Benché venga spesso citato a sproposito, l’idea di “museo immaginario” che André Malraux consegna a uno dei suoi testi raccolti ne Les Voix du silence (1951) ha scavato un solco per l’appunto nell’immaginario comune. Si è tramutato in una sorta di best of, che è cosa ben diversa da quella che l’intellettuale parigino intendeva, ma si tratta comunque di un’eredità – tradita, d’accordo: ma solo il tradimento testimonia di un erede degno di tal nome – che trova talora incarnazioni degne di nota.
Una di queste l’ha consegnata a un volume Melania G. Mazzucco, la quale – sia chiaro per dovere di cronaca e a sua “discolpa” – non cita affatto Malraux. Con mestiere e insieme passione, consegna alle pagine de Il museo del mondo (Einaudi, pagg. 240, € 33) una sorta di personalissimo zibaldone artistico. E lo fa ponendosi – a monte o a valle, poco importa – limiti precisi.
Il primo è affidato alla citazione in esergo, che recita: “Il racconto è lo scopo di ogni arte”. Parole di Edvard Munch che in qualche modo legittimano e dichiarano una posizione chiara: qui si fa dello storytelling di qualità. Che è poi la missione di una narratrice di razza come la Mazzucco.
Una scrittrice che con l’arte visiva ha sempre flirtato: esordisce nel 1996 con Il bacio della Medusa, prosegue con La camera di Baltus (1998), fino all’innamoramento per Tintoretto – galeotta fu la Presentazione di Maria al Tempio alla Chiesa della Madonna dell’Orto a Venezia – espresso in La lunga attesa dell’angelo (2008) e Jacopo Tintoretto & i suoi figli (2009).
Gli altri criteri sono forse più prosaici, ma in fondo perché dispregiare la prosa? L’autrice racconta di una sua mania, di una collezione disordinata e warburghiana, composta dalle cartoline acquistate a ogni visita di museo o galleria, chiesa o cripta. Da questo catalogo assolutamente non generale ha effettuato un prelievo, usando un numero pretestuoso per costituire un argine: il 52, come le settimane dell’anno. E così terminano le griglie, le scelte: non si seleziona un medium, non c’è ordine cronologico o tematico o geografico. Anzi no, non terminano così, perché l’opera dev’essere stata vista da chi ne scrive: “Devo aver visto l’opera coi miei occhi. Da vicino. Averle girato intorno, averla annusata, aver visto le crepe sulla superficie. […] E infine, ma soprattutto, devo desiderare di rivederla”.
Curiosi di sapere quali sono le opere? Si comincia con Ad Parnassum di Paul Klee e si chiude proprio con la Presentazione di Tintoretto; e in mezzo, la Camera da letto di Georg Baselitz e il Sol Invictus di Anselm Kiefer, la Resurrezione di Lazzaro di Giotto e Full Fathom Five di Pollock…
Marco Enrico Giacomelli
Melania G. Mazzucco – Il museo del mondo
Einaudi, Torino 2014
Pagg. 240, € 33
ISBN 9788806223144
www.einaudi.it
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #23
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