Storie di cavalieri e di astronauti. Collezionismo consapevole, fra responsabilità e ispirazione
Nella prefazione al libro di Roberto Colantonio, “Il collezionista d’arte contemporanea. Iniziare, valorizzare, gestire una collezione”, Lucrezia Longobardi mette in luce l’approccio “tecnico” del volume al tema del collezionismo.
Che sia di carattere territoriale, nazionale, o anche internazionale, qualunque sistema culturale vede nel collezionismo una colonna essenziale. Le radici di questa sorta di istituzione parallela a quella del mondo prettamente creativo, affondano proprio in quelle figure di mecenati che, durante tutto il corso della nostra cultura occidentale, hanno seguito, sostenuto e a volte stimolato le grandi avventure artistiche che sono poi gli elementi connotanti della civiltà che abbiamo ereditato.
È essenziale tornare a queste radici antiche, proprio per cercare di dare reale definizione ad una figura complessa che proprio nella sua completezza trova il senso stesso della propria esistenza.
Questo libro rappresenta un elemento di grande importanza per chiunque voglia meglio comprendere cosa significhi essere collezionista. A differenza di altri volumi recenti, infatti, esso non si sofferma tanto sulla parte ispirativa, poetica o talvolta maniacale del collezionare, quanto su quella che potremmo definire, la sua struttura. Ogni attitudine, infatti, ogni sogno, intenzione o desiderio deve poter essere sostenuto da una solidità, un retroterra da cui poter muovere la conquista della luna. Il conseguimento di un traguardo sportivo necessità sì di ambizione, visionarietà e spirito, ma sarebbe nei fatti velleitario se tutto questo non fosse supportato da un costante e rigoroso allenamento di lunga durata. Lo stesso vale per le ambizioni di un ragazzo che voglia nella vita conseguire traguardi professionali importanti, dai classici sogni di divenire “astronauta” per i bambini ai più concreti propositi di raggiungere posizioni di responsabilità in imprese o pubbliche amministrazioni che possono essere avanzati in ragazzi d’età più avanzata. Tutto questo non avrebbe alcuna possibilità di successo senza un solido percorso di studio e di conoscenza delle materie necessarie a poter poi esercitare questa o quella attività. D’altra parte, l’astronauta non è qualcuno che tenga semplicemente la testa tra le nuvole, è piuttosto un professionista con un’altissima preparazione nei campi della fisica, dell’ingegneria e che ha la necessità di possedere una invidiabile preparazione atletica. Ecco, tutti questi elementi che stanno al di là del sogno e che però del sogno sono le precondizioni essenziali, rappresentano quella che potremmo definire come “struttura”. Il collezionista, dunque, ha prima di tutto bisogno di una struttura che possa sostenere i suoi desideri, le sue passioni, per poter realmente intraprendere un percorso che non sia velleitario o talvolta fortemente deludente.
“Talvolta è anche questo il potere che un collezionista ha tra le mani, consentire o meno che la passione di un giovane artista possa farsi professione e quindi possa avere un seguito”.
La preparazione culturale, in questo senso, è un elemento essenziale. Le storie private dei collezionisti sono piene di errori di gioventù determinati non tanto dalla progressività nell’affinamento di un gusto più o meno sofisticato, quanto, spesso, da una conoscenza parziale o ancora poco sviluppata del contesto culturale in cui si affacciavano uscendo dalla condizione di semplici amatori. Non è neppure infrequente, però, che certi acquisti poco avveduti possano continuare a impegnare risorse economiche ingenti anche quando ormai si è players attivi nel mondo del collezionismo. Questo perché l’aggiornamento, la conoscenza, i viaggi, ma soprattutto la partecipazione al dibattito culturale, rappresentano quegli elementi di “formazione costante” che un collezionista dovrebbe tenere in massimo conto per evitare di essere raggirato, truffato o, semplicemente, mal consigliato.
