Una decina d’anni fa, in un corposo saggio dl titolo Il bello il buono e il cattivo, Demetrio Paparoni si poneva l’obbiettivo di indagare in quale modo l’ambito politico di un secolo foriero di tragedie come il Novecento avesse inciso e potesse continuare a incidere sulla produzione artistica. Oggi Paparoni torna sull’argomento con questo ancor più corposo volume che tiene conto di quanto (moltissimo in realtà) nei primi due decenni del XXI secolo di nuovo e in conseguenza è accaduto. Riassumere tutto questo in poche righe è impossibile. La sottolineatura sull’appoggio lungimirante (proprio così, “lungimirante” secondo Paparoni) della CIA a favore dell’espressionismo astratto, i piccoli (o grandi) furti operati da Rauschenberg nei confronti di Burri, la polemica con il critico americano Dan Cameron che nega la primogenitura dell’Arte Povera agli italiani sono suoi cavalli di battaglia da sempre. Ma l’uscita del Regno Unito dalla UE (con le conseguenti impreviste difficoltà di scambio anche culturale), i mutati rapporti tra Occidente e Cina (con la singolare quanto dura repressione in corso), le razzie di opere d’arte perpetrate dalla Confederazione Russa in Ucraina o le ingarbugliate posizioni del “politicamente corretto”? Quelle nessuno all’inizio del nuovo millennio, avrebbe potuto immaginarle.
Il nuovo libro di Demetrio Paparoni
Dei trenta capitoli di cui si compone il saggio sono due che è impossibile non citare. Nel settimo, infatti, appaiono le figure di Georg Baselitz e di Angela Merkel in riferimento ad opere di Emil Nolde e Ziegler. Due artisti antisemiti, paladini del nazionalsocialismo e della supremazia ariana: ma quel che importa a Paparoni è però ricordare come nel loro lavoro gli esiti formali siano assai differenti. L’autore ricorda l’azione di Baselitz che denuncia l’esposizione di Die ver elemet (Ziegler) preso la Pinakothek di Monaco nel 2022 e la rimozione di due opere di Nolde operata da Angela Merkel nel 2019, dopo essere venuta a conoscenza di particolari sino a quel momento ignorati della biografia di Nolde. Nello stesso capitolo Paparoni fa riferimento anche all’ondivaga posizione di Morandi e a quella per niente ondivaga di Sironi rispetto al fascismo italiano: convinto però che “in arte è la forma a determinare il contenuto e non viceversa” (p. 113) idea precisata più avanti dove si intrattiene con l’ambigua vicenda riguardante la biografia di Guttuso e i suoi rapporti prima con Bottai e poi con Togliatti: “ La questione” scrive Paparoni “non riguarda il ‘cosa’, ma il ‘come’: è il linguaggio (il come) che determina la qualità dell’arte, non il soggetto (Il cosa)”,
Arte e politically correct
Nel trentesimo e ultimo capitolo del libro, Paparoni affronta invece l’ingarbugliato nodo di giuste rivendicazioni ed eccessi censori legati al politically correct. Vi compaiono le vicende collegate a figure di artisti come Philip Guston, Dana Schutz o Sam Durant, contestati da comunità razziali con l’accusa di non appartenervi per diritto di nascita. Dopo una ricostruzione minuziosa delle vicende che li hanno esposti ad attacchi provenienti non dalle forme costituite ma da nuovi inediti aggregati di potere, Paparoni termina il suo libro con queste parole: “Tanto Guston, quanto Schutz e Durant (…) hanno affrontato temi che li hanno toccati e hanno fatto sentire loro l’urgenza di affrontarli. (…) La tesi secondo cui un’opera può essere censurata laddove l’autore sia estraneo alla cultura e alla storia a cui si riferisce la sua narrazione nega il ruolo della cultura. (…) la lettura della storia non può essere affidata solo ad alcuni per una questione di prossimità culturale. Accettare che un’opera possa essere censurata equivale ad affermare che la cultura deve sottoporsi a rapporti di forza”.
Quello di Paparoni è indubbiamente un pensiero “liberal” lontano da ogni forma di populismo; è profondamente radicato nella cultura europea, cosciente dei pericoli corsi e di quelli di nuovo presenti in un momento difficile come quello che siamo attraversando.
Nota a margine. Parafrasando l’idea espressa dell’autore a proposito del rapporto tra forma e contenuto va detto che risultano per lo meno inusuali alcuni aspetti del suo modo di procedere. Lo sono ad esempio le note con cui l’autore condisce il suo argomentare: e-mail della corrispondenza privata che intrattiene con amici quali Arthur C. Danto, Peter Halley o Max Kozloff. Paparoni le riporta per poi magari confutarle in un dialogo interiore a cui il lettore assiste come lo ascoltasse di là da un vetro. Eppure la lettura risulta tutt’altro che ostica: si può scrivere un saggio di storia dell’arte di quasi cinquecento pagine con la scorrevolezza tipica della narrativa? Evidentemente sì: questo libro lo conferma.
Aldo Premoli
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