Spesso è nelle pieghe della produzione editoriale globale che si trovano interessanti esperimenti di analisi del nostro tempo. È il caso del recente saggio pubblicato da The MIT Press, Garage di Olivia Erlanger e Luis Ortega Govela, rispettivamente, artista di base a New York e architetto che lavora tra Londra e Los Angeles. Sono gli autori di una mappatura di storie che ruotano attorno al garage inteso come snodo significante della recente storia culturale degli Stati Uniti. A partire da Frank Lloyd Wright che, nella sua nota Robie House (1910) di Chicago, definisce tre garage per le auto come spazi di apertura dell’edificio alla vita moderna, il saggio declina una prospettiva storica laterale e densa di curiosi inciampi tra nascita della Silicon Valley, Barbie e i Nirvana. Un primo elemento di interesse è rappresentato dall’analisi dell’edificio di Wright, dove gli autori vedono nel blocco dei tre garage l’incipit di una nuova era in cui il corpo si apre alle macchine e a scenari cyborg. Mentre l’abitazione è modellata tenendo conto delle proporzioni del corpo umano, il blocco dei garage si struttura attraverso la scala della macchina. In questo seminale progetto di Wright si cela un’inedita lettura della filosofia progettuale organica dell’architetto americano che viene inquadrata come un territorio domestico contaminato dall’estetica della società capitalistica e industriale. “Il garage, appendice della casa è un indelebile collegamento nella definizione della malattia del paesaggio americano”. Ma di quale malattia si tratta?
GARAGEIFICATION OF SPACE
Erlanger e Govela la definiscono come garageification of space, ovvero un processo simbiotico in cui dimensione privata, domestica e lavoro coincidono. Il garage come luogo in cui i confini tra la sfera intima e quella produttiva si perdono, attivando una sequenza di implicazioni che riguardano la biopolitica, l’estetica e la sociologia. È su un anonimo garage di Palo Alto in California che appare la targa con su scritto “The birthplace of Silicon Valley”, a ricordare la nascita di un modello economico e sociale che domina le nostre esistenze e in particolare la prima sede della allora start up Hewlett Packard. È sempre un garage a presidiare l’immaginario collettivo con la ormai abusata storiella di Steve Jobs e Steve Wozniak.
Il garage come archetipo ideologico di un modo di essere e conquistare il mondo. Il claim Stay hungry, stay foolish trova in questo spazio di servizio una sua cornice che definisce “una bolla suburbana che nasconde un malessere tipico delle società contemporanee, dove lo spazio fisico è direttamente interconnesso a quello sociale”. È questa una forma di resistenza o una forma di violenza? Si chiedono gli autori. Così dipingono un quadro impietoso, complesso, confermato da alcune recenti ricerche economiche e sociologiche che vedono nel modello della Silicon Valley l’emergere delle profonde contraddizioni del sistema neocapitalista. Individualismo, competizione esasperata e forme d’ansia connesse a questo modello sono gli effetti di uno schema che va ripensato anche con gli strumenti dell’arte e dell’architettura.
DEPROGRAMMED GARAGE
È in questo contesto che entra in gioco l’ultimo capitolo del saggio dal titolo emblematico, Deprogrammed garage. Al mito postmoderno dei geni solitari, Erlanger e Govela contrappongono una dimensione collettiva che guarda all’esperienza dell’Attico di Fabio Sargentini e all’utilizzo del garage di via Beccaria dove il gallerista/poeta/regista rivoluziona l’idea stessa di spazio espositivo, creando uno spazio pubblico, aperto ai linguaggi artistici e creativi. La mostra dei cavalli vivi di Kounellis è forse la testimonianza più limpida nella memoria collettiva. Una narrazione alternativa che incoraggia una resistenza, uno spazio costantemente aperto a revisioni e sconfinamenti linguistici ed estetici. “Noi ci opponiamo al mito dell’io occidentale che si definisce in un totale isolamento, l’inclusione e una radicale empatia con l’altro sono gli strumenti attraverso cui demolire questa falsa leggenda”. Così, il garage appare una rovina proveniente da un’era differente e quello che rimane è uno spazio senza un programma specifico, che sta all’arte e all’architettura agire e vivere.
‒ Marco Petroni
Olivia Erlanger, Luis Ortega Govela ‒ Garage
The Mit Press, Cambridge MA 2018
Pagg. 224, $ 21,95
ISBN 9780262038348
https://mitpress.mit.edu
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