A tredici anni lavorava già nel negozio di calzature del padre, ma in realtà era attratto dalla creatività. Un traguardo non facile per Guglielmo Petroni (1911-1993), nato a Lucca da Bruno Petroni e Giuditta Santini, che viene introdotto all’arte dai suoi migliori amici, come lo scultore Gaetano Scapecchi, il pittore Giuseppe Ardinghi e lo scrittore Arrigo Benedetti. Guglielmo guarda con interesse all’impressionismo e alle nature morte di Morandi, e nel frattempo scrive poesie. In entrambi i settori arrivano i primi apprezzamenti: Ardengo Soffici visita il suo studio a Lucca ed elogia i suoi dipinti, mentre Corrado Pavolini pubblica alcuni suoi versi su L’Italia letteraria nel 1932.
Guglielmo Petroni tra arti visive e letteratura
Diviso tra pittura e poesia, viene aiutato a scegliere dall’incendio nello studio nell’autunno del 1931, quando le fiamme distruggono la sua intera produzione pittorica. Da allora entra in contatto con l’ambiente letterario intorno alla rivista Solaria, e diventa amico di poeti del calibro di Elio Vittorini, Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi e Alessandro Bonsanti. Nel 1935 pubblica con Guanda il suo primo volume di poesie, Versi e memoria, espressione di una ricerca vicina a Saba e a Leopardi e caratterizzata, secondo Walter Binni, dalla “capacità vedere le cose, e non i nomi, sorgive, virginali”. Negli anni Trenta Petroni collabora con testate prestigiose come Il Selvaggio di Maccari e Letteratura di Bonsanti; nel 1938 lascia Lucca per Roma, dove viene chiamato da Curzio Malaparte a far parte della redazione della rivista Prospettive, mentre l’anno seguente è tra i fondatori de La Ruota, insieme a un gruppo di giovani intellettuali della sinistra romana come Carlo Muscetta, Mario Alicata, Carlo Socrate e Antonello Trombadori. Insieme a loro Petroni si impegna politicamente in maniera attiva.
Petroni e la politica
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale entra nella Resistenza, e il 2 maggio 1944 viene arrestato durante un’azione di volantinaggio e condannato a morte dal tribunale tedesco. Viene trasferito dal carcere di Via Tasso a Regina Coeli, dove stava aspettando l’esecuzione della condanna: la liberazione della città, il 4 giugno, gli permette di salvarsi per un soffio. Guglielmo racconta questa drammatica esperienza nel suo romanzo più famoso, Il mondo è una prigione, pubblicato da Mondadori nel 1949, dopo essere uscito a puntate sulla rivista Mercurio dalla fine del 1944. Una narrazione intima e vibrante di 33 giorni raccontati come un viaggio all’inferno, seguito dal ritorno alla libertà e alla famiglia. Dopo il successo del libro Petroni scrive altri due romanzi, La casa si muove (1949) e Noi dobbiamo parlare (1955), entrambi giocati sulla contrapposizione tra i protagonisti e il mondo esterno, mentre con Il colore della terra (1964) torna ad una narrazione autobiografica. Dieci anni dopo, con La morte del fiume (1974) racconta “il fiume morente – un Serchio inquinato, imputridito dal liquame – che segna la distanza dal passato felice e avventuroso, quello di un’infanzia come epoca ingenua” scrive Giorgio Patrizi. Il libro vince il premio Strega, e viene apprezzato soprattutto per il ritmo narrativo originale: la sua ultima opera letteraria, Il nome delle parole (1984) è concepita quasi come la summa di un’intera esistenza, sotto forma di un’autobiografia intellettuale, “da cui traspare un desiderio di sintesi, di bilancio: quasi un giustificare la scelta di dedicarsi, lui di famiglia povera, bambino autodidatta, alla cultura”, scrive Salvatore Silvano Nigro nella prefazione all’edizione Sellerio, pubblicata nel 2011.
Ludovico Pratesi
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