Costruire una collezione, senza dubbio, deve costituire un piacere, ma, come tutti i piaceri degli adulti, esso comporta anche una serie di responsabilità che sono da vedere non tanto come vincoli, ma come opportunità. Il buon investimento in arte, infatti, non costituisce solo un risultato positivo per chi lo compie, ma si riflette anche su tutto il sistema culturale, portando linfa nei vasi giusti, nelle diramazioni più attive, alle fioriture più belle.
È necessario, infatti, anche rovesciare la prospettiva egoistica del collezionismo. La dialettica fra collezionismo e arte, infatti, non è solo una storia di bramosie, di gelosie, di desideri da soddisfare, ma è e dev’essere anche una avventura piena di generosità, di collaborazione, di sostengo, di partnership. Il collezionista virtuoso è quello profondamente consapevole non solo del contesto culturale in cui vive, ma anche delle forze che vi agiscono e che, ancor di più, sia al corrente di quali sono i progetti presenti e futuri di quelle forze (rappresentate soprattutto dagli artisti, ma a volte anche dai critici o da galleristi illuminati). Essere accanto ai processi di definizione e sviluppo degli scenari culturali rende il collezionista non solo un “acquirente”, ma un vero e proprio attore nell’ambito dello sviluppo culturale della propria città, del proprio Paese o anche di contesti più ampi. Un esempio piuttosto semplice in questo senso può essere costituito dal valore che ha il costante monitoraggio delle giovani energie creative del proprio territorio. L’identificazione di una reale giovane promessa che muova i suoi primi passi in una città come Napoli, Caserta, piuttosto che Bologna, Pordenone o Verona, può costituire l’opportunità per sostenerne la professionalizzazione e contribuire alla creazione di un percorso che potrebbe da lì in avanti lasciare tracce possibilmente profonde all’interno di una generazione di artisti. Talvolta è anche questo il potere che un collezionista ha tra le mani, consentire o meno che la passione di un giovane artista possa farsi professione e quindi possa avere un seguito. Ecco, dunque, che si torna alle radici mecenatistiche di questa figura. Ma mecenatismo, non vuol dire semplice e incondizionata generosità, anzi, esso comporta un costante esercizio di crudeltà, giacché ogni potere va amministrato con grande disciplina. Sostenere un artista, acquistando un’opera può essere un beneficio per entrambe le figure coinvolte. Per l’artista significherà la possibilità di reinvestire gli utili in una successiva ricerca, in un passo avanti nella sua indagine culturale, mentre per il collezionista avrà un duplice potenziale vantaggio, quello dell’acquisizione di un’opera destinata a rivalutarsi e quello di aver messo un po’ di inchiostro alla penna che scriverà una delle tante storie dell’arte. Ma se il sostengo si dà senza la dovuta attenzione e analisi, il rischio è di aver bruciato le risorse inutilmente. Risorse che forse sarebbero potute essere utili o determinanti altrove.
“Una collezione dovrebbe ridurre al minimo la sua ineffettività, anche economica”.
Sentir dire a volte, da collezionisti di lungo corso, che metà delle opere acquistate negli anni oggi non valgono più niente è una affermazione che deve farci interrogare. Chi la pronuncia spesso, proprio in virtù di una lunga permanenza nel mondo dell’arte, non è da considerarsi uno sprovveduto. E anzi, laddove un collezionista abbia la lucidità di riconoscere il mancato valore di ciò che possiede, vuol dire che ci troviamo di fronte a qualcuno che appartiene all’aristocrazia morale di questa categoria, insomma a una luminosa eccezione di sistema. Tuttavia, questo non deve esimerci dall’ispirarci una visione critica della cosa. Una collezione dovrebbe ridurre al minimo la sua ineffettività, anche economica. È vero, infatti, che quando si parla di arte, di poetiche, di impegno morale, discutere di solidità dell’investimento possa apparire quasi scomodo, ma la verità è che il mercato è un parametro importante nel testimoniare il valore di una ricerca. Laddove ci troviamo in presenza di valori solidi (anche quando ci riferiamo ad artisti giovani) significa che su quel professionista convergono attenzioni che tendono a garantire quella ricerca e, di conseguenza, quell’investimento. Questo, tuttavia, non ci mette al riparo dalle eventuali “bolle” di investimento che, in tutto e per tutto, riproducono i pericolosi abbagli del mondo finanziario. Per questa ragione, l’esercizio dell’attitudine a collezionare dev’essere svolto con un occhio critico capace di mettere assieme più di uno sguardo, di incrociare prospettive, di saper leggere quel che il sistema (o anche il mercato) propone, ma anche saperlo valutare con la propria testa. Non seguire la massa in un’avventura strombazzata per un paio d’anni e poi destinata a finire nel fosso della critica e della perdita economica può costituire decisamente un titolo di merito.
