Il progetto di due designer per stampare le immagini a mano
Porta la firma di Louise Naunton Morgan e Stina Pariente Gromark il progetto “The Human Printer”, che restituisce manualità al gesto della stampa, ormai appannaggio esclusivo delle tecnologie digitali.
Da decenni si parla, pensa e studia il dialettico rapporto che sembra legare in maniera inscindibile la stampa analogica, la carta e gli altri supporti con quella digitale, di cui lo schermo, la smaterializzazione e l’interattività sono alcuni dei pilastri.
Proprio all’interno di questo solco che – solo apparentemente – pone in contrapposizione due linguaggi che invece, a nostro avviso, tenderanno sempre più a compenetrarsi e integrarsi come è sempre accaduto, si situa il progetto The Human Printer, ideato dalle designer Louise Naunton Morgan e Stina Pariente Gromark, che insieme hanno fondato lo studio Stinsensqueeze con sede a Londra e Parigi.
Un progetto che risale al 2009, anno in cui Morgan decide di dar vita a quella che potremmo definire una forma ibrida di servizio di stampa e performance art. Questa ambiguità del progetto, la dualità della pratica con cui viene rappresentato, è uno degli aspetti che lo rende particolarmente efficace. Immaginatevi adesso il rumore di una stampante a getto d’inchiostro mentre è al lavoro, con la cartuccia che scricchiola sulla superficie della pagina. Immaginate poi che a dipingere ogni puntino di inchiostro presente sulla carta, invece di una stampante, sia uno o più esseri umani. Questo è il concetto che sta alla base di The Human Printer, riprodurre cioè le immagini digitali a mano, seguendo lo stesso processo a strati dei mezzitoni (CMYK) di una stampante digitale.
Pensate a certi lavori di Alain Jacquet o Gerald Laing, alla loro materialità composta dallo sfrenato utilizzo proprio dei mezzitoni e sappiate che oggi, grazie a Louise Naunton Morgan e Stina Gromark, potete inviare le vostre immagini digitali e ottenere una stampa dal tipico aspetto granuloso e leggermente sfocato. Un’estetica rétro che contiene un inestimabile valore aggiunto proprio perché a realizzarlo, invece di una macchina, sono state le abili mani di esseri umani.
LA STAMPA DIVENTA ARTE
Dicevamo però che il progetto The Human Printer è anche una sorta di attività performativa, visto che nel 2019, nell’ambito della mostra State of the Arts di Selfridges, un evento internazionale che mira a presentare l’arte in luoghi inaspettati, The Human Printer ha creato l’opera Minecraft Sunset. L’immagine sorgente è stata generata tramite Minecraft, videogioco che consente di spostarsi attraverso uno spazio generato in 3D e costruire il proprio mondo utilizzando semplici blocchi rettangolari. La scelta di Minecraft è coerente con i concetti alla base del progetto: collisione e attrito tra organico e inorganico, dialettica tra libertà e controllo.
Il collettivo di venticinque persone coinvolte in un lavoro durato 36 ore si è suddiviso in gruppi con ruoli e compiti specifici. Attraverso l’utilizzo dei soli mezzitoni disegnati con pennarelli acrilici Liquitext su vinile in PVC da 5 millimetri di spessore, sono stati realizzati diversi pannelli ciascuno della misura di 12×27 millimetri.
Storicamente, nell’ambito delle belle arti, la stampa è stata utilizzata come mezzo per riprodurre altre opere d’arte come i dipinti e le opere grafiche. In The Human Printer il processo di riproduzione viene elevato allo status di arte. Come se l’atto creativo risiedesse nella serie di attività che spossessano l’opera dell’aura. Il file digitale, per sua natura riproducibile all’infinito, riconquista lo status di unicità grazie alla presenza dell’uomo che si sostituisce alle macchine. “Sempre più la nostra società sta diventando meccanizzata, digitalizzata, sistematizzata e ci allontaniamo sempre più dall’idea dell’essere umano come un animale, un essere sensibile“, afferma Morgan. “Il progetto ‘The Human Printer’ mira a evidenziare l’importanza di sapere sempre da dove veniamo”.
MODELLAZIONE E FABBRICAZIONE
L’artista Michael Craig-Martin, in base alla relazione degli artisti con l’atto creativo e pratico, li suddivide fra modeller e fabricator, fornendo un ulteriore stimolo alla riflessione su The Human Printer. Per lui la pratica del modeller è spesso identificabile da una pacifica affinità con un particolare mezzo o processo. Se invece ci riferiamo al concetto di fabricator, il rapporto fra tecnica e opera si fa inverso, in quanto l’adozione di un particolare processo o tecnica è subordinata al suo essere più o meno aderente e appropriato per una particolare idea. Questi due approcci non sono sempre alternativi.
Quando si considera un processo di fabbricazione, ciò che avvertiamo è un metodo sistematico e industriale, un approccio distaccato alla realizzazione. Forzando un po’ il concetto, possiamo pensare alla figura dello stampatore. La modellazione presuppone invece un’interazione diretta con i materiali e gli strumenti. La figura del modeller che crea l’opera d’arte è spesso associata all’identità e al ruolo dell’artista stesso e, se manteniamo la metafora di cui sopra, la figura in questo caso è proprio quella dell’artista che dirige i lavori dello stampatore. The Human Printer annulla questi presupposti, cancella la distanza fra fabricator e modeller, equiparando il processo rispetto alla creazione, la tecnica con l’idea, le competenze tecniche con quelle creative.
The Human Printer nasce dalla perfetta integrazione della tecnologia digitale all’interno di processi, pratiche e media pre-digitali.
TECNOLOGICO VS ANALOGICO
A questo proposito riemerge con forza il concetto proposto da Marshall McLuhan di rearview-mirror view of the world, lo specchietto retrovisore del mondo, secondo cui, di fronte a profonde innovazioni tecnologiche, inizialmente ci troviamo così storditi che tendiamo a muoverci dal non familiare al familiare. The Human Printer è rappresentativo di questa logica e si pone esattamente nella congiuntura attuale tra tecnologie, consapevole del fatto che si tratta di un’opera analogica all’interno di un’era digitale. Secondo l’idea delle due designer, The Human Printer è un modo per sfidare l’omogeneizzazione senz’anima determinata dalla digitalizzazione del mondo.
Interessato alla giustapposizione tra organico e inorganico, il progetto è cresciuto giocando con le modalità di rappresentazione utilizzate nella progettazione grafica, trovando un modo per evidenziare questa tensione. Tornano alla mente le parole di Mario Costa quando sostiene che “per estetica della comunicazione si intende l’espressione artistica di un progetto: quello di esplorare i limiti e le forme di comunicazione nelle loro implicazioni psicologiche e sociali per introdurli nell’immagine che ci facciamo di noi stessi” (L’estetica della comunicazione, 1999).
In The Human Printer la stampante umana crea immagini uniche e individuali, forzando la mano sul concetto di autoespressione e libertà, rispondendo alla sfida che, centosettanta anni dopo la rivoluzione industriale, ci pone la rivoluzione scientifica in cui le nostre vite appaiono sempre più efficienti e meccanicamente precise.
Il cuore è il rapporto fra l’uomo e le tecnologie, le interazioni fra le discipline e una ricerca di quella che Morgan definisce “onestà produttiva”, l’unica in grado di dare spazio a una irrazionalità senza vincoli tecnologici.
‒ Francesco Ciaponi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati