Come si leggono i plastici di Bruno Vespa?
Siamo in grado di leggere in maniera consapevole le immagini mediatiche? Ivan D’Alberto prova a fornire qualche strumento in un libro recente. Che spazia “dall'omicidio di Avetrana a Profondo Rosso, dai plastici di Bruno Vespa alle installazioni di Angelo Colangelo”…
MEDIA E MEDIAZIONE
Se la Body Art e le relative propaggini si iscrivono nel dominio della “presentazione” in quanto forme non mediate di espressione artistica, il “terzo occhio” di cui parla Ivan D’Alberto è tutt’altro, è quell’ottica mediata e mediatica attraverso la quale facciamo un’ulteriore esperienza del mondo.
Ad accomunare le immagini sciorinate dal sottotitolo è la fascinazione dello spettacolo dell’abietto che passa su uno schermo in cui tutti divengono potenziali attori: da Sabrina Misseri, protagonista del delitto di Avetrana, che detta le regole del sistema televisivo con colpi di scena e confessioni, agli improvvisati interpreti dei reality show costantemente sbirciati da uno sguardo perverso.
Questa voglia di “telegenia collettiva” era stata profetizzata dall’ironia warholiana attraverso il canale Andy Warhol’s TV (1978) e stigmatizzata nel 2004 da Comizi di non amore, format artistico ideato da Francesco Vezzoli.
DA COURBET A SERRANO
D’Alberto rintraccia la nascita di questo processo – quello di rendere visibile ciò che è sempre stato celato – in seno alle correnti naturalista e verista dell’Ottocento dove, grazie alle opere di Courbet e Géricault e ai romanzi di Zola e Flaubert, non si lesina in particolari descrittivi. Solo che, una volta abbattuta la barricata borghese e perbenista, gli spettatori hanno trovato un certo gusto nella spettacolarizzazione del dolore, in ciò che Jean Clair chiama l’“immondo”, che sentono più confortante sul piccolo schermo – la cosiddetta “tv verità” – e meno nelle opere d’arte, spesso censurate in nome di una presunta morale.
Grazie all’approccio trasversale degli “studi visuali” di stampo americano, D’Alberto crea un percorso di rimandi e assonanze navigando fra diverse epoche e generi e toccando le più rappresentative espressioni culturali per paragonarle ai recenti prodotti della tv generalista e alle relative “risposte” artistiche. Così l’omicidio di Avetrana e il film Profondo rosso si intrecciano grazie a simili espedienti narrativi, ingenerando confusione nello spettatore, a cui rimarrà difficile discernere tra vero e verosimile; l’ottica noir del fotografo Weegee, invece, eleva ad arte una produzione fotografica da documentazione poliziesca, prove efferate colte sul momento, mentre i marmorei close-up della serie The Morgue (1992) di Andres Serrano fanno propria l’ottica dell’indagine scientifica.
MORTE E BELLEZZA
La morte e il tentativo di avvicinarsi al suo mistero divengono un’ossessione che si propaga da cultura alta a cultura bassa, fino a consentire l’apertura di una ferita simbolica e reale all’interno del corpo della vittima. Questo varco è il terzo occhio, l’obiettivo della camera, lo schermo televisivo, cinematografico e digitale, il monitor artistico che una volta per tutte ci mostra che la pornografia è negli occhi di chi guarda, non nell’immagine in sé.
E non ci sorprende se ne La Venere di Milo (1991) di Angelo Colangelo l’artista espone interiora e frattaglie di animali – il non mostrabile – come ideale di bellezza contemporanea.
Martina Lolli
Ivan D’Alberto – Il terzo occhio
PrimeVie, Corfinio 2015
Pagg. 104, € 12
ISBN 9788890298981
www.primevie.it
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