Strenne in forma di libro. Cinque saggi per pensare
Siamo arrivati alla quarta serie di consigli libreschi. Questa volta vi consigliamo cinque saggi, adatti per chi ha voglia di studiare e per chi, invece, dovrebbe farlo e non lo fa. Studenti svogliati, curatori distratti, collezionisti attenti soltanto alle quotazioni: questi sono anche per voi.
NICOLAS BOURRIAUD – L’EXFORMA
Il Palais de Tokyo, che Nicolas Bourriaud ha diretto insieme a Jérôme Sans dal 2000 al 2006, è stato un modello museologico inedito? No, e basta pensare al MoMA PS1, simile e precedente per molti versi. Ha contribuito a ricollocare Parigi nello scacchiere internazionale delle capitali dell’arte contemporanea e in generale del turismo culturale? Sì. E ancora: i suoi libri, ognuno centrato su un concetto, sono radicalmente inediti, a partire dai concetti stessi che ne costituiscono l’ossatura? No: nel 1998 le potenzialità estetiche e comunicative della relazionalità erano ben chiare a chi si occupasse di marketing ; la “forma di vita” nel 1999 era notissima a chi avesse letto Wittgenstein; la “postproduzione” nel 2002 era un concetto ben noto ad esempio nell’ambito del design; le conseguenze sociali del termine botanico “radicante” erano evidenti da tempo a chi si occupasse di studi postcoloniali. Insomma, direttori di musei e filosofi, media manager e scienziati sociali – chi in un caso, chi in un altro – sapevano già tutto a menadito. Al punto che molti di essi hanno pronunciato il famigerato “Potevo farlo [scriverlo] anch’io”. Però c’è un problema: non l’hanno fatto, e l’ha fatto Bourriaud. Permettendo l’ingresso – e spesso il successo – nell’ambito degli studi di estetica e dell’arte contemporanea di concetti e riflessioni che, altrimenti, sarebbero rimasti confinati in nicchie accademiche e produttive.
Tutto questo discorso vale anche per il suo ultimo libro, centrato sull’exformale, ovvero “il luogo in cui si svolgono le trattative di frontiera fra chi è escluso e chi è accolto, il prodotto e lo scarto. […] Ogni segno in transito tra il centro e la periferia, fluttuante tra dissidenza e potere”. Un campo che Bourriaud attraversa e formalizza facendosi scortare da Walter Benjamin, Georges Bataille e Louis Althusser. Mettendo alla prova i loro pensieri con la nostra epoca, che “si caratterizza per l’intermittenza del tempo. È simile ad un grande caleidoscopio in cui passato, presente e futuro scintillano, producendo furtivi ‘lampi’”; caratteristica che, nel campo dell’arte, si esplicita ad esempio nella “presentazione in forma artistica di frammenti e documenti qualificati come storici”. In una parola, nell’eterocronia. Un affresco in cento pagine, colto ma chiaro, profondo ma scorrevole. Non è poco.
Nicolas Bourriaud – L’exforma
Postmedia Books, Milano 2016
Pagg. 108, € 12,60
ISBN 9788874901777
http://www.postmediabooks.it/
VALERIO DEHÒ – ARTE EX MACHINA
Il rapporto fra arte e tecno-scienza è esemplificativo del rapporto che la tecnica e la scienza intrattengono con le discipline umanistiche: non è un caso che nel 1964 Charles P. Snow parlasse senza giri di parole di “due culture”. Due culture che tuttavia non sono completamente sorde l’una nei confronti dell’altra: tornando al caso specifico, l’arte nel corso della storia è spesso stata attratta dal progresso e dalla sua ideologia, così come – talora in simultanea – ha nutrito dubbi e incertezze. In questo quadro teorico si muove Valerio Dehò, testimoniando innanzitutto come il mondo dell’arte sia assai più “conservativo” di quel che si crede e di quel che vuol far credere. Non solo: “L’arte appare spesso in ritardo rispetto ai cambiamenti dei new media e della tecnologia in particolare”; e quando finalmente li ammette nel proprio alveo, lo fa con criteri aleatori: la parabola della Net Art lo dimostra, tanto e più di quella che due secoli fa ebbe come protagonista la fotografia.
Il libro ha il pregio di essere dotato di un quadro teorico cristallino, il che permette facilmente di verificare/falsificare le ipotesi proposte, adottando un approccio per l’appunto scientifico. Le ipotesi sono messe alla prova in senso storico, affrontando lavori e proclami di movimenti e singoli artisti (con una carrellata dal Futurismo al Surrealismo, con l’inaggirabile tappa intermedia di Alfred Jarry; dal ‘macchinismo’ di Bruno Munari a Jean Tinguely, dall’arte cinetica, con affondi talora inattesi come quelli su Piero Gilardi e soprattutto Gianni Piacentino, a veri e propri focus su figure poco note al grande pubblico come Myron Krueger e, fuori dall’Italia, Franco Vaccari, o star dell’art system come Mariko Mori o Matthew Barney, o ancora Rosa Barba e Zilvinas Kempinas), e anche la produzione critico-curatoriale (con qualche puntino sulle i più che legittimo: per dire, fra Les Immateriaux curata da Jean-François Lyotard a Parigi nel 1985 e Post-human curata da Jeffrey Deitch al Castello di Rivoli nel 1992 c’è stata l’importantissima mostra Arte e computer curata da Renato Barilli a Milano nel 1987) e più strettamente teorico-fondativa (anche qui, va da sé che si chiamino in causa Deleuze e Guattari e Paul Virilio, ma senza dimenticare le pagine efficaci e tempestive di Gillo Dorfles e Mario Perniola). Tutto questo per trovare il futuro (tecnologico) dell’arte? No, non c’è nessuna previsione futurologica azzardata. Ma si forniscono strumenti adeguati per comprendere cosa potrà avvenire nel medio periodo, fra arte videoludica e generativa e… staremo a vedere.
Valerio Dehò – Arte ex machina
Christian Marinotti, Milano 2016
Pagg. 208, € 23,50
ISBN 9788882731571
http://www.marinotti.com/
ROBERTO GRAMICCIA – ELOGIO DELLA FRAGILITÀ
Nella bibliografia di Roberto Gramiccia – medico, collezionista e critico d’arte romano – si potrebbe ravvisare una frattura. Una frattura fra i testi che paiono di primo acchito più combattivi e polemici (Slot Art Machine. Il grande business dell’arte contemporanea, 2012; Arte e potere. Il mondo salverà la bellezza?, 2015) e quelli che sembrano più “sentimentali” (Fragili eroi. Ritratti di artisti, 2009; Elogio della fragilità, 2016). In realtà, citando la celeberrima biografia di Che Guevara scritta da Paco Ignacio Taibo II, si tratta di due facce della medesima medaglia, che mai dovrebbero essere reciprocamente esclusive: poiché la critica, anche radicale e finanche rivoluzionaria, dev’essere portata avanti senza perdere la tenerezza. O almeno l’umanità.
Umanità significa, appunto, anche fragilità – parola che ricorre nella produzione di Gramiccia, del Gramiccia medico, nel senso più completo e positivo del termine. E la consapevolezza della propria fragilità non indebolisce; al contrario, rafforza l’efficacia: “Dalla fragilità al conflitto, dall’esperienza della sofferenza alla rivolta, dalle ferite aperte nel soggetto alla strategia per la ricomposizione dei legami attraverso la lotta”, come scrive Michele Prospero nella Prefazione. Proprio per questo, Elogio della fragilità è il racconto di una vita: così come in Fragili eroi si raccontava di vite d’artista, qui si racconta la vita dell’autore. Un’autobiografia testimoniale che, forzando un poco la mano, potremmo (ri)leggere sotto il segno di Mario Monicelli e delle sue scelte solidissime, fatte sulla base di una profonda coscienza dell’umana fragilità.
Roberto Gramiccia – Elogio della fragilità
Mimesis, Milano 2016
Pagg. 130, € 12
ISBN 9788857536491
http://mimesisedizioni.it/
LAURA IAMURRI – UN MARGINE CHE SFUGGE
La premessa a questa segnalazione editoriale è banale: partite, partiamo, sempre dalle fonti. Che nella fattispecie significa: se Carla Lonzi ci interessa, allora leggiamo innanzitutto i suoi testi. Il mitico Autoritratto (1969) e l’altrettanto mitico Sputiamo su Hegel (1974), e poi gli Scritti sull’arte, raccolti per la prima volta nel 2012. A questo punto sarà debitamente emersa la coerenza della sua figura, nella quale arte e politica sono strettamente intrecciate e dove la seconda alla fine ha la meglio, portando la Lonzi ad abbandonare la critica d’arte per dedicarsi interamente all’impegno femminista. Con questo bagaglio soltanto si potrà apprezzare appieno la monografia edita da Quodlibet, incentrata sul rapporto fra Carla Lonzi e l’arte in Italia nel periodo compreso fra il 1955 e il 1970, ovvero quei quindici anni che racchiudono l’esordio e il volontario addio alla critica d’arte. A firmarlo è Laura Iamurri: la più titolata a fare un lavoro del genere, avendo curato fra l’altro sia la riedizione di Autoritratto per le edizioni et al. nel 2010, sia il fondamentale Scritti sull’arte.
P.S.: Una scelta molto simile, negli stessi anni, la fece – almeno temporaneamente – Piero Gilardi. Ma i due si incrociarono appena nel mondo dell’arte, e poco o nulla in quello politico. La storia è fatta anche di questi incontri mancati.
Laura Iamurri – Un margine che sfugge
Quodlibet, Macerata 2016
Pagg. 272, € 24
ISBN 9788874627967
http://www.quodlibet.it/
KIRK VARNEDOE – UNA SQUISITA INDIFFERENZA
Era il 1984 quando, non ancora quarantenne, Kirk Varnedoe curò – insieme a William Rubin –Primitivism in Twentieth-Century Art al MoMA di New York. Una mostra che suscitò innumerevoli polemiche e che, proprio per questo, resta un evento basilare nella storia delle esposizioni e per gli studi post-coloniali. Nel 1988 Varnedoe entrò in forza al museo americano, restandoci ininterrottamente fino al 2001 con il ruolo chiave di Chief Curator of Painting and Sculpture (morì poco dopo, nel 2003).
Un osservatorio insieme militante e istituzionale sulla modernità in arte, che ora si traduce in duecento pagine di una limpidezza disarmante, specie se confrontate a stili di scrittura imperniati alla fumosità – il famigerato critichese, alle cui spalle spesso risiede il vuoto pneumatico delle idee. Limpidezza tanto più notevole poiché informa e struttura tesi complesse e talvolta rivoluzionarie: si pensi al fatto che, in un libro sottotitolato Perché l’arte moderna è moderna, l’indice dei nomi non contempla quello di Marcel Duchamp. Si badi bene: non stiamo dicendo che non è il fulcro del libro, o di un suo capitolo; stiamo dicendo che non è mai citato, nemmeno nelle note. Un’applicazione su di sé di quella “squisita indifferenza” che, secondo lo storytelling di Varnedoe, portò all’invenzione del rugby a partire dalle regole del calcio; che similmente portò alla nascita dell’arte moderna a partire dall’arte precedente; e che, aggiungiamo noi, porta lo stesso Varnedoe a riscrivere la storia dell’arte moderna prescindendo da colui il quale è (quasi) universalmente riconosciuto come il suo fondatore.
Kirk Varnedoe – Una squisita indifferenza
Johan & Levi, Milano 2016
Pagg. 220, € 28
ISBN 9788860101648
http://www.johanandlevi.com/
Marco Enrico Giacomelli
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