È parte di quella schiera sparuta ma valorosa di trentenni o quasi che in letteratura (e non solo) sta facendo cose interessanti. Giovanni Montanaro, al suo terzo romanzo, è un veneziano classe 1983, e di professione fa l’avvocato. La sua prima prova – se si esclude un dramma teatrale – risale al 2007, e sono quattro storie che s’incalzano sotto un tappeto sonoro tematico e stilistico (La Croce Honninfjord). Due anni dopo esce, ancora per Marsilio – quelli sì che son bravi a fare scouting -, Le conseguenze, e il passo verso i territori del nostro Stralcio di prova è bello che fatto. Una delle due storie anche qui intrecciate, infatti, vede protagonista un ritrattista, tal Vincent des Jours.
Ed è un altro Vincent, ben più celebre, l’interlocutore della lunga lettera che dà forma al recente Tutti i colori del mondo (pagg. 144, € 14), pubblicato per i tipi di Feltrinelli. Alla penna c’è Teresa Senzasogni, dichiarata pazza per far sì che goda di una sorta di pensione d’invalidità ante litteram. Destinatario è Vincent van Gogh, che nel lontano 1881 trascorse un breve periodo nel paese d’origine di Teresa, Gheel (i fatti storici e quelli d’invenzione si mescolano, come quando vengono citati lunghi brani dalle lettere di Vincent al fratello Theo).
Non si tratta tuttavia del classico romanzo epistolare (perché la lettera è una soltanto, perché non c’è risposta, perché mai verrà inviata ecc.). Il suo merito più grande sta nel saper dosare con buona perizia i toni e i registri, riuscendo particolarmente bene in quelli “poetici” che scaturiscono dall’ingenuità un poco rousseauviana di Teresa: “Era la domanda che mi facevo sempre da bambina: come può da un tronco marrone venire fuori una mela gialla? Come può un arbusto verde dare delle bacche blu?”.
Proprio Teresa spingerà van Gogh a dipingere, a usare i colori osservando la natura, senza tuttavia imitarne le cromie, ma assaporandone la bellezza. Perché “è dal colore che si capisce se i frutti sono maturi, se una bocca è sana, se un merlo è una femmina o un maschio, un insetto è pericoloso, un fungo commestibile, il giorno è finito e l’acqua si può bere. Se si è felici o tristi”.
Peccato soltanto per la copertina, con quel ritratto flou d’un sosia (!) del pittore olandese. Lo scatto è di Alexey Mirnoff, ma la “colpa” non è tanto sua, e probabilmente nemmeno dell’art director Cristiano Guerri, ma di editori che considerano sempre più passivi i propri lettori, tanto da dover essere imboccati nelle maniere più stucchevolmente didascaliche.
Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #7
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