L’arte come metodo per comunicare con l’autismo. Un libro lo racconta. Intervista a Paola Binetti

Che cos’è l’autismo? E in che modo l’arte può intervenire su di esso? Lo abbiamo chiesto in questa intervista a Paola Binetti, autrice del saggio “Autismo: un futuro nell’arte”.

Anche l’Italia sta cominciando a rivolgere il suo interesse all’interazione tra l’arte e le neuroscienze, come è successo finora nei progetti di Cosimo Veneziano, Numero Cromatico, Raffaele Quida e Fondazione Volume!. Un campo di studi che punta l’attenzione sulla percezione e sulla modalità di fruizione dello spettatore, piuttosto che sul contenuto dell’opera in sé. La ricerca, tuttavia, può sfociare anche nell’ambito terapeutico, intervenendo su disturbi psicologici e cognitivi con modalità che solo recentemente sono state prese in considerazione. È il tema del libro Autismo: un futuro nell’arterealizzato da Paola Binetti, senatrice e Presidente del comitato scientifico dell’Associazione culturale “Medicina e Frontiere”, assieme ai suoi collaboratori.  

AUTISMO E ARTE: UNA DEFINIZIONE 

Prima di entrare nel merito della questione, abbiamo chiesto a Paola Binetti di far luce su una domanda non scontata, ovvero: cos’è l’autismo? “Definire l’autismo si sta rivelando un’operazione sempre più complessa. Più che parlare di autismo al singolare parliamo di autismi, o di spettro autistico, per indicare la varietà dei quadri che ne fanno parte. La costante di questa complessa condizione umana è la difficoltà a comunicare e a interagire con gli altri”. Come ci spiega Binetti, laureata in medicina e chirurgia e specializzata in neuropsichiatria infantile, gli effetti sono un profondo disagio non solo psicologico, ma anche sociale, per la difficoltà a raggiungere un’autonomia sufficiente a integrarsi in famiglia, a scuola e in ogni tipo di ambiente. “Occorre intervenire con una pluralità di iniziative sul piano riabilitativo, psicoterapeutico e psicopedagogico, che rispondano non solo alle esigenze del bambino ma anche alle sue fondamentali relazioni nel nucleo familiare. I soggetti che rientrano nello spettro autistico pongono una serie di domande a chi si prende cura di loro; li obbligano a mettersi in gioco per ricostruire una trama di relazioni fragili, spesso sfilacciate, ma non per questo prive di significato”. 

AUTISMO E ARTE: COME AGIRE

È qui che entra in gioco il ruolo dell’arte. In che modo? “L’arte intesa come un linguaggio composito fatto di luci e di colori, di suoni e di forme, di gesti e di parole offre una gamma infinita di linguaggi alternativi a quella che a tutti gli effetti è la nostra comunicazione verbale abituale, sistematica e ben strutturata, razionalmente articolata”, prosegue Paola Binetti. Parlamentare dal 2006 (prima in Senato e poi alla Camera), pone gli studi sul comportamento infantile in continuità con l’azione politica a sostegno della vita e della famiglia. “I bambini dello spettro autistico creano la loro neo-lingua utilizzando tutti gli strumenti di cui dispongono, cercando di farsi capire. Vogliono comunicare, anche quando non sanno farlo; e la scelta di un colore, il cromatismo prevalente di certe tavole, la sintesi prepotente di un segno con cui raffigurano forme altamente significative, per loro sono vere e proprie forme di linguaggio. Utilizzano gli strumenti della pittura, della musica, e lo fanno con livelli di competenza molto diversi tra di loro, ma mostrando di essere sempre alla ricerca di un canale attraverso il quale l’intensità delle loro emozioni, non di rado travagliate, possa prendere forma”.  Un altro aspetto fondamentale è la possibilità di usare l’arte di come strumento per capire se stessi e, allo stesso tempo, mettere ordine nel groviglio delle emozioni. “In questo senso laboratori e atelier di pittura sono luoghi ad alta densità comunicativa” conclude Paola Binetti, “in cui accanto al bambino che produce i suoi disegni c’è un adulto che guarda, apprezza e rinforza il messaggio, senza sottrarsi al mistero che ognuno di questi fogli trasmette. C’è sempre qualcosa di nuovo che si scopre e qualcosa che resta incompreso. L’arte è anche questo; contemplazione di un mistero in cui in parte ci riconosciamo e in parte ci sfugge. In questa dialettica il dialogo si snoda in modo sempre più limpido, purché resti sempre rispettoso di chi è l’altro e non pretenda di inquadralo in una classificazione sterile e anonima”.

-Giulia Ronchi

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi

Giulia Ronchi è nata a Pesaro nel 1991. È laureata in Scienze dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano e in Visual Cultures e Pratiche curatoriali presso l’Accademia di Brera. È stata tra i fondatori del gruppo curatoriale OUT44, organizzando…

Scopri di più