Rileggere Arthur C. Danto
A poco meno di due anni dalla morte, torniamo sull'ultimo libro del filosofo statunitense Arthur C. Danto. Una raccolta di saggi che contiene stimolanti applicazioni della sua celebre teoria sull'opera d'arte. E che soprattutto vi aggiunge un'ultima innovazione, il concetto di "sogno a occhi aperti".
LEGGERE DANTO COME ANTIDOTO
Libri usciti nella scorsa stagione da leggere o rileggere quest’estate? Sicuramente non può mancare Che cos’è l’arte? di Arthur C. Danto (Ann Arbor, 1924 – New York, 2013). Può non sembrare una lettura propriamente estiva, ma la scrittura chiara ed empatica del filosofo dell’arte e l’affabilità della prima persona tipica della critica anglosassone bastano a fugare eventuali timori agostani.
A poco meno di due anni dalla morte – qui trovate il ricordo di Tiziana Andina – torniamo dunque sul suo ultimo libro, tradotto in Italia da Johan & Levi (e da poco pubblicato anche in Francia). Leggere Danto risulta sempre più importante, non solo per il valore in sé ma anche come “antidoto” a discorsi fuorvianti – paradigmatiche in questo senso alcune uscite di Maurizio Ferraris, come quella secondo cui sarebbe in atto un ritorno all’estetica come scienza del sensibile e come la perorazione a favore di una populistica fusione tra filosofia analitica e continentale.
Che cos’è l’arte? costituisce infatti un’ulteriore conferma della pregnante capacità di Danto di cogliere l’inconfutabile essenza dell’opera d’arte (contemporanea) come fenomeno eminentemente intellettuale e logocentrico, utilizzando gli strumenti propri della filosofia analitica. Una capacità che mette in scacco, tra l’altro, i molti che si intestardiscono a delegittimare a priori l’arte contemporanea.
SOGNI DA CONDIVIDERE
La definizione di opera d’arte è una sfida che ha impegnato il filosofo per decenni e ha portato all’individuazione di due caratteristiche necessarie, l'”aboutness” (essere a proposito di qualcosa) e l'”embodiment” (trovare incarnazione in una forma). La novità dell’ultimo libro è l’aggiunta di un terzo elemento: l’opera dev’essere un “sogno a occhi aperti“. Tale concetto non implica soggettività assoluta né delegittimazione del giudizio e della critica; e nemmeno corrisponde alla “forma significante” di Clive Bell. Somiglia invece più a un parziale rovesciamento del concetto di wit, una redistribuzione che ne divide l’onere tra autore e fruitore.
“I sogni a occhi aperti“, scrive Danto, “hanno il vantaggio, rispetto ai sogni veri e propri, di poter essere condivisi. Non sono quindi privati, sicché un intero pubblico può ridere o gridare nello stesso momento“. Al “significato incarnato” si aggiunge dunque un je ne sais quoi che testimonia dell’unicità irriducibile dell’opera, ma che non è sregolato o aleatorio, bensì di produzione sociale, storica, contestuale, per quanto parzialmente inafferrabile.
FILOSOFO, CRITICO, STORICO
L’interesse del libro non si esaurisce in questa innovazione: raccolta di scritti eterogenei, il volume testimonia delle varie anime dell’autore, filosofo, critico, storico. Oltre a Sogni a occhi aperti citiamo il saggio da polemista sul restauro della Cappella Sistina e Kant e l’opera d’arte – si legge con piacere e sollievo la trattazione che Danto fa del filosofo tedesco, troppo spesso invocato e frainteso nell’eterna “disputa” tra soggettività e oggettività nel giudizio sull’arte. Non un libro-testamento, insomma, ma una gamma di applicazioni della teoria dantiana, e assieme una summa del suo modo di intendere l’arte.
Stefano Castelli
Arthur C. Danto – Che cos’è l’arte
Johan & Levi, Milano 2014
Pagg. 126, € 16
ISBN 9788860101228
www.johanandlevi.com
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