Il New Yorker compie 100 anni: la storia del magazine e delle sue mitiche copertine

Con una frequenza di circa 50 numeri all'anno, il “New Yorker” è uno dei magazine più importanti d'America. Nata nel 1925, la rivista è diventata nel tempo un modello editoriale di successo, anche grazie alle sue leggendarie copertine d'autore

Una grafica minimale ed elegante, qualche rara foto all’interno dei testi e un’impaginazione tutt’altro che estrosa, dimostrando il successo della scelta di puntare tutto sui contenuti, offrendo ai lettori storie di forte rilevanza e interesse collettivo. Nasce con questi presupposti, il 21 febbraio 1925, The New Yorker, la “rivista delle riviste” fondata da due giornalisti che volevano raccontare la movimentata vita culturale della Grande Mela attraverso un filtro che potesse essere accattivante non soltanto per gli abitanti del luogo, ma anche per chi in quella città non ci aveva mai vissuto e tuttavia era curioso di coglierne la vivacità sociale.

La nascita del “New Yorker” nel 1925

I due autori in questione sono Harold Ross (ex direttore della testata Stars and Stripes) e Jane Grant (reporter del New York Times e moglie del primo), che agli albori del secolo scorso uniscono le forze con l’obiettivo di dare vita a un periodico satirico, sullo stile di pubblicazioni come Puck e Punch, in voga in quegli anni. A guidarli in questa missione, finanziandone l’impresa, è Raoul Fleischmann, ereditiere che tra una partita di poker e l’altra si innamora della proposta di Ross accettando il coinvolgimento. Il nome The New Yorker spetta invece all’addetto stampa di Broadway, John Toohey, che propone una soluzione semplice ed efficace per rispecchiare le ambizioni del progetto: raccontare in modo fresco, con un tocco di sofisticatezza e profondità, i personaggi e gli appuntamenti culturali di New York, distinguendosi dalle riviste di quegli anni per il taglio umoristico e a tratti un po’ snob.

Il successo e il modello del “New Yorker”

Nonostante i primi tentennamenti, attutiti dalla tenacia di Fleischmann (che investì ulteriori capitali senza lasciarsi intimorire dalle scarsissime vendite di copie dei primi mesi), la svolta arriva nel novembre del 1925, quando un articolo sulla vita notturna di New York fa schizzare le vendite, scolpendo in maniera netta l’identità della rivista e quelli che sarebbero dovuti essere i campi d’interesse da approfondire. Nel suo formato simile a quello di un foglio A4 (una dimensione volutamente ristretta, per favorire le spedizioni e la maneggevolezza del prodotto), il New Yorker ospita da un secolo storie che parlano di arte, filosofia, politica e società, senza particolare interesse per temi come la moda, il gossip e il lifestyle. L’interesse culturale, insomma, è la principale guida della rivista, che nel corso della sua storia ha potuto godere delle collaborazioni di giornalisti e scrittori prestigiosi che ne hanno aumentato la fama: basti pensare che La banalità del male di Hannah Arendt nacque proprio sulle pagine del magazine come diario settimanale tenuto dall’autrice durante il processo al gerarca Adolf Eichmann.

Le mitiche copertine del magazine “New Yorker”

Al di là delle penne che nel corso dei decenni si sono alternate tra le pagine del giornale – oltre a Hannah Arendt figurano nella lista J.D. Salinger, James Baldwin, Malcolm Gladwell e Jill Lepore -, leggendarie sono anche le copertine della rivista, vere e proprie opere da collezione firmate da vignettisti e illustratori di assoluto riguardo. Saul Steinberg (autore della celebre View of the World from 9th Avenue), Jean-Jacques Sempé, Charles Addams, Roz Chast, Lorenzo Mattotti, Chris Ware e R. Kikuo Johnson sono solo alcuni degli artisti a cui nel corso dei decenni sono state affidate le cover del New Yorker. Sotto l’attenta guida di Françoise Mouly, art director del magazine dal 1993, il settimanale ha pubblicato illustrazioni storiche, come quella dedicata agli attentati dell’11 settembre 2001 disegnata da Art Spiegelman, quella di Barry Blitt su Donald Trump, e la più recente e “virale” cover dell’italiana Bianca Bagnarelli (che in occasione del capodanno del 2024 ha disegnato una ragazza intenta a lavorare a casa mentre guarda dalla finestra i festeggiamenti).

Il ruolo di Rea Irvin tra cover e vignette

Un posto di riguardo in questa cerchia di fuoriclasse dell’illustrazione spetta inoltre a Rea Irvin, graphic designer ante litteram a cui venne affidata la creazione del logo del New Yorker, il tipo di carattere da adottare negli articoli, e non ultimo la mascotte del giornale, il damerino Eustace Tilley, che nella copertina del primo numero compare di profilo mentre osserva con il monocolo una farfalla che gli vola davanti al naso. Sempre a Irvin spetta il merito di aver dato una propria dignità alla sezione vignette della rivista, inaugurando uno stile, grafico e umoristico, che avrebbe fatto scuola. Tra le strisce più famose spicca infine quella di Peter Steiner, che nel 1993 disegnò due cani seduti davanti a un computer e la battuta, pronunciata da uno dei due animali: “On the Internet, nobody knows you’re a dog” (Su Internet, nessuno sa che sei un cane). Tra riedizioni e merchandising, la vignetta di Steiner ha incassato più di 100mila dollari per i diritti di pubblicazione, diventando una delle strisce satiriche più popolari (e redditizie) della storia.

Alex Urso

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Alex Urso

Alex Urso

Artista e curatore. Diplomato in Pittura (Accademia di Belle Arti di Brera). Laureato in Lettere Moderne (Università di Macerata, Università di Bologna). Corsi di perfezionamento in Arts and Heritage Management (Università Bocconi) e Arts and Culture Strategy (Università della Pennsylvania).…

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