La storia della clamorosa vendita del dipinto più caro di sempre, l’ormai noto Salvator Mundi battuto da Christie’s a New York il 15 novembre 2017 a 450 milioni di dollari come tavola di Leonardo da Vinci, ha già in sé qualcosa di romanzato: i caratteri di uno di quei legal thriller cinematografici di cassetta.
Il critico e giornalista Pierluigi Panza ripercorre tutte le tappe documentabili della tavola attraverso un’indagine meticolosa, investigativa, apparentemente molto generosa, soffermandosi spesso su alcuni fatti che possono sembrare marginali o semplici curiosità, quando invece sono tutti elementi di un puzzle che il lettore concluderà procedendo fino alla fine del libro. La storia è quella di un dipinto che, battuto da Sotheby’s nel 1958 a 45 sterline come “copia di Boltraffio”, si ritrovò in pochi decenni a essere consacrato come l’ultimo tra i rarissimi del genio di Leonardo, prontamente protagonista di una mostra alla National Gallery (2011) dove come tale veniva presentato, nonostante l’assenza di certificazioni o autentiche firmate.
UNA STORIA COMPLESSA
Secondo la non unanime attribuzione, è probabile che Leonardo realizzò la tavola per il sovrano francese Luigi XII e che dalla Francia arrivò in Inghilterra in occasione delle nozze di Enrichetta Maria con Carlo I Stuart nel 1625.
Non ci sono documenti che parlano di un Salvator Mundi di Leonardo (tantomeno di una committenza), anche se ci sono alcuni dipinti dei suoi allievi milanesi che riprendendo tutti la stessa, ieratica iconografia. Queste sono però supposizioni, poiché il primo documento che riguarda più da vicino la tavola è un’incisione tratta nel 1650 dalle collezioni reali londinesi, prima che avventurosi passaggi di proprietà (sindacati rivoluzionari, amanti di re, conoscitori) la facessero arrivare nella sede londinese di Sotheby’s nel 1958.
Negli anni seguenti la storia del dipinto diventa ancora più avvincente. È soprattutto dopo il 2005, quando ne viene in possesso il gallerista americano Robert Simon per 10mila dollari, che si comincia a prendere coscienza delle potenzialità di attribuzione di quel dipinto, soprattutto dopo un restauro che, come suggerisce Panza, ha fatto emergere una qualità e una stretta attinenza con la lezione di Leonardo a Milano, oltre a uno sfumato più sfumato di quello dello stesso artista.
L’opera viene poi ceduta a 80 milioni di dollari e rivenduta dopo una settimana per 127 (equivoche vicende giudiziarie tra un uomo d’affari svizzero e un magnate russo). Poi nel 2017 la ben nota asta di Christie’s.
Dopo alcune settimane si seppe che era stata acquistata da un principe saudita; tuttavia poco dopo fu ufficializzato che la tavola era di proprietà degli Emirati Arabi Uniti e che sarebbe stata presentata nel nuovo Louvre di Abu Dhabi il 18 settembre del 2018 (dove a oggi non è stata ancora esposta).
I giornali, contemporaneamente, scrissero di una strana coincidenza: quel principe saudita aveva acquistato dallo sceicco degli Emirati uno yacht del valore di 450 milioni di dollari…
LA COSTRUZIONE DEL CONSENSO
Panza, non proprio a caso, parla più volte del Salvator Mundi come di un bond, facendo presagire un nuovo corso del mercato e del mondo dell’arte, una nuova dimensione fatta di comunicazione mediatica iper-condivisa e high tech, dove i risvolti sensazionalistici fanno passare in secondo piano i valori della storia e della verità storica.
Secondo le parole del critico, infatti, anche nel mondo dell’arte è ormai in atto una “costruzione effimera del consenso”.
‒ Calogero Pirrera
Pierluigi Panza ‒ L’ultimo Leonardo
Utet, Torino 2018
Pagg. 224, € 20
ISBN 9788851166205
www.utetlibri.it
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