Che cosa unisce l’Opus Dei, la Basilica di Sant’Apollinare a Roma, un rigattiere di Palermo e un artista tormentato noto come “il Tedesco”? A prima vista, potrebbe sembrare una trama classica di Diabolik. E infatti la narrazione che vi accingete a esplorare si intreccia profondamente con la storia del “Re del Terrore”, creato dalle sorelle Giussani per adattarsi ai ritmi frenetici del trasporto pubblico milanese. Oggi Diabolik è una delle icone più riconoscibili del fumetto italiano. Ma chi è l’autore di un “character design” così emblematico? Questa è la domanda centrale del nuovo libro di Gianni Bono e Raffaele Mangano, Non sono stato io, edito da If Edizioni.
Il romanzo-indagine sul primo disegnatore di Diabolik
Il volume si presenta come un’indagine in puro stile poliziesco, arricchita da dialoghi vividi e un ritmo narrativo avvincente. Sebbene la documentazione non possa comprovare con assoluta certezza le tesi degli autori, l’approccio narrativo scelto permette di immergersi in una storia ben costruita, credibile e coinvolgente, piuttosto che limitarsi a una mera ricostruzione storico-scientifica. L’intento narrativo di Bono e Mangano è encomiabile. Il libro offre ore di lettura accompagnate da una trama avvincente, che esplora le motivazioni di un autore italiano di grande talento che abbandona la sua creazione più riuscita e scompare nel nulla. Perché, infatti, si sa poco o nulla della vita dell’autore della caratterizzazione grafica di Diabolik.
La storia di Angelo Zarcone
Nella Milano degli Anni Sessanta, durante il boom economico, la città è un crogiolo di creatività. Tra i protagonisti c’è Angela Giussani, co-creatrice di Diabolik insieme a sua sorella Luciana. Angela Giussani è la moglie di Gino Sansoni, grande editore. Ma Angela non ha nulla da invidiare al marito in quanto a talento: nel 1961 fonda l’editrice Astorina, specializzata in fumetti. Secondo Bono e Mangano, l’incaricato di disegnare il primo volume di Diabolik nel 1962 fu Angelo Zarcone, descritto come un uomo silenzioso, riservato e ambizioso. Zarcone cattura l’essenza del “Re del Terrore”, creando un volto che sarebbe diventato un’icona per generazioni di lettori, riconoscibile ancora oggi, oltre sessant’anni dopo la sua creazione. Il misterioso autore si reca in redazione sempre indossando sandali, e accompagnato da suo figlio, di aspetto nordico: capelli biondi e una carnagione bianca come il latte; per questo viene ribattezzato informalmente “il Tedesco”.
La misteriosa scomparsa di Angelo Zarcone
Dopo aver completato i disegni del primo numero, tuttavia, Zarcone scompare misteriosamente, avvolto in un alone di mistero che nemmeno i tentativi dell’investigatore Tom Ponzi riusciranno a dissipare. Per decenni, nessuno seppe della sua sorte. Zarcone non rivendicò mai la paternità del suo lavoro né cercò riconoscimenti. La sua scomparsa – in stile Ettore Majorana – lascia solo congetture sul motivo di questa fuga. E qui il libro Non sono stato io colma le lacune in maniera eccellente. Bono e Mangano, con una prosa accurata e coinvolgente, dipingono il ritratto di un artista tormentato, che prova vergogna per il proprio lavoro. Zarcone si sentiva colpevole per aver dato vita a un criminale come Diabolik. Il libro ipotizza una possibile “crisi mistica” che avrebbe spinto Zarcone a ritirarsi dalla scena pubblica, vivendo nell’ombra fino alla sua scomparsa definitiva. È un ritratto toccante di un uomo in lotta con i suoi demoni interiori, incapace di conciliare la sua arte con la morale e le aspettative della società.
Il libro “Non sono stato io” tra verità e finzione
Il ritrovamento di un dipinto a olio datato 1971 da parte di un artista siciliano, Pippo Madè, rappresenta una delle tappe di questa indagine che cerca di ricostruire il percorso di vita di Zarcone. Bono e Mangano non si limitano a presentare un’inchiesta: ogni dettaglio della storia viene ricostruito con la meticolosità di un investigatore, risultando in un saggio narrativo che mantiene il lettore con il fiato sospeso fino all’ultima pagina. Zarcone rimane una figura sfuggente, quasi irreale. I pochi dettagli della sua vita privata emersi nel libro, come il fatto che vivesse in solitudine in un appartamento disordinato vicino a Piazza Florio a Palermo, offrono il ritratto di un uomo ai margini, forse sopraffatto dal proprio talento. Nel libro, l’ottantottenne artista Pippo Madè racconta di come al ritorno da Milano, Zarcone fosse stato “molto vago su quanto aveva combinato al nord. Forse adesso posso capire il motivo. Il nostro gruppo di amici non vedeva di buon occhio le pubblicazioni che parlavano di assassini e delinquenti, dove trionfava il male. Il male esiste, ma alla fine, per come io penso, deve sempre trionfare il bene. Ecco, forse Angelo si era vergognato di quei lavori e non ne parlò a nessuno”. In effetti una delle opere firmate di Angelo Zarcone testimoniano i suoi dubbi morali e un suo latente fervore religioso: si tratta di un dipinto che ritrae il fondatore della compagnia dell’Opus Dei, Josemaría Escrivá de Balaguer, nascosto in bella vista in una delle chiese più centrali della Città Eterna.
Il romanzo di Bono e Mangano
Decenni dopo, il mistero di Angelo Zarcone continua ad affascinare. Nonostante i numerosi tentativi di rintracciare l’artista e di risolvere il caso, la sua storia rimane un enigma, alimentato da coincidenze e ipotesi mai del tutto chiarite. Non sono stato io è un’opera che, oltre a esplorare la figura di Zarcone, offre una riflessione profonda sul ruolo dell’artista nella società e sul peso della creazione. In un’epoca in cui successo e riconoscimento sembrano essere gli obiettivi finali, la storia di Zarcone ci ricorda che, a volte, il vero talento preferisce l’ombra alla luce. Se le tesi di Bono e Mangano fossero corrette, Diabolik avrebbe letteralmente rubato la scena al suo stesso creatore, configurando un crimine perfetto, senza testimoni.
Thomas Villa
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