Disegnatore, critico e scrittore. Mostra su Saul Steinberg a Milano
Amatissima da Saul Steinberg, Milano gli dedica una grande mostra allestita presso la Triennale. Un’occasione per ripercorrere la carriera di un artista fuori dall’ordinario
Quella dedicata a Saul Steinberg (Râmnicu Sărat, 1914 ‒ New York, 1999) dalla Triennale di Milano è una mostra in controtendenza, priva di spettacolarismi di sorta, il cui allestimento è stato disegnato da Italo Lupi, Ico Migliore, Mara Servetto in dialogo con l’architettura di Muzio. È una raffinata rassegna con 350 opere, provenienti perlopiù da importanti collezioni internazionali, e molti documenti, che narra la storia di una figura fuori dall’ordinario.
LA STORIA DI SAUL STEINBERG
Ebreo rumeno, maltrattato in patria, Steinberg arriva in Italia nel 1933 per studiare Architettura; consegue la laurea nel 1941, pur non sentendosi mai architetto.
“Appena arrivato a Milano la cosa che mi ha colpito di più non era il fatto di essere in Italia o all’università, ma di essere solo”. Ma solo sarebbe stato per poco e molti sarebbero stati i rapporti intessuti, durati una vita intera, come quello con Aldo Buzzi, scrittore, architetto, umorista geniale e intellettuale raffinato.
Il capoluogo lombardo in quegli anni, nonostante il fascismo imperante, è una città vivace: nel 1934 aveva esposto Kandinskij alla Galleria del Milione e il segno del Bauhaus e del Modernismo era profondo. Steinberg vi resta sino al 1941, l’anno in cui, costretto dalle leggi razziali, scappa dall’Europa per raggiungere gli Stati Uniti, che diventano il suo Paese. A Milano, ai suoi dettagli architettonici, alle sue atmosfere, dedica, nel corso degli anni, molte opere.
LA MOSTRA DI STEINBERG A MILANO
Nucleo centrale dell’esposizione, curata da Marco Belpoliti, è un’opera specificatamente realizzata da Steinberg per la città: quattro disegni preparatori, ciascuno composto da una striscia di carta piegata a fisarmonica lunga fino a dieci metri, che, una volta ingranditi fotograficamente, vennero incisi con la tecnica a “sgraffito” sui muri curvi del Labirinto dei ragazzi, progettato dallo studio di Architettura BBPR per la 10ma Triennale di Milano del 1954. La mostra è l’occasione per esporre, in anteprima, parte dell’importante donazione di opere dell’artista che la Biblioteca Nazionale Braidense ha recentemente ricevuto dalla Saul Steinberg Foundation. Tra di esse i quattro leporelli, appena citati, in cui sono sviluppati temi e segni precipui della sua ricerca, come quello della linea che, attraverso il suo segno aguzzo, ardito e allusivo, diviene storia infinita, carica di dettagli e rimandi.
Le Corbusier nel 1961, il 17 febbraio, gli scrive: “Siete proprio un tipo formidabile! Disegnate come un re”. Sei anni dopo, nel corso di un’intervista televisiva, Steinberg, che per molti anni, a partire dai Quaranta, è stato uno degli illustratori di punta di The New Yorker, afferma: “Cerco di usare un alfabeto molto povero di segni per esprimere idee che possono essere molto complesse e complicate, per questo il disegno è molto vicino alla poesia che usa parole molto semplici per spiegare cose molto complesse”.
STEINBERG E IL DISEGNO
Il libro, curato da Belpoliti, edito per l’occasione da Electa, non è un catalogo, ma una sorta di grande dizionario steinberghiano, le cui voci, a cura di autori diversi, rimandano a episodi, personaggi, passaggi della vita: da Cesare Zavattini a Vladimir Nabokov, da Saul Bellow a Italo Calvino ad Alexander Calder ‒ del quale è in mostra un Mobile, proveniente dalla GAM di Torino ‒, con cui Steinberg ha avuto negli anni un profondo rapporto di amicizia e di condivisione lavorativa, come al Terrace Plaza Hotel di Cincinnati, nei tardi Anni Quaranta.
Nel 1965 Steinberg, che è anche scrittore e critico, in una conversazione con Jean vanden Heuvel, afferma: “I miei disegni spesso contengono parodie di disegni. È una forma di critica d’arte” e ancora Belpoliti, nel suo testo finale, non a caso intitolato La costellazione Steinberg, riporta una sua dichiarazione a John Updike: “Disegnare è un modo per ragionare sulla carta e per noi che guardiamo una modalità di essere condotti nei suoi mondi tutt’altro che prevedibili, nonostante l’apparente semplicità”.
La mostra presenta un uomo complesso, spesso depresso e sofferente, affascinante e geniale, che ha lasciato segni profondi nella cultura di un secolo, il XX, che ha visto la sua microstoria personale perfettamente inserita nella macrostoria del mondo.
‒ Angela Madesani
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