Il piccolo naufrago con la pagella in tasca. Dal libro di un medico legale alla vignetta di Makkox
Storie atroci, di uomini in fuga e di corpi affondati. E di bambini dalle vite interrotte. Parole e immagini esprimono il senso di un momento storico: un coraggioso medico legale e un vignettista tra i più talentuosi. La vicenda dei migranti nel Mediterraneo restituita con delicatezza, umanità e rigore di cronaca.
Ci sono immagini che, più di altre, traducono lo spirito del tempo. Alcune apparterranno per sempre al catalogo iconografico della storia; altre sbiadiranno, via via, transitando tra le pieghe dei dibattiti pubblici, abitando la memoria di tutti: piccole e grandi tessere di una scrittura visiva che ci connota, nei contenuti e nelle forme, negli stili e nelle urgenze, nella restituzione dei fatti e nel commento, nella testimonianza e nell’interpretazione. Fotografie, pubblicità, opere d’arte, still video, frammenti di cinema. Cronaca e letteratura. E l’illustrazione, anche.
IL TALENTO DI MR. MAKKOX
Alla poesia di Makkox siamo avvezzi. Intelligenza satirica acuta, maestro di ironia ed esercizio critico, la sua cifra la trova nella combinazione tra delicatezza e graffio, tra una leggerezza quasi fanciullesca e una capacità di toccare anche le corde più cupe della cronaca politica e sociale. Prendendo posizione, tra l’altro; porgendo alcuni riferimenti etici e culturali precisi, ma riuscendo a parlare una lingua universale. Non di militanza o di propaganda. La satira di Makkox è intrisa di umanità, sempre.
L’immagine pubblicata l’11 gennaio scorso sul Foglio, accanto a un bell’articolo di Nicola Scevola, subito ripresa da qualunque sito, testata, social network, è una di quelle che sferrano un destro sonoro al ventre collettivo e che pure sussurrano, convertendo la tragedia in fiaba, ma senza depotenziarla. Anzi: nello iato tra i fatti crudi e la dolcezza della metafora il dolore è più greve, fastidioso. Una di quelle immagini che chiamano al più insopportabile dei doveri: il senso di responsabilità comune.
QUELL’IMMENSA TRAGEDIA NEL MEDITERRANEO
Un bambino dai riccioli folti e dalla pelle scura gioca coi suoi nuovi amici sul fondo del mare: squali, ostriche, granchi, pesci, seppie, coralli. In mano ha una pagella, la sua. Scritta in arabo e in francese. La mostra a un polipo, tutto fiero, e questi commenta così: “Uau, tutti dieci! Una perla rara”. Avrà al massimo 14 anni e nessun nome. Uno dei tanti “tesori perduti” tra gli abissi, come recita la didascalia al margine del foglio. Abissi da cui non risalirà, da cui non verrà salvato: il bambino è sprofondato nella morsa feroce e fredda del mar Mediterraneo. Veniva dal Mali, prima certezza. L’altra è che la morte lo colse il 18 aprile del 2015, insieme a 58 persone recuperate in acqua. Donne, uomini e bambini a bordo di un barcone proveniente dall’Egitto, andato in avaria nel canale di Sicilia, al largo della Libia. Centinaia i dispersi. Un bastimento di circa 950 persone in fuga: la disperazione li armò, li nutrì di coraggio e li mise lungo il cammino interminabile del deserto e poi del mare. E si accanì il destino, quasi sull’intera compagine. Solo una trentina i superstiti.
UN MEDICO, UN BAMBINO E LA SUA PAGELLA
Il bambino dai capelli ricci se lo ritrovò davanti, durante i suoi rituali faccia a faccia con la morte, la dottoressa Cristina Catteneo, medico legale del laboratorio di antropologia e odontologia forense Labanof (sezione di Medicina Legale del Dipartimento di Morfologia Umana e Scienze Biomediche dell’Università di Milano). Di cadaveri ne vede a centinaia, ogni giorno. Li osserva, li legge, li studia. Si mette in ascolto. I corpi parlano, con le loro ferite e le anatomie vissute, le loro storie tutte diverse, le loro architetture fragili, di ossa e di pelle, di traumi e di biografie incompiute. E parlano anche con i dettagli che restano appesi, qualche volta nascosti: abiti, scarpe, corredi di oggetti, diari, lettere, documenti, fazzoletti, fotografie, un telefono, un paio di cuffiette auricolari.
Oppure una memoria di scuola, ben ripiegata e cucita all’interno di una tasca: la sua pagella, quell’adolescente del Mali, se l’era portata appresso nel suo viaggio della speranza e della paura. Era il suo orgoglio ben custodito, piccolo reperto di un’esistenza difficile, non a misura di bambino. Era il mattoncino da cui partire, simbolicamente, per farsi un futuro. Per dire a chi avrebbe incontrato domani quando era bravo, quanto ci credeva, quanto era grande la voglia di proseguire. Studiare, lavorare, diventare un cittadino nuovo. Un en plein di dieci. Faceva sul serio, il ragazzino. E sarebbe stato un medico, un ingegnere, un informatico, un pasticcere, un artista, un avvocato, un maestro di scuola. Non lo sapremo mai. Ma Cristina Cattaneo, che di corpi di migranti ne ha contati ed esplorati un’infinità, questa storia ha voluto che fosse impressa sulla carta, che diventasse patrimonio collettivo.
LA MISSIONE DI UN’ANTROPOLOGA FORENSE
Questa, insieme a molte altre, racchiuse nel suo recente libro Naufraghi senza volto (Cortina Editore, 2018). Ci sono quei ragazzi che avevano in tasca un sacchetto di stoffa riempito di terra, perché il proprio Paese qualche volta è strazio, persecuzione, ma è anche radice, fondamento, nostalgia; c’è quel giovane del Ghana, che aveva con sé una tessera della biblioteca: impossibile portarsi dietro i libri, nel cammino dell’inferno, ma i ricordi sì, insieme alle tracce dei giorni migliori. E c’è, in quel libro spietato, la lezione di una donna lucidissima, di una narratrice con gli occhi sgranati sull’orrore, quotidianamente.
Di questa vicenda convulsa dell’immigrazione, tramutata in materia elettorale e in vergogna trasversale, Cattaneo assume il lato più duro, eticamente alto. Muovendosi, con circospezione di sguardi e di gesti, nello spazio invisibile post mortem, nel tempo silenzioso dei naufragi avvenuti, degli incidenti archiviati. I fatti, dopo le parole. I corpi lividi, dopo i conflitti tra governi. E a quei cadaveri, lei e quelli come lei, provano a restituire una storia, un riposo, una quiete.
“Il corpo di un migrante”, spiega in una video intervista per la piattaforma editoriale Freeda, “deve avere la stessa dignità del corpo di qualunque altro. Sono molto fortunata perché faccio un mestiere che mi fa vedere le cose più brutte ma anche quelle più belle dell’umano”. Cattaneo studia resti di interesse giudiziario, provando a capire come la morte è giunta, per mano di chi e quando; ma anche corpi di viventi, su cui cogliere i segni di un reato: sono vittime di violenza sessuale, bambini e anziani maltrattati, richiedenti asilo sottoposti a tortura nei paesi d’origine.
Il suo libro, aggiunge, “parla della situazione attuale, sociale e politica, ma soprattutto di una grave violazione dei diritti umani, per cui nessuno fa niente”. Un esercito di cadaveri, del tutto invisibili a quell’Occidente che si è li ritrovati in sorte, tra una spiaggia ed un fondale, per i quali si prova a superare l’odiosa condizione dell’ambiguous loss, come dicono in America. La perdita incerta, ovvero lo strazio di intere famiglie che nulla sanno dei propri cari dispersi.
All’indomani di quel naufragio apocalittico, nell’aprile del 2015, l’antropologa e il suo team trascorsero alcuni mesi in Sicilia, lavorando alacremente e testimoniando così“lo sforzo fatto dagli organi accademici per restituire diritti a queste persone”. Il diritto alla memoria, all’identificazione, a una sepoltura, al cordoglio familiare.
Diritti umani e civili, per i vivi da salvare, accogliere, integrare, e anche per i morti: una questione aperta, in piena Europa, nel XXI secolo. La coscienza di chi governa, ma anche quella di chi, dal basso, costruisce col suo voto i destini di una democrazia, è tema centrale. Negli anni cupi dei Trump, degli Orban, dei Bolsonaro, e in quelli mediocri dei Salvini e dei Di Maio, in un’Italia svenduta al populismo e assuefatta al tanfo di un razzismo di ritorno, il libro di Cattaneo, il disegno di Makkox, la pagella nella tasca di un ragazzino del Mali, si collocano nel cuore di un’emergenza vera – non quella migratoria, ma quella culturale – e accarezzano alcune corde essenziali. L’empatia, il ragionamento, la compassione, il senso della parola “diritto” e l’idea di “umanità”. La storia passa anche dai dettagli. Ed è lì, nella lunga e minuta sequenza, che lentamente cambia forma e direzione.
– Helga Marsala
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