Quando Edgar Degas è usato come pretesto. In un libro
Un racconto che è un lungo flashback: tutto comincia con Degas alla sbarra, accusato di maltrattamenti e abusi. Ed è questo escamotage che permette all’autrice di tracciare un quadro impietoso della bohème parigina di quei decenni.
Premessa: che a Noicàttaro, in provincia di Bari, ci sia qualcuno che abbia il coraggio di fondare una casa editrice, al secolo Giazira, non può che far gioire. E aggiunge un piccolo tassello alla tesi secondo la quale la Puglia è una delle regioni al momento più stimolanti per la cultura in questo Paese.
Detto ciò, l’autrice del libro è una firma nota nell’ambito della saggistica d’arte: Anna D’Elia ha infatti al suo attivo una decina di volumi che spaziano da Pino Pascali a Luigi Ghirri, passando per il Futurismo. Qui però siamo in un territorio ibrido, dove all’inequivocabile competenza storico-critica si assomma una vena più esplicitamente creativa e narrativa.
La scimmia di Degas (pagg. 196, € 15) narra infatti la vicenda del celeberrimo artista francese legato all’Impressionismo, ma senza essere una biografia classica. Piuttosto, la chiave scelta per parlare delle sue vicende personali e professionali, nonché della Parigi della seconda metà dell’Ottocento, consiste nel focalizzarsi sul rapporto dello stesso Edgar Degas con Nannina, l’altrettanto celebre modella ritratta – fra l’altro – nella scultura intitolata La ballerina di quattordici anni.
Il racconto è così un lungo flashback, poiché tutto comincia con Degas alla sbarra, accusato di maltrattamenti e abusi. Ed è questo escamotage che permette a D’Elia di tracciare un quadro impietoso della bohème parigina di quei decenni: fuor della facile e romantica retorica dell’artista geniale e squattrinato, lo sguardo dell’autrice si sofferma con durezza – la medesima che teoricamente guidava l’artista – sulla condizione terribile a cui erano sottoposte le modelle e le ballerine, spesso bambine di tenerissima età vendute dalle famiglie di provenienza e trasformate in schiave sessuali.
Ma è altresì l’ambiente medico a finire sotto impietosi riflettori – quell’ambiente tanto decantato della Salpêtrière, dove esercitava il neurologo Jean-Martin Charcot e dove fra gli allievi si distingueva Sigmund Freud. Anche qui erano soprattutto le donne – le “isteriche” – a subire ogni genere di abuso: “Il dottore […] stava realizzando un atlante fotografico per documentare le diverse fasi della crisi. Pur di avere le immagini che attestassero la diagnosi d’isteria, ricorreva a maltrattamenti, torture, elettroshock, anestetico” (sul tema segnaliamo il magnifico L’invenzione dell’isteria di Georges Didi-Huberman, edito in Italia da Marietti).
E poi ci sono le mongolfiere e gli esperimenti crono-fotografici di Muybridge, il processo a Flaubert e la rivoluzione urbanistica del Barone Haussmann – e naturalmente lei, Parigi, con i suoi quartieri, i suoi abitanti, le sue luci, le sue ombre.
Tutto sommato, una lettura piacevole e istruttiva. Peccato soltanto per i tanti, troppi refusi.
Marco Enrico Giacomelli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #31
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