Il fumetto sugli artisti O’Tama e Vincenzo Ragusa. Storia di un amore fra Tokyo e Palermo

Dalla Sicilia al Giappone e ritorno. Un’affascinante vicenda internazionale, iniziata a fine ’800. Due artisti, il loro amore e l’impegno per la cultura. Dopo mostre, pubblicazioni, studi, in Italia arriva il fumetto. Un’occasione per ripercorrere le tappe fondamentali di un’incredibile storia

Potrebbe essere la trama di un romanzo, di un libretto d’opera, di un film. Due esistenze lontanissime, culturalmente e geograficamente, che una combinazione di casualità e di desiderio, forse una forma di destino o di magia, mise sullo stesso cammino, illuminandone la direzione. Vincenzo Ragusa, scultore palermitano, figura di rilievo nell’ambito del realismo italiano di fine Ottocento, coltivò profonde passioni, tra curiosità per il mondo e un forte idealismo intellettuale: l’arte, nel suo progetto esistenziale, era strumento per una rinnovata consapevolezza sociale, per la formazione delle giovani generazioni, per la costruzione di memoria collettiva e insieme per la conquista di orizzonti nuovi. La stima di cui godeva e i diversi incarichi ricevuti da prestigiose committenze pubbliche, lo condussero fino in Giappone, dove fu ambasciatore della cultura italiana nelle vesti di docente di scultura. Qui conobbe Tama Kiyohara, figlia del custode del celebre tempio buddista Zojoji, nel cuore di Tokyo. Folgorato dalla sua bellezza, colpito dal suo talento per il disegno e la pittura, ne fece sua modella e poi sua compagna di vita e di lavoro. Il loro foedus d’amore e di reciproca stima, che li vide accanto in Giappone e poi in Sicilia, sarebbe durato per tutta la vita.

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O’Tama Kiyohara e Vincenzo Ragusa: il primo fumetto

Una vicenda romantica a cavallo tra due secoli, decisamente inedita per i tempi, in cui si fondono erotismo ed esotismo, spirito internazionale, sincretismo culturale, emancipazione femminile, devozione per l’arte, ricerca, tradizione e lavoro quotidiano. Una storia raccontata attraverso saggi, film, mostre, spettacoli teatrali, e che oggi approda anche al mondo del fumetto: Vincenzo e O’Tama diventano creature d’inchiostro e di carta grazie al soggetto ideato e scritto da Ichiguchi Keiko, nota autrice e fumettista giapponese, ma bolognese d’adozione, che qui si affida ai disegni di Andrea Accardi, con l’inchiostrazione di Arianna Farricella. Ed è un intrigante gioco di connessioni e ricuciture, a distanza di due secoli, a far incontrare il Giappone di O’Tama, il linguaggio attuale dei manga e il contesto italiano di oggi e di ieri. Il libro, con copertina rigida a colori e tavole in bianco e nero, è pubblicato dalla casa editrice milanese Sergio Bonelli e in apertura ospita un testo della Prof.ssa Maria Antonietta Spadaro, architetta e storica dell’arte, tra le firme che hanno contribuito allo studio e alla ricognizione della produzione artistica di O’Tama.

Lungo le pagine della graphic novel si srotolano così le aggraziate illustrazioni: la formula è quella del flashback, un viaggio nella memoria dell’ormai anziana O’Tama, rimasta vedova e ritornata in Giappone, intenta a raccontare la sua storia ad Atushi, un bimbo di umili origini, orfano di madre, con un padre non vedente e troppo severo. La natura sensibile e l’indole creativa del ragazzino, affascinato dalla pittura, lo portano a stringere un legame con la donna, da cui si rifugia ogni volta che può. Ed è questa tenera amicizia, insieme a vari scorci di vita di Atushi, a diventare lo spunto narrativo attraverso cui si snoda il racconto di un’O’Tama allo specchio, mirabilmente sdoppiata in una delle illustrazioni a piena pagina: giovane e bellissima nello spazio dolce del ricordo, oggi invecchiata, canuta, vestita a lutto, ma ancora devota ai suoi pennelli, felice di ripercorrere con il suo piccolo amico un passato custodito con gratitudine e infinita nostalgia.