A questo punto del discorso, possiamo ben renderci conto che il collezionismo nasce come una passione, ma si sviluppa come una disciplina. E in questo non è in nulla dissimile da ciò che porta un artista a essere tale. In principio c’è la stessa “necessità di possedere una visione” che, nel caso dell’artista, deve strutturarsi con l’acquisizione di una conoscenza delle tecniche necessarie a realizzarla, delle capacità di veicolarla agli investitori pubblici o privati, della lucidità con cui sapersi confrontare con tendenze dominanti affinché il suo lavoro non risulti anacronistico o incapace di parlare al pubblico. Nel collezionista, lo stesso rapporto fra ispirazione e consapevole concretezza lo porta a dover anch’egli “imparare a essere tale”.
“Non seguire la massa in un’avventura strombazzata per un paio d’anni e poi destinata a finire nel fosso della critica e della perdita economica può costituire decisamente un titolo di merito”.
Per farlo le strade sono molteplici, la frequentazione con altri collezionisti, la lettura di altri volumi prodotti sull’argomento da critici di indubbia fama ‒da Hans Ulrich Obrist a Ludovico Pratesi ‒ fino a, come abbiamo già detto, una costante apertura al dialogo col mondo dell’arte e le sue costanti questioni. In esso, un ruolo importante ce l’ha la necessità di non perdere il contatto con i veri motori del sistema, ossia gli artisti. Questo libro, nel panorama appena illustrato, definisce una sorta di essenziale complemento, perché è una sorta di unicum che tenta di definire tutta una serie di elementi tecnici che, come si è detto in apertura, tendono a costituire la struttura capace di sostenere i mille slanci che questa passione porta con sé. Questo volume non è un libro su cui sognare. È piuttosto un libro da studiare. Ed è una fortuna poterlo leggere, perché in esso sono sintetizzate molte di quelle questioni spinose che tanti collezionisti hanno dovuto imparare sulla propria pelle a seguito di qualche incidente di percorso. Questo libro mette insieme tutte quelle regole che “non immaginavamo” e che è bene conoscere prima di intraprendere qualunque avventura in un mondo che è certamente pieno di bellezza, ma non è privo di pericoli e trappole. Insomma, è un libro che quando definisce la rosa non intende solo il fiore, ma intende tutta la pianta, corredata di spine, ma anche di radici, di pratiche di cura, di informazioni sulle opportunità climatiche in cui potersi cimentare in una coltivazione o desistere.
Nel 2018 è ricorso il 50esimo anniversario della mostra Arte povera + Azioni povere, svoltasi ad Amalfi nel 1968 e promossa principalmente da Marcello Rumma. È quasi doveroso dedicare a lui questa prefazione perché egli costituisce l’esempio perfetto del discorso che s’è cercato di fare. La sua luminosa, seppur breve, parabola nel mondo dell’arte definisce con precisione quanto importante possa essere un collezionista nella storia dell’arte. Le rassegne di Amalfi, la loro preparazione, il sostengo agli artisti e ai critici attraverso l’acquisto o la produzione delle proprie opere, il dialogo costante con gli attori in campo, le lettere, gli scambi (rintracciabili ancora oggi negli archivi) in questo caso hanno contribuito a dar vita al più importante movimento artistico italiano del secondo dopoguerra, un movimento che a livello internazionale è ancora in costante ascesa, sia dal punto di vista critico che di mercato.
