Tutti sanno benissimo che la teoria dello Spirito hegeliano è tra le più derise di tutta la storia della filosofia – a pari merito, forse, con il dualismo cartesiano, su cui persino l’ultimo dei tiktoker è capace di fare battute da caserma.
“Ma tu credi veramente che esista (?) una specie di Super-Forza che tiene le fila dei destini umani (e non), non solo a dispetto dei voleri dei singoli, ma con il loro attivo contributo – e che però non è Dio? Ma dai – è inaudito!” risponde uno. “Ma poi, di cosa andiamo cianciando – fa un altro – nell’epoca dell’ipercultura, dell’intertwingularity, e della strutturalità decentrata, andiamo ancora a ripescare concetti vaghi vecchi di secoli, per cortesia!”… “Senza contare – fa un terzo – l’avvento dei Big Data e conseguentemente dell’intelligenza artificiale, che in pochi secondi ti riassume tutto il Sapere del mondo, altro che Hegel!”.
Eh, sì – dico io – mi sa che avete ragione. Ma quale Forza e super-Forza, ma quale Spirito e spirito! Però… No, dico, mi rimane un dubbio. Un’inezia, a dire il vero. Un nonnulla. Per esempio, il 1975. “Ah, perché, sentiamo un po’, dai – cosa sarebbe successo nel 1975?”. Beh, parecchie cose. Non sono i fatti storici in senso stretto a impensierirmi, ma due eventi misteriosamente legati fra loro.
Il primo è l’uscita nel giugno di quell’anno del celebre film Jaws – Lo squalo di un giovanissimo Steven Spielberg che da allora si è andato a collocare tra i massimi registi di blockbuster di sempre. Il secondo evento è l’uscita, sempre in quell’anno, ma a gennaio, di Horcynus Orca, l’incredibile capolavoro letterario di Stefano D’Arrigo. Ora, tra questi due prodotti diciamo culturali, non vi è in apparenza nessuna relazione. Anzi, vi è una asimmetria spettatoriale clamorosa. Il film, vincitore di tre premi Oscar, fu record di incassi per oltre due anni e a tutt’oggi è fra i film che hanno incassato di più nella storia del cinema. Inoltre, ebbe tre sequel direttamente ispirati all’originale, ma anche una impressionante serie di imitazioni, tra cui alcune tutte italiane, come L’ultimo squalo di Enzo G. Castellari (1981), e persino un film il cui titolo sembra quasi citare il romanzo di D’Arrigo, L’orca assassina (Orca: The Killer Whale), del 1977.
“Non è che qui spunti fuori lo zampino di un certo qual Zeitgeist che proprio in quell’anno fatidico si coagula, si personifica insomma nella “fera” marina?”
Il romanzo Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo
Il romanzo per parte sua, invece, vuoi per la lunghezza, vuoi per il linguaggio impervio, suscitò infinite polemiche letterarie, e poi finì nel dimenticatoio. All’epoca ero un teenager, quindi ho ricordi di prima mano di alcuni episodi a dire il vero sconcertanti. Invece di prenderne le difese, i migliori intellettuali italiani, con poche notevoli eccezioni, tra cui Pasolini e Consolo, prima sollevarono un polverone incredibile intorno al libro (che non avevano letto) e poi, dopo stroncature più o meno plateali, se lo dimenticarono – oblio nel quale giace praticamente ancor oggi. Già, perché a leggerle oggi, le sue oltre 1200 pagine (nella prima edizione Mondadori) stillano una tale stratificazione linguistica e culturale da lasciare esterrefatti, e fanno domandare perché questo romanzo non sia di diritto nel novero dei classici italiani, non quelli sperimentali dico, ma quelli che si imparano a scuola.
Ma, al di là dell’orrendo malcostume italico, della nostra patologica, demenziale e temo incurabile ossessione di inferiorità, la cosa davvero sorprendente è la sincronicità tra il film, che si incentra sulla mostruosità dello squalo gigante, e il protagonista del romanzo, l’Orcaferone, che terrorizza le menti e i sogni dei pescatori mediterranei.
Lo Zeitgeist di “Jaws” e “Horcynus Orca”
Mondi interi, civiltà, linguaggi e ispirazioni dividono questi due capolavori, però i temi della paura, del viaggio e della morte sembrano misteriosamente avvicinare l’esordio di un giovane regista americano come Spielberg all’esito di oltre vent’anni di scritture e riscritture di un maturo romanziere come D’Arrigo.
Chissà. Dev’essere stato un caso.
O forse… non è che qui – sempre per caso eh! – spunti fuori lo zampino di un certo qual Zeitgeist che, vai a sapere perché, proprio in quell’anno fatidico si coagula, si personifica insomma nella “fera” marina (squalo bianco o orca assassina che sia)? O forse non solo lo zampino, ma tutto intero con tanto di fauci e chiostra di dentoni, pronto a fare un sol boccone dei nostri destini individuali?
I tre amici mi guardano con compatimento. Ma stanotte so che non dormiranno sonni tranquilli.
Marco Senaldi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #74
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