Vedere le proprie cazzate, bianco su nero, aiuta a metterle in prospettiva.
Il fumetto come terapia
Questo aspetto è evidente in Odio l’estate, il tuo ultimo libro pubblicato per Rulez. È un fumetto autobiografico, anche se poi la storia si sposta su tua madre e sulla sua malattia, facendola diventare la vera protagonista del libro. Me lo racconti?
Odio l’estate è un libro che parla principalmente dell’estate che ho passato nel 2022, che è stata particolarmente odiosa. In primis, perché in quel periodo ho scoperto che mia madre aveva una malattia terminale. In secondo luogo, perché non ho potuto esserci per lei nei primi mesi, avendo subito un incidente che mi ha impedito di raggiungerla in Bulgaria. Dall’enorme frustrazione provocata da questa combo è nato il mio fumetto. Lavorarci mi è servito molto a indagare sulle distanze che si erano create tra di noi col tempo, e a capire meglio certe scelte che aveva preso lei. Odio l’estate è un libro che parla di questo, ma penso anche di molto altro: ci sono un mucchio di altre paranoie e ansie da scoprire dentro.
Quanto è stato difficile mettere su carta i sentimenti dolorosi legati alla malattia di tua madre? Quante volte ti sei chiesta, in corso d’opera, se aprirsi in maniera così diretta fosse una cosa giusta?
Zero volte. Ho fatto quello che ho fatto perché ne avevo bisogno. Se avessi lasciato quelle parole e immagini dentro di me, mi avrebbero consumata. Non mi sono mai chiesta se aveva senso o no farlo, lo dovevo fare per me, e basta. Poi, una volta finito tutto, certo, avevo un po’ di dubbi se condividerlo con il mondo o no. È stato il mondo stesso a convincermi che non c’è niente di male nell’aprirsi. Vedere che c’è risonanza tra me e chi mi legge mi ha dato una forza incredibile; mi ha fatto capire che sono meno sola di quello che pensavo e che quello che stavo provando fosse valido. Sono state le reazioni dei miei primi beta lettori a darmi coraggio nel fare questo passo. Spero che in futuro, chi mi leggerà, potrà trarre lo stesso vantaggio dal mio lavoro.
Eppure il libro alterna momenti molto dolorosi ad altri più divertenti. In molti casi l’angoscia causata dal pensiero della scomparsa di un genitore lascia spazio a pensieri più leggeri, che spezzano la narrazione…
Più passa il tempo, più penso che l’ironia sia una cosa molto legata a degli aspetti culturali. La Bulgaria e gli altri Paesi dell’ex blocco sovietico sono segnati da un’estrema povertà, e di conseguenza una dose di malinconia non manca a nessuno con quelle origini. Se si vuole sopravvivere a una realtà così crudele, un po’ di umorismo lo devi coltivare. Non si può prendere tutto sul serio.
La storia inedita di Kalina Muhova per Artribune
Il fumetto che hai realizzato per Artribune, invece, di cosa parla?
Parla del lutto. Prima di quest’anno credo di non aver mai capito bene cosa volesse dire questa parola. Lutto. Può essere tante cose; è un sentimento strano, sorprendente a volte. Quindi, ecco, volevo fare una storia che parlasse di questo. Ho appena finito un altro libro-diario, che parla della morte di mia madre, e questo preciso pezzo sul lutto non riuscivo a piazzarlo da nessuna parte. Però mi dispiaceva lasciarlo da solo nella mia testa.
Alex Urso
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