L’arte moderna, che spasso
“Il padre della sposa” ha un Braque in salotto. Anzi, pare ne abbia più di uno. E ora Steve Martin licenzia un romanzo divertente e competente sull’arte moderna a New York. Storia di un’ascensa e di un declino. Narrato da un giovane critico. Torna così in questo 2013 la rubrica “Stralcio di prova”.
Steve Martin (Waco, Texas, 1945) è sicuramente più noto al pubblico italiano in qualità di attore, ad esempio per l’interpretazione dell’ispettore Clouseau nella Pantera rosa del 2006. Ma in realtà si tratta di un personaggio dalle mille risorse, non ultima quella di scrittore e, evidentemente, di appassionato d’arte.
Il suo romanzo Oggetti di bellezza (An Object of Beauty, 2010), tradotto nel 2012 da Lorenzo Bertolucci per ISBN Edizioni, non è infatti il solito polpettone ambientato nel fu sfavillante mondo dell’arte contemporanea. Se una scelta è scontata, ovvero l’ambientazione newyorchese, non lo sono il periodo (si parla di arte moderna, e intesa come lo si fa “nell’ambiente”: “Il quartiere [Chelsea, N.d.R.] era pieno di gallerie d’arte, ma in genere Lacey non le frequentava. Lei era dell’East Side, e l’arte che rappresentava era comprensibile. Chelsea era nel West Side, e lì si esponeva un’arte incomprensibile”) né lo specifico settore (le case d’asta principalmente).
Il narratore, Daniel Chester French Franks, segue le vicende della rampante Lacey Yeager dai piani bassi, per l’appunto, di una casa d’aste, all’apice della carriera, per poi accompagnarla nel declino dettato da un’oscura vicenda di insider trading nella quale – attenzione, qui arriva lo spoiler – è coinvolto lo stesso narratore.
La storia è coinvolgente, e questa è la premessa per rendere godibile la lettura. Ma soprattutto, come si diceva, Martin dimostra di conoscere a fondo il sistema dell’arte, dunque il suo romanzo funge altresì da manuale camuffato per chi si avvicina a questo mondo. Tutto in maniera molto seria, perché non c’è quasi traccia in queste pagine del memorabile comico che siamo abituati a vedere al cinema o in tv.
Quasi, perché non mancano le battute folgoranti: “Se devo avere a che fare con un italiano preferirei scoparmelo piuttosto che sedermi su uno dei suoi mobili”, dichiara secca Lacey. Altro esempio, questa volta per comprendere il tipo di dialoghi: “‘Sto pensando di prendermi un cane, disse’. ‘Di che tipo?’, chiesi. ‘Uno in punto di morte’. ‘Perché?’. ‘Meno impegnativo’, rispose”.
Martin ne ha per tutti, ma senza moralismi. Sin dalla prima pagina: “Quando scoprii che le mie aspirazioni artistiche non erano accompagnate da alcun talento, il mio obiettivo divenne quello di imparare a scrivere di arte con limpida naturalezza. Non fu facile come sembrava: ogni volta che ci provavo, mi ritrovavo invischiato in un intrico retorico senza via d’uscita”.
Ma se la stoccata in questo caso va verso l’interno, per così dire, ce n’è anche per il pubblico e per la sua sufficienza piccolo borghese: “A gente come me e te capita di vedere alcuni quadri centinaia di volte, che lo vogliamo o no. Li vediamo nelle galleria, li vediamo nelle case, li vediamo sulle riviste d’arte, spuntano fuori alle aste. Gli altri li vedono una volta, o ne sentono parlare quando qualcuno li ha già coperti di insulti: ‘È un mucchio di scarabocchi, saprebbe farlo anche mio figlio’. Vorrei proprio vederlo un bambino capace di dipingere un Jackson Pollock. […] Vuoi sapere come insegnerei l’arte ai bambini, io? Li porterei in un museo e direi ‘Questa è arte, e voi non la sapete fare’”.
Marco Enrico Giacomelli
Steve Martin – Oggetti di bellezza
ISBN, Milano 2012
Pagg. 298, € 19,90
ISBN 9788876383410
isbnedizioni.it
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