Vincenzo Ragusa e il viaggio in Giappone

Il nastro dunque si riavvolge e tutto parte da quel coup de foudre scoppiato a Tokyo, nell’autunno del 1877: è la scena dell’incontro tra un giovane uomo siciliano, stimato artista e professore, e una fanciulla giapponese, avvolta da un tradizionale kimono, intenta a disegnare nel portico del tempio in un mite pomeriggio d’autunno. Diciassette anni lei, trentasei anni lui, giunto nella Capitale del Giappone l’anno prima, su incarico dell’Accademia di Brera, per insegnare – insieme al pittore Antonio Fontanesi e all’architetto Vincenzo Cappelletti – presso la neonata Bijutsu Gakkô (prima Scuola pubblica di Belle Arti in Giappone). Si cercava, all’epoca, di favorire la conoscenza delle tecniche e dei linguaggi occidentali fra gli artisti e il pubblico del luogo: un progetto interculturale di apertura e rinnovamento, inaugurato con il ritorno della famiglia imperiale Meiji, nel 1968, al termine del periodo Edo, durato tre secoli, caratterizzato da un radicale isolazionismo e da un’impostazione conservatrice, xenofoba, fortemente identitaria.
A Ragusa, che ottenne anche una cattedra presso la Scuola d’Arte Industriale di Yokohama, venivano garantiti uno stipendio, un alloggio, assistenza sanitaria e onori pubblici, incluso l’incontro con l’Imperatore Mutsuhito, nel ’79, da cui derivò la possibilità di realizzare diverse opere presso la Corte imperiale. L’impatto del Realismo europeo fu forte e per certi versi destabilizzante, per una società non avvezza alla rappresentazione mimetica del reale: la produzione di ritratti realistici iniziò così a prendere piede, partendo da quello che Ragusa eseguì per lo stesso Imperatore e arrivando, via via, alla raffigurazione di personaggi pubblici, attori, cittadini illustri e gente comune.

Ma la prima donna giapponese ad aver posato per lui – e in assoluto per un artista straniero – fu proprio quella ragazza conosciuta nel tempio Zojoji e mai dimenticata: nel 1878 Ragusa immortalò Tama in uno splendido busto bronzeo, cogliendone il dinamismo della testa leggermente ruotata, la delicatezza dei tratti adolescenziali, la severità dell’espressione e la profondità dello sguardo assorto, dritto verso all’orizzonte. L’opera è custodita nelle collezioni del Museo dell’Univeristà delle Arti di Tokyo, parte di un ampio corpus di sculture donate da O’Tama alla morte del marito. Un altro ritratto di lei, con i capelli raccolti in un lento chignon, un kimono leggermente scollato e la bocca appena dischiusa, è oggi conservato dalla Galleria d’Arte Moderna di Palermo: realizzato in terracotta nel 1883, è un piccolo capolavoro di morbidezza plastica, di sensualità e di dolcezza espressiva.

Il ritorno a Palermo e la scuola d’arte

Durante gli anni trascorsi in Giappone Vincenzo Ragusa si dedicò parallelamente a una frenetica attività di collezionismo, sull’onda di quell’Orientalismo sbocciato in Europa nell’Ottocento e recepito anche da artisti e collezionisti italiani: si tratta di oltre 4000 pezzi, un catalogo enorme e variegato, risalente soprattutto al periodo Edo e composto da porcellane, ceramiche, lacche, piccole sculture, strumenti musicali, lacche, abiti e accessori, vasi, oggetti vari e contenitori in bronzo.
Quest’immenso tesoro viaggiò dal Giappone alla Sicilia quando Ragusa rientrò nella natia Palermo. Era l’estate del 1882, l’avventura nella terra del Sol Levante era finita, ma stava per iniziarne un’altra, altrettanto entusiasmante. Con lui partì naturalmente O’Tama, che nel frattempo aveva proseguito a dipingere, sviluppando un talento innato e una straordinaria versatilità nel passare da soggetti tipicamente orientali a temi e stili figli della cultura occidentale contemporanea. A Palermo giunsero anche la sorella e il cognato di lei, O’Chiko e Einosuke, specializzati rispettivamente nell’arte del ricamo e nella lavorazione della lacca. Una bella tavola del fumetto incornicia il momento dello sbarco: gli occhi sgranati e il sorriso di lei, 21 anni, nella gioia di un grande amore e nel coraggio di cambiare tutto, cercando la felicità a 10.000 km da casa; la serenità e la fierezza di lui, pronto a trasformare il momento del ritorno nella scommessa di una vita nuova. Sul fondo, in prospettiva, la passeggiata del vecchio lungomare, tra scorci di chiese e monumenti, nella luce cristallina dell’isola.

larrivo a palermo di vincenzo ragusa e otama Il fumetto sugli artisti O’Tama e Vincenzo Ragusa. Storia di un amore fra Tokyo e Palermo



Le nozze si celebrarono nel 1889, con rito cattolico: convertitasi al cristianesimo, Tama scelse un secondo nome italiano, Eleonora Ragusa, venendo accolta con calore dall’aristocrazia e dalla borghesia palermitane, presso cui impartiva spesso lezioni di pittura. O’Tama restò invece la firma con cui siglava i suoi lavori, particolarmente apprezzati nell’ambiente, tra incantevoli ritratti, decorazioni d’interni e di tessuti, soggetti naturalistici, paesaggi e vedute urbane. Un suo dipinto, La notte dell’Ascensione (1891-92), è conservato in città, presso la Galleria d’Arte Moderna: la marina di Palermo, con il Monte Pellegrino sullo sfondo, è ripresa dall’alto nella notte della grande festa liturgica, durante la benedizione degli animali, mentre fasci di luce provenienti dalle barche illuminano la scena. Molte le opere disperse, tra cui la tela Ha preso il volo, medaglia d’argento all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Palermo del 1892.

Palermo e il progetto di una nuova scuola

Comincia dunque qui, a Palermo, la lunga strada verso un nuovo sogno comune: Vincenzo riuscì ad aprire nel 1884 una scuola superiore d’arte applicata, per l’apprendimento delle tecniche artistiche orientali, ispirata al successo registrato in quegli anni da William Morris e dal movimento Arts and Crafts in Inghilterra. “pieno l’animo di ardente entusiasmo indotto vivendo per sette anni in mezzo ad una popolazione dotata di squisite e geniali attitudini artistiche (…) volli portare il contributo di figlio devoto al progresso della mia negletta patria, impiantando in Sicilia le Scuole d’arte applicate all’industria”.
Non fu un percorso semplice, tra incertezze, scetticismo diffuso e un’accoglienza timida da parte di investitori e istituzioni. Eppure il progetto partì, con il nome di “Museo Artistico Industriale Scuole Officine”, affiancando all’offerta formativa la corposa collezione nipponica dell’artista. Il Consiglio Comunale stanziò una somma iniziale, la prima sede fu identificata nel Palazzo Belvedere e Ragusa venne confermato direttore dal prestigioso consiglio direttivo (tra i Presidenti si annoverano anche l’architetto Giuseppe Damiani Almeyda e l’Archeologo Antonino Salinas, mentre Giovan Battista Filippo Basile ricoprì il ruolo di consigliere); intanto O’ Tama dirigeva la sezione femminile e insegnava tecniche della ceramica, la sorella teneva il corso di ricamo tradizionale e il cognato era responsabile dell’officina della lacca.

otama la notte dellascensione 1891 92 Il fumetto sugli artisti O’Tama e Vincenzo Ragusa. Storia di un amore fra Tokyo e Palermo
O’Tama, La notte dell’ascensione, 1891-92

Vincenzo Ragusa: il tramonto di un sogno

Presto sopraggiunse però il tempo della crisi. La Sicilia fu, come da copione, luogo di profonda ispirazione ma anche di difficoltà e di fallimento: le economie insufficienti e l’ostracismo delle istituzioni, sia a livello locale che nazionale, costrinsero Ragusa a ridimensionare via via quel che aveva faticosamente costruito. Chiuso il laboratorio della lacca, per volontà superiori, gli venne poi chiesto di eliminare il museo generosamente messo a disposizione della collettività: “Lo sfratto immediato del prezioso museo […] e la chiusura delle officine – avrebbe scritto – si era ordinato perché si era fatto credere al Ministero che l’arte e l’industria giapponese potessero contagiare e umiliare l’arte italiana”. Lo slancio intellettuale e la portata internazionale del progetto di Vincenzo e O’Tama si infranse contro la miopia di un nazionalismo incolto, castrante, ripiegato su sé stesso. Presto anche O’Tama dovette rinunciare al suo ruolo, a causa della soppressione della sezione femminile. Ancora Ragusa: “La chiusura dell’officina delle lacche causò il licenziamento e quindi il rimpatrio degli artefici giapponesi. Si privò la Sicilia di una industria artistica privilegiata che non esisteva in nessun paese d’ Europa per la grande difficoltà dell’impianto: nessun governo avendo avuto il coraggio e l’ardimento di un povero artista”. 

L’addio alla collezione di Ragusa


Un’ispezione condotta nel 1989 dall’architetto Luigi Rosso e la chiara diffidenza nutrita nei confronti del direttore portarono a un progressivo impoverimento e snaturamento della scuola, il cui carattere avanguardistico e multiculturale venne sacrificato nel nome di un mesto ritorno all’ordine. Ragusa, schiacciato dalle difficoltà economiche, fu costretto a vendere la sua collezione, snobbata e non apprezzata dalle istituzioni palermitane (che si fecero così scappare un tale patrimonio), infine acquisita dal Regio Museo Nazionale Preistorico Etnografico di Roma, oggi Museo delle Civiltà, dove ancora viene conservata ma purtroppo non esposta: La mia casa – scrisse nel 1914 a Luigi Pigolini, allora direttore del museo romano – è divenuta un disordinato fondaco, un improvvisato cantiere: si improvvisano casse, strumenti, scaffali, sezioni, si costata l’esistenza di ogni oggetto e il rivederli è un godimento dell’animo, è un trionfo dell’arte, dell’idealità giapponese, i passati tempi tutti riappariscono fugacemente alla mia mente, fra tanta confusione di oggetti impolverati che si devono rendere tersi  e matricolare uno per uno”.
Strenua fu anche la battaglia per il finanziamento di un catalogo della collezione, attraverso cui illustrare “etnograficamente” – scrisse Ragusa nel 1916 al Ministro della Pubblica Istruzione Pasquale Grippo – “la specie, l’uso, le fabbriche, gli artisti, delle varie ed elette produzioni Orientali, opera indispensabile che potrà illuminare e facilitare gli studiosi delle arti e delle industrie cinesi e giapponesi”. Appello caduto nel vuoto e ad oggi rimasto inascoltato.
In tal senso rappresenta una preziosissima testimonianza il lavoro pittorico svolto da O’Tama (e documentato da un volume di Sellerio nel 2009), che si dedicò alla copia minuziosa degli oggetti giapponesi collezionati dal marito: un lavoro intelligente, raffinato, dotato di indubbia qualità pittorica e perseguito a scopo di catalogazione.

otama acquerello con bronzi dalla collezione di vincenzo ragusa Il fumetto sugli artisti O’Tama e Vincenzo Ragusa. Storia di un amore fra Tokyo e Palermo
O’Tama, Acquerello con bronzi, dalla collezione di Vincenzo Ragusa

La morte di Vincenzo e O’Tama

Vincenzo Ragusa morì a 85 anni, il 13 maggio del 1927. O’Tama restò a Palermo ancora per 6 anni, poi una nipote della sorella venne a prenderla per ricondurla a Tokyo, dove morì il 6 aprile del 1939, all’ età di 79 anni, lasciando espressa volontà di riposare accanto al suo sposo. Solo nel 1985 metà delle sue ceneri furono spedite a Palermo e affiancate alla tomba di lui, nel cimitero dei Rotoli. La sua sepoltura, una colonna in marmo bianco sormontata da una colomba, fu opera dello stesso Ragusa.
Così si chiude anche il fumetto dedicato a questa vicenda intima e insieme storica, ripercorsa dall’ideale voce di una piccola, esile donna, la cui immutata grazia si vestiva di malinconia e di una rievocata gioia, lungo il flusso dei ricordi.
O’Tama muore, in un giorno d’aprile insolitamente nevoso; e in quel buio improvviso della coscienza, nel lampo che richiama e comprime un’intera esistenza sul bordo della fine, il viso torna quello di una fanciulla in abiti occidentali, con gli inseparabili pennelli e il cavalletto: contemplando il golfo di Palermo, lei dipinge il mare, mentre lui sfoglia il Giornale di Sicilia, seduto al suo fianco. Un bimbo le porge il cappellino, portato via dal vento, forse quel figlio mai arrivato, che in quest’immagine piena di letizia completa il “piccolo mondo perfetto” di O’Tama e Vincenzo, l’uno il porto sicuro dell’altra, complici, amanti, alleati, sempre dalla stessa parte, a qualunque latitudine, nella fortuna e nella sorte avversa. “Tutto ciò che ho fatto nella mia vita è stato amare e dipingere”: epitaffio immaginario, che sigla la fine del viaggio, mentre l’eco inesausta di questa storia, romanticamente moderna, cerca già forme ulteriori per rinascere e generare nuovi spunti, nuove immagini, nuova letteratura.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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