Ecco, pensare alla figura di Marcello Rumma aiuta a capire cosa rappresenti davvero la figura del collezionista quando vuole intendersi con tutta la complessità e ampiezza di respiro possibile: una sorta di compagno di viaggio, compagno di strada per coloro che attivamente prendono parte allo sviluppo culturale di una generazione. Portando questa definizione in una prospettiva talkeniana, potremmo dire che il collezionista è una delle figure che appartiene a una fantomatica “compagnia dell’anello”. Il lettore poi si divertirà a fare le dovute associazioni. Forse gli artisti sono gli uomini, i critici gli hobbit, i galleristi i nani, i collezionisti gli elfi… Non è importante e questo è solo un gioco, ma la verità che c’è dietro sta nel concepire il sistema dell’arte, appunto, come una “compagnia”, in cui ognuno è necessario all’altro e in cui l’abilità, la preparazione e il coraggio dell’uno possono diventare essenziali perché sia salva la vita dell’altro. Ecco perché il collezionista che impara a difendersi approfondendo nelle pagine di questo libro le molteplici questioni legali e normative che fino a oggi non aveva considerato, è qualcuno che porta quell’esercizio virtuoso all’interno di un sistema, finendo, difendendo sé stesso, per difendere l’intera compagnia di cui fa parte.
“Il collezionismo nasce come una passione, ma si sviluppa come una disciplina”.
Da una maggiore consapevolezza delle norme, degli obblighi, delle responsabilità, dei rischi, dal maggior ricorso a contratti – in un panorama come quello italiano che si basa ancora sulla stretta di mano che agevola sempre e soltanto chi è più furbo – un sistema non può che trarre esclusivamente vantaggio. I collezionisti hanno il diritto, infatti, di tutelarsi e tutelare i propri investimenti, ma prima ancora ne hanno il dovere, perché essi sono i custodi di quelle gemme che gli artisti hanno rubato, come gli eroi antichi, nei loro viaggi in quelle dimensioni parallele in cui i sentimenti, le emozioni, le illuminazioni hanno delle forme tangibili. Ma allo stesso modo, in una analogia più concreta, potremmo dire che le opere d’arte sono risultati di lunghe ricerche. Chi le possiede è come se possedesse un batterio buono, un principio attivo su cui per anni qualcuno ha buttato le sue notti. Ecco, ora è lì, in una teca, qualcuno lo custodisce. Potrà essere portato dove serve, in una mostra al MoMA di New York o al Mart di Rovereto, o potrà rimanere per molto tempo nella casa di chi ha voluto farsene custode. L’importante però è che, in qualunque momento e ovunque l’opera sia, abbia sempre nel suo collezionista non solo il suo innamorato indagatore, ma anche il suo integerrimo guardiano, giacché l’artista è a lui che ha affidato quel piccolo oggetto la cui esistenza qui e ora, la cui materializzazione, tanti sacrifici ha richiesto. Ogni vera opera d’arte, in fondo, è un Sacro Graal, che schiude a una conoscenza profonda. È dunque giusto che ogni collezionista sia, a sua volta, un esperto cavaliere templare consapevole del suo ruolo in un ordine più vasto che coincide con la vita culturale di una generazione e con la sua eredità futura.
‒ Lucrezia Longobardi
Roberto Colantonio ‒ Il collezionista d’arte contemporanea. Iniziare, valorizzare, gestire una collezione
Iemme Edizioni, Napoli 2018
Pagg. 176, € 9,90
ISBN 9788899928285
www.iemmedizioni.